30 aprile 2018

Pietraperzia: come eravamo - 1^ parte


Condizioni sociali ed economiche tra inizio 900 e Primo Dopoguerra.


All’inizio, questa mia descrizione potrebbe apparire autolesiva e denigratoria, ma è una fotografia reale della maggior parte dei comuni siciliani a vocazione agro-pastorale, scattata nel primo ventennio del 1900.
L’analfabetismo era molto diffuso e le 12.000 anime di allora, a Pietraperzia, come in tutto il centro Sicilia, vivevano in una economia ancora basata sul latifondo, senza servizi pubblici, ancora con poche e precarie strade di collegamento e con un commercio quasi del tutto assente. Un mondo chiuso in una condizione di miseria e di fame. Vivevano in aggregati di famiglie numerose, compressi in un fazzoletto di territorio abitativo, esteso forse, meno di un terzo dell’attuale. Alle spalle di questo sodalizio era già aperta campagna, “la si̢rbia” (arabo xirbi = pietraia). 



Quella che diventerà poi via Stefano Di Blasi era una strada rurale a fondo naturale, almeno fino al 6 Maggio 1914, giorno in cui il già Sindaco Stefano Di Blasi passò a miglior vita, ed arrivava alla rotonda della Santa Croce, punto di sosta e d’incontro per chi faceva passeggiate fuori porta. Dalla parte verso Ovest il paese declinava da via Mandre (mànniri) verso la fine di Corso Umberto “li carrozzi” e verso la parte finale della discesa Leone “l’urtu di liju̢ni”. A levante, a Sud del castello, come oggi, il quartiere Terruccia arrivava fino alla chiesetta rurale dello Spirito Santo, oggi Santa Lucia. Più giù, attaccate alle ultime abitazioni, c’erano case di pastori ed ovili.
Tutte le case erano intensamente abitate. I più agiati disponevano di stalla per gli animali e di locali a piano terra per attrezzi agricoli e derrate alimentari. Le persone occupavano il primo o piani più alti. I meno fortunati disponevano di case a piano terra, e spesso di un solo locale che spartivano con la numerosa famiglia, l’animale da soma, i conigli, le galline, la capra ed altro. 
Oltre alle 12.000 anime si contavano quasi 4.000 animali da soma e un numero imprecisabile di animali da cortile per le strade che la sera trovava posto all’interno delle abitazioni.
Pietraperzia era una comunità, come già detto, a vocazione agro-pastorale con tanti latifondisti, un Principato, alcuni baronati, bburgi̢si, piccoli proprietari, mezzadri e molti jurnatàra.
Forse è meglio insistere di più sulla suddivisione del territorio per fare emergere le precarie condizioni socio-economiche di allora.
Il grosso del nostro territorio, suddiviso in feudi, apparteneva a ricchi e nobili. Ogni feudo, frazionato in spezzoni, generalmente di due, tre o quattro ettari, era affidato ad un mezzadro che espletava, con mezzi tradizionali, tutti i lavori, dalla semina al raccolto e alla fine, per il compenso annuo, spartiva il prodotto col proprietario.

Li mitatìri  costituivano la categoria più numerosa.
Ogni mezzadro possedeva la cavalcatura e l’aratro, mezzi necessari per l’aratura, la semina e la trebbiatura, e si considerava contadino impiegato a posto fisso.

Jurnatàru era il contadino nullatenente, non possedeva cavalcatura e nemmeno attrezzi o solo fànci e zzappù̢ni, non aveva lavoro fisso e di tanto in tanto lavorava a giornate.

Bburgi̢si era il contadino agiato, proprietario di terre o di bestiame; a volte ricorreva all'impiego di altro personale per la coltivazione delle sue proprietà e/o l'allevamento del bestiame.

Piccolo proprietario era un professionista, un impiegato, un putìjaru o un artigiano possessore di alcuni ettari di terreno.

Non esistevano “ammortizzatori” sociali. L’assistenza sanitaria era affidata all’unico medico condotto.
Per quel poco che potevano offrire c’erano i sodalizi di mutuo soccorso: aggregazioni per ceto di volontari tuttora esistenti: Società Operaia Regina Margherita, Società Militari in Congedo, Società Carrettieri, e le varie Confraternite, quella di S. Giuseppe, quella di Santa Maria del Soccorso o degli Agonizzanti, quella della Caterva, del Rosario, di S. Rocco. Nei loro statuti erano previsti rimborsi di spese funerarie e assistenza medica per l’iscritto e i familiari e altri interventi possibili per aiutare un proprio affiliato in difficoltà.
In piazza S. Rocco si radunavano jurnatàra, manovali muratori e datori di lavoro per contrattare prestazioni di manodopera. “li jurnatàra” fortunati, dopo avere concordato l’ammontare della misera paga si davano appuntamento l’indomani per raggiungere all’alba e a piedi la campagna, a volte distante dal centro abitato alcuni chilometri. Non sempre, lungo il percorso di ritorno, riuscivano a strappare, al terreno dei bordi della strada, qualche verdura commestibile da portare a casa per il condimento di un’eventuale minestra calda.
Le giornate lavorative nei campi erano scandite dal sorgere e dal tramontare del sole.
Dopo un anno di duro e faticoso lavoro il contadino fortunato riusciva ad accantonare il minimo necessario per se, la famiglia e la mula. 
Non c’era rete idrica e nemmeno rete fognaria.


L’unica fonte di approvvigionamento idrica era il fonte canale che pochi anni prima era stato dotato di un grande abbeveratoio ottagonale, per gli animali da soma, e di una serie di cannelle per il riempimento delle brocche di terracotta “quartàri”. Provvedevano all'approvvigionamento gli uomini quasi sempre al ritorno di una faticosa giornata lavorativa e diventava problematico per loro accedere alle cannelle a causa della grande ressa che si determinava all'imbrunire e causa spesso di discussioni e litigi.

Giovanni Culmone


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26 aprile 2018




Il vecchio ulivo e l'uccello del paradiso

Lucia Miccichè

Curatore: V. Calì
Illustratore: N. Speciale
Editore: Edizioni del Poggio



È risaputo che uno dei modi di esporre e tramandare verità sapienziali e spirituali è rappresentato dalla fiaba e, in genere, dalla letteratura fantastica (basti pensare a Tolkien e al famosissimo Il Signore Degli Anelli).
Dietro parole arcane, figure emblematiche, allegorie e metafore, si dis-vela il significato potente e primordiale dei simboli, capace di ricondurci al Centro dell'Essere, a ritrovare il Santo Graal che è...l'Amore! Ed è quello che succede nel libro della nostra giovane Autrice. Soffermiamoci brevemente sui protagonisti: un Vecchio Ulivo (la voce narrante) e l'Uccello del Paradiso (la figura mistica). Quando il vecchio ulivo conosce quell'incantevole Creatura del cielo gli affida un'importante missione: andare alla ricerca del più grande mistero della vita e del mondo intero: l'Amore! Nella Tradizione, la figura dell'Albero è tra le più mistiche e sacrali, insieme a quella della Montagna. L'Albero rappresenta l'unione tra la Terra e il Cielo. Tradizioni e religioni differenti hanno avuto alberi sacri, Alberi della Vita, Alberi del Bene e del Male, del Paradiso, della Luce, della Saggezza, dell'Immortalità, ecc...
L'Albero fu ricollegato al mito dell'AXIS MUNDI, l'Asse del Mondo. Anche l'Uccello è altamente simbolico, basti pensare alla Fenice, simbolo d'immortalità; o alla tradizione dei Nativi Americani con l'Uccello di Tuono, simbolo di Potenza, Nutrimento, Trasformazione o Messaggero Divino, a seconda delle tribù native. Altro elemento simbolico è rappresentato dalla LINGUA DEGLI UCCELLI. Ne parla un'autorità indiscussa in fatto di Simboli e Dottrine Tradizionali come René Guénon nel suo SIMBOLI DELLA SCIENZA SACRA, dove si legge che "gli uccelli sono presi di frequente come simbolo degli Angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori". Il terzo elemento simbolico che vogliamo considerare è rappresentato dal VIAGGIO INIZIATICO. L'Uccello del Paradiso, al pari di altri viaggiatori mitici, dovrà compiere un Viaggio dove affronterà diversi pericoli e incontrerà personaggi emblematici, ognuno dei quali segnerà il suo percorso verso la Consapevolezza: il Fanciullo Natalino, il Monaco, il Governatore, il Musicista, la Bella Danzatrice Marinedda, il Poeta, il Cieco...Ogni viaggio implica il Ritorno e l'Uccello del Paradiso alla fine ritorna dal Vecchio Ulivo. " Domandai dell'Amore al più Piccolo ed esso mi diede la Speranza, domandai dell'Amore al più Devoto ed esso non aveva più spazio per me, allora chiesi al più Forte ed egli mi diede disperazione, mi rifugiai nella Musica ed ella mi istruì note nuove, così mi rivolsi alla Bellezza ed ella mi indicò la strada del cuore, così trovai la Poesia ed ella mi diede il modo per farlo intendere, ma ancora non comprendevo la risposta al grande mistero, così infine fu lui a trovarmi".
Ed è proprio il Cieco, il più Fragile, a condurlo nella dimora dell'Amore perché..." Non tutto è visibile agli occhi del mondo...A volte il Segreto è osservare ad occhi chiusi..."
Con questa bellissima massima sapienziale possiamo concludere queste note. Il libro è adatto a tutti, grandi e piccini. Come leggiamo in una bella recensione di Paolo Cortesi :"Si tratta di una storia che ha più livelli di comprensione: per i bambini, è una fiaba avvincente e dolcissima; per gli adulti è una allegoria sempre valida; per gli studiosi di filosofia esoterica è un viaggio di maturazione nella consapevolezza" (Nexus New Times nr.127 aprile/maggio 2017).
La storia è ambientata nel villaggio medievale di Pietraperzia, che nella fiaba viene chiamata "Terra di Pietra". Arricchiscono il volume le illustrazioni di Nicolò Speciale, dove si riconoscono i luoghi più belli e suggestivi di Pietraperzia.

Salvatore Marotta

Lo scrittore Paolo Cortesi ha voluto dedicare a Lucia (pubblicata  in Nexus New Times) una recensione a "Il vecchio ulivo e l'uccello del paradiso". Per leggerlo trascritto su Anobii Clicca qui.



19 aprile 2018

Invito alla lettura: Le Rime - Antologia di Odi e Canti



Giuseppe Mistretta, poeta ennese, è un autore molto legato alle radici
dell’umanesimo classico.
È questo ancoraggio è bene evidente nella sua raccolta “Le Rime - Antologia di Odi e Canti”, Maurizio Vetri Editore 2017, ove il linguaggio poetico si presenta ricco di movenze lirico-metriche che, certo, risultano rare nello spazio della poesia moderna e contemporanea, ma che l’autore predilige in modo quasi affettivo, essendosi accostato alla letteratura classica dopo i suoi studi tecnico-professionali.
Basta scorrere i testi de “Le Rime” per scorgere in essi modelli linguistici della classicità ottocentesca (“empie” “avea” “desii” “dì” “beltà” “core” etc.) che la poesia moderna ha superato, ma che Mistretta predilige nel suo percorso per sostanziare la dimensione del suo sentire poetico e per esprimere la sua interiorità sfuggendo - come si legge nella breve osservazione sul linguaggio con cui si apre la raccolta - alla “prevaricazione dell’elemento funzionale-comunicativo sull’elemento stilistico-espressivo".
L’autore insomma, ama la parola che “ha il potere di determinare una modificazione magica della realtà” e che, altresì è “in grado di innescare processi e metamorfosi” capaci di agire “profondamente sulla struttura sociale”.
Ma al di là del dato metrico-linguistico utilizzato dall’autore, ritengo che la poesia di Giuseppe Mistretta vada apprezzata per la sua capacità trasfigurativa e simbolica, nonché per quegli orizzonti entro cui le Odi e i Canti trovano forma e consistenza.
“Le Rime” dispiegano la loro prima carica epifanica nelle Odi, alcune delle quali centrate su luoghi intesi come espressione di realizzazione e di memoria, nonché di bellezza, di fatti, di storie e di cultura; si leggano, ad esempio, le poesie “Città di Enna”, “Il Teatro di Taormina”, “Segesta“, “Canto al Duomo di Enna” che nel loro taglio descrittivo ed evocativo emanano fascino e suggestività.
In “città di Enna“ Mistretta esprime dolore e rammarico, denuncia indifferenza e pone domande:

Aggrottate e fresche mi guardan le case.
I tetti di tegola e canale sovrastano lo spazio.
Dov’è la ricchezza o radice.
Riposi ignorata e silente,
come se nulla importasse alla gente

Con un linguaggio meditativo che rifulge del ricordo che di essa egli conserva. Lo stesso fluire discorsivo e descrittivo s’impone nella poesia “Il Teatro di Taormina“, ove il verso diventa aulico: “il mare osserva di notte quando la luna è diamante”, il tono mirabile e ricco di  stupefazione: “sei la regina” e l’esaltazione della città diventa favola di salubrità: “Luogo di sollievo e grazia, di totale agiatezza,/ a chi sta fermo nel vento,/ ad ammirarne bellezza”,
La sua storia - canta il poeta - non ha eguali, pregna di mistero e mille incanti/ questa è terra di poeti, che cantarono ai Giganti”.
L’Ode a “Segesta” è, ancora, un affresco lirico-storico che coglie lo splendore di un luogo attraversato da vicende che hanno lasciato “i segni come un riflesso” e che inducono il poeta ad innalzare al cielo, con uno slancio affettivo, parole di encomio:

Tu gioiello dipinto dal contorno del sole, dal verde e le siepi
Nel loro eterno languore.
Sei distinta franchezza di un’essenza divina, di cui coglie
I segni, chi a te legger s’avvicina

In questa raccolta poetica le Odi hanno anche n taglio più intimo, atteso che il poeta pone lo sguardo su tanti aspetti dell’esistenza trasfigurati ora nella Bellezza della poesia della quale si è innamorato, ora nella nebbia:

Nebbia a rammentare l’autunno, in rotazione eterna
di cui sei il frutto

Ora nelle nefandezze di un progresso sganciato da ogni dimensione valoriale:

Progresso nefasto, che ci rubi la vita, ci distrai dal contesto,
come ragazzi alla gita.
Estorci i desii, ci maltratti gli affetti,
ci induci ad essere come dei maledetti

Ora sui fondamenti di un’ontologia umana in grado di valorizzare la conoscenza: “Conoscenza fluisca come stelle dai cieli”

L’emozione: “Emozionarsi fortemente, ci induce ad un’alchimia tale,/ da poter fermare il tempo”

Ed ancora la luce: “Fulgida la luce mi appare attorno”

Il pensiero, le relazioni, le amicizie (Si leggano, ad esempio, “Ricordo di Giovanni”, “ Lucrezia“, “Ode al figlio Lorenzo“).
La seconda parte de “Le Rime“ si snoda in “Canti” che viaggiano all’interno di coordinate tematiche che toccano il paesaggio, la natura, il lavoro, la denuncia sociale, il viaggio ed elementi esperenziali rilevanti per la vita del poeta.
Questi si intenerisce di fronte al crescere delle spighe:
Assurgono le spighe verdastre e luccicanti
in un sibilo o lamento nel campo ad allungarsi

Prova emozioni per l’inoltrarsi della primavera:
Al mattino il fresco  di Maggio portava l’urlo delle gazze,
sin dentro la mia finestra chiusa

Nonché della stagione estiva:
A giugno il vento fresco soffiò alle nubi

Respira squarci di cielo con l’auspicio di trovare forza di cambiamento:
(“Squarcio nel Cielo”)
Una striscia bianca nel cielo…
Quanto tempo ancora dovremo aspettare,
perché i potenti in silenzio sappian ascoltare

(“L’Ambulante“)
Oggi tutto si compra col vile denaro,
anche la vita di un uomo, col destino lontano

Giuseppe Mistretta ci dà in questo libro la sua versione della realtà e della storia e lo fa con testi che in alcuni casi risultano dettati da occasioni, in altri da intenti didascalici, in altri da esigenze sociali e problematiche di cui il nostro tempo è caratterizzato.
È un autore che tende a far risuonare nei sui versi i valori più autentici di umanità bistrattata e consumata da un progresso che non guarda all’essere ma all’avere che tende ad ingannare l’uomo sulle domande di senso che da sempre lo accompagnano.
La poesia di Giuseppe Mistretta è limpida nel suo fluire, realistica nella sua tessitura concettuale e attraversata da sogni e incanti; il poeta pronunzia il suo atto di fede nella vita anche alla vista di studenti che gli riaccendono i filmati della memoria  giovanile:

il canto di scolari festanti all’uscita,
eredità delle genti in terra,
mi riportano alla gioia per  oggi,
al coraggio per domani,
alla ricerca della felicità come esempio,
per l’imminente futuro

La ricca gamma di sensazioni, aspirazioni ed emozioni che fluttua nell’animo del poeta prorompe con genuinità sia nelle Odi che nei Canti; la forza le immagini (“il tono del vento”, “le foglie in terra“, “pecore in balia dei lupi”, “frizzi di luce“, “un bacio d’amore”, “un sussurro  sopito”, “il manto degli angeli”, etc.) offre al lettore una versificazione dai cui trasuda tutto il processo creativo del poeta e la carica allusiva e simbolica delle sue policromie interiori.
Giuseppe Mistretta riporta infatti nei suoi versi tutta la sua carica umana e spirituale con un linguaggio e con parole che si fanno epifania di un tormento e di una apertura ai valori del trascendente, capace di donare equilibrio alla sua vita:

Non è semplice
ma alle volte è possibile trovare
quell’equilibrio interno
che ci fa pensare

E il poeta si disvela come uno che pensa, che legge, che si abbevera a fonti di vario genere, tant’è che in queste “Rime” c’è un appendice in cui esprime un “Grazie figurato” a vari autori dell’antichità e contemporanei, tra i quali Seneca, Aristotele, Leonardo da Vinci, Giuseppe Parini, G.B Marino, S. Francesco d’Assisi, Guttuso, Friedrich Nietzsche fino a giungere ad Umberto Eco, quasi a volere dire quanto il suo rapporto con il mondo dell’arte, della letteratura e della filosofia sia entrato nella sua dimensione esistenziale con forza e convinzione.
Le sue pagine sanno di vita, di domande, di sussurri e di riflessioni; sanno di responsabilità e di amicizia, di sentimenti che imperlano ogni scelta linguistica, la quale si mostra coraggiosa e convinta superando possibili perplessità, e regalando ai suoi lettori le armonie più vere della sua fantasia e della sua immaginazione.


Domenico Pisana




Il Prof. Domenico Pisana è poeta, scrittore e saggista, vive
a Modica. Ha compiuto studi su Quasimodo, Montale e
sulla poesia dialettale.




16 aprile 2018

Trovatelli e Ruota di Pietraperzia: Considerazione finale e documenti d'archivio - 4^ Parte


Proietti e balie dei mesi di gennaio e marzo 1868


Tranquillo Cremona

Nell'archivio della Confraternita della Madonna del Soccorso sono state rinvenute due cartelle di pagamento alle balie per l’assistenza ai proietti effettuati dalla Congregazione di Carità per conto del Comune di Pietraperzia, una riferita al mese di gennaio e l’altra al mese di marzo 1868. Quella riferita al mese di gennaio è composta da due fogli quella riferita al mese di marzo da uno solo.
Per comodità di stampa ogni foglio è stato diviso in due, nella prima parte sono riportati i nomi dei proietti, con altre notizie ad essi riferite, nella seconda parte i nomi delle relative balie con altri appunti.
Seguendo il rigo del nome del proietto si arriva ad identificare la balia che lo ebbe in affidamento.
Per ragioni di opportunità si riportano di seguito prima i nomi dei 44 trovatelli e poi quelli delle relative balie.



Curiosità

Il commissario del Comune, firmatario del contratto di locazione della casa della “Rotara” è lo stesso che firmò il decreto di demolizione dell’immobile attaccato al teatro comunale per aprire poi via Monfalcone che dalla Piazza V. Emanuele III accede a Piazza della Repubblica.
                       (D. C. C. n. 289 del 30-12-1930)


Delibere di giunta per pagamenti di forniture e sevizi resi alla Ruota dei Proietti

Pietraperzia Delibera di Giunta n. 19 del 1906


Traslitterazione

Ritenuto che il negoziante Attanasio Salvatore ha fornito dei pannolini ed altri indumenti occorrenti per i trovatelli che vengono ospitati nella ruota dei proietti: vista la relativa fattura in data 25 Febbraio corrente che ammonta a complessive £. 18 ivi compreso il prezzo di manifattura in £.  4,40: Trovando giustificata la spesa

Unanime Delibera

È disposto il pagamento di £. 18 per fornitura del negoziante Attanasio Salvatore per la causale sopra cennata. L’importo sarà prelevato dall’art del bilancio 1906 

Pietraperzia Delibera di Giunta n. 84 del 1906


Traslitterazione

Ritenuto che il giorno primo Aprile corrente la balia dei trovatelli Traina Santa abbandonò volontariamente il servizio e per cui fu necessario dare incarico provvisorio a certa Guarnaccia Marianna di Calogero ad occupare tale posto, avendo tutti i requisiti per una buona balia, per come emerge dal relativo certificato sanitario rilasciato dal medico condotto Signor Vitale Dottor Vincenzo, dietro analoga proposta del Presidente.

Unanime delibera

di incaricare in via provvisoria la suddetta Guarnaccia Marianna a disimpegnare il servizio di balia presso la ruota dei trovatelli. La detta Guarnaccia godrà la paga annua di lire 200 assegnato in bilancio a datare del 20 Aprile scorso, giorno in cui incominciò a prestare servizio. La Giunta si riserba poi di aprire il relativo concorso, per la nomina definitiva, allorquando si presentassero delle altre possibili aspiranti a tale posto.

Pietraperzia Delibera di Giunta n. 136 del 1906


Traslitterazione

Ritenuto che la balia dei trovatelli Guarnaccia Maria Anna ha provveduto a proprie spese al bucato della biancheria dei trovatelli esposti nella ruota durante i mesi di Aprile, Maggio e Giugno 1906;
Tenuto presente che il compenso precedentemente accordato per simili servizi è stato di lire due mensili.
Unanime delibera

È autorizzato il pagamento di lire sei a favore della balia dei trovatelli Guarnaccia Maria Anna per la causale suddetta.
L’esito sarà prelevato dall’art. 40 del Bilancio 1906.

Contratto d’affitto della casa della “Rotara”

Questo contratto, in perfetto stato di conservazione, si trova nell’archivio della Confraternita della Madonna de Soccorso ubicato nella sacrestia della Chiesa del Carmine





Considerazioni e grafici

L’abbandono di neonati, fino alla metà del secolo scorso, sembra una storia dell’immaginario raccontata oggi dagli anziani ai più giovani ma purtroppo è stata ed è ancora una storia vera che ci appartiene, fatta di eventi e fatterelli che ci appartengono. Senza andare alla ricerca delle cause fallimentari, la nascita ufficiale della ruota, se da una parte alleviò tante sofferenze ai neonati e salvò diverse vite, dall'altra non seppe risolvere il fenomeno degli abbandoni e lo incrementò. Gli abbandoni ci sono sempre stati: erano molto contenuti nel 1600, cominciò a diventare patologico al diffondersi di notizie sulla eventuale istituzione pubblica di una ruota gestita da autorità istituzionali che si prendesse cura gratuitamente della nutrizione e della crescita dei neonati abbandonati e recuperati. Era un problema sociale ed economico che quella società pensava di risolvere con l’istituzione della ruota ma non vi riuscì. Alcuni diagrammi, elaborati su dati reali, estrapolati dagli elenchi dei battezzati dall'archivio di Santa Maria Maggiore di Pietraperzia, fanno capire meglio l’evolversi del fenomeno: nel diagramma a strisce si può seguire l’incremento del fenomeno dal 1610 al 1930 e in quelli a torta soppesarne l’incidenza sul numero di abitanti, in periodi diversi.


Nel corso del XIX secolo, a causa anche dell'aumento demografico, si cominciò a mettere in discussione la validità dell'istituzione della Ruota, che riversava sulle casse pubbliche il problema del sostentamento di tantissimi bambini abbandonati anche perché, troppo spesso, le famiglie numerose sceglievano di abbandonare i neonati nelle ruote perché non potevano garantire loro il sostentamento.
La prima città in Italia a chiudere la ruota fu Ferrara nel 1867, seguita dalle altre città della penisola, fino alla completa abolizione delle ruote all’inizio del Novecento.
Nel 1923 fu abolita e sostituita con il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini

A Pietraperzia la Ruota, ubicata in Discesa Carmine, accanto all’ex ospedale Rosina Di Natale, gestita da Giovanna Russano, nata il 22 Ottobre 1877, continuò a funzionare anche dopo 1931.

Giovanni Culmone




1^ Parte - Per leggere clicca qui
2^ Parte - Per leggere clicca qui
3^ Parte - Per leggere clicca qui



Le Rime - note dell’autore Giuseppe Mistretta




L’antologia le Rime, rappresenta la mia prima pubblicazione, il mio umile ingresso entro il vastissimo e variegato mondo della letteratura contemporanea.
La silloge composta da sessanta liriche è il frutto d’un lavoro creato nel tempo, considerato che le poesie sono state scritte in momenti e luoghi diversi, alcune a distanza di anni.
Il mondo della poesia è qualcosa di etereo forse solo un sentire, nel mio caso direi che s’è trattato d’un divenire, un’esigenza, certamente un dono. Il mio essere mi ha portato ad interessarmi di tutto, l’attività indagatoria artistica è partita molto presto con la musica alla quale si aggiunta la pittura e poco più tardi la scrittura.
Un paesaggio primaverile è di per sé poesia, esso può essere incastonato entro i versi oppure nella tela, in una musica o in tutte e tre le cose.
Ho fatto questo esempio perché alla “consociazione” delle arti io credo molto, così in molti casi le mie rime sono state ispirate dalla musica romantica ottocentesca, Chopin in primis, in esse le avvolgevo per farle brillare d’oro romantico.
Non fronzoli, cicisbei e maschere pirandelliane, ma ho cantato degli Ultimi, della nebbia e delle stagioni, della storia di alcuni luoghi a me molto cari, dei sensi umani, dell’amore e la fiducia verso l’umanità per i giorni a venire.
In ultimo, mi preme evidenziare quanto per me sia stato difficile impormi con il mio modo di scrivere, ciò nonostante, non ho mai mollato né creduto di dover rinunciare alla mia originalità. Sì facendo testardo come sono, ho pubblicato due libri e sono in procinto d’annunciare il terzo che dovrebbe uscire tra qualche settimana. La deriva decadentista moderna non mi entusiasma, anzi mi preoccupa molto, per quanto riconosca la validità del verso libero, preferisco scrivere cercando di non cancellare mai la radice classica e la parola aulica che in me nasce spontanea.
Io costruisco “bolle poetiche”, come un Imago, un Cantastorie romantico, per pochi istanti servendomi dell’etere della musica eccelsa, trasporto le genti in giro nel tempo sino a far apparire loro le immagini che voglio.
La poesia è pura filosofia, la scienza che abbraccia la fede, le razze che si stringono la mano, ogni cosa persino un sasso, attraverso la poesia può prendere vita, questo il poeta lo sa bene, egli avverte la responsabilità del suo dono, la parola poetica così sarà asservita al messaggio della fede, della speranza, alla divulgazione della conoscenza pura e mai edulcorata.

Giuseppe Mistretta





12 aprile 2018

Invito alla lettura: La convocazione



Ray Atlee docente di legge all'università della Virginia riceve, insieme al fratello, una lettera dal padre il giudice Reuben V. Atlee malato terminale, che vive in una villa malandata di Mapler Run nel Mississippi.
Nella lettera il giudice richiedeva la presenza dei due figli, Forrest ritenuto la pecora nera della famiglia e Ray, per discutere l'amministrazione dei beni di famiglia. In realtà il giudice possedeva solo la villa che per il suo decadimento valeva poco e sul conto in banca 6000 dollari.
Ray arriva per primo all'appuntamento e trova il padre morto con accanto una scorta di morfina e ben in vista un foglio con scritte le ultime volontà.

Nell'attesa dell'arrivo del fratello si mette a rovistare tra i documenti e negli armadi. Con grande stupore trova una pila di scatole piene di banconote: tre milioni e mezzo di dollari. La morte del padre e lo shock per il ritrovamento del denaro lo scuotono profondamente. La prima sua preoccupazione è quella di nascondere il denaro e tenere il segreto per preservare il fratello, un tossicomane, avrebbe speso tutto per acquistare droga.
Ray è perplesso, si pone una serie di domande sulla provenienza del denaro. Il dubbio che il giudice possa essere stato un corrotto lo tormenta, ma Ruben Atlee è stato nella sua vita un uomo onesto, duro con gli altri, duro con i figli, duro con se stesso ma integerrimo. Un uomo anche generoso disponibile ad aiutare i più deboli. Decide di indagare, di capire la provenienza di tutti quei soldi, di sapere se sono banconote false. Qualcun altro però è a conoscenza del malloppo trovato nelle scatole dentro l’armadio, qualcuno inizia a perseguitarlo, cerca d’incutergli paura. I giorni successivi vive come una preda braccata, capendo che quei soldi potrebbero ucciderlo, si troverà ad affrontare e subire una vita d’intrighi che lo porteranno a scoprire la provenienza del denaro e chi lo terrorizza, naturalmente il racconto si conclude con l’immancabile “colpo di scena” finale.
Una storia familiare, le vicissitudini di due fratelli, uno professore l’altro un balordo tossicomane e un padre non amato che li “convoca” per le sue ultime volontà. Certo non un romanzo irresistibile ma sicuramente, come tutti i thriller” di Grisham, una lettura piacevole, un racconto pieno di suspense che tiene inchiodati alla lettura per sapere come si conclude. Un libro che consiglio di leggere anche per le atmosfere che Grisham riesce a creare.

Lina Viola


Il libro è disponibile in biblioteca.





09 aprile 2018

Trovatelli e Ruota di Pietraperzia: "Rotare" di Pietraperzia - 3^ Parte



Gioacchino Toma – La guardia alla ruota dei trovatelli

Ruota dei trovatelli e "Rotare" di Pietraperzia


La "ruota" rimane l'istituzione più conosciuta per accogliere trovatelli. Ogni paese della Sicilia, dopo il Decreto del 30 aprile 1810 si dotò della struttura con la sua "pia ricevitrice" o “Rotara”, così chiamata la donna deputata a accogliere i proietti.
La "pia ricevitrice" poteva essere scelta tra religiose predisposte all’accoglienza con spiccata tendenza a svolgere il ruolo materno difficile ed impegnativo nei primi giorni di vita di una creatura abbandonata. A Pietraperzia si preferì affidare tale oneroso incarico a donne, già mamme, molto esperte ed affidabili. La donna che avrebbe dovuto ricoprire l’incarico era passata al vaglio di una commissione comunale formata da laici, religiosi e noti studiosi.

“Niuna donna sarà ammessa a quest'ufficio, se non avrà contestato di esser morto il suo figlio, o di averlo slattato, per prevenir le frodi che si van commettendo da talune non buone madri, le quali espongono fittiziamente i propri figli, ond'esserne incaricate della nutrizione con una mercede”

La Rotara o pia ricevitrice, a pieno titolo dipendente comunale, per contratto doveva dormire accanto al vano della ruota, per udire tempestivamente il vagito del bimbo che doveva accogliere per offrirgli le prime cure. All’occorrenza chiamava la balia, che teneva a disposizione, e lo faceva allattare. Appena possibile si recava in chiesa per il battesimo e autonomamente dava un nome e un cognome al bimbo.

A Pietraperzia il 22 maggio 1815, per la prima volta, si riscontra il nome della Rotara in occasione del battesimo somministrato al trovatello Calogero Vincenzo. A quella data Lorenza Puzzo aveva già compiuto 58 anni. Il sacramento fu celebrato da Don Vincenzo Toscano, Cappellano Sacramentale della Ven. Chiesa Madre. In quella circostanza, in assenza di altre persone, la stessa s’era prestata a fare da Madrina al piccolo.
Lorenza si era unita in matrimonio a Epifanio Puzzo il 15 Febbraio 1774, abitante in via Caterva n. 62, numero civico oggi non più verificabile per la nuova vigente toponomastica.
Era nata il 9 Agosto 1756 da Andrea e Filippa Bevilacqua con i nomi Francesca Paola Lorenza e concluse la sua vita terrena a 71 anni il 21 Aprile 1828 dopo avere dato alla luce e cresciuto otto figli tra cui Filippa che avrebbe “ereditato” lo stesso incarico della madre.
Il nome di Lorenza Puzzo si riscontrerà tante altre volte, fino al 20 settembre 1827 quando apparve per l’ultima volta per denunziare all’ufficio anagrafe il ritrovamento dell’ennesimo orfanello.

Filippa Arcadipane, figlia di Lorenza ed Epifanio Puzzo, nata il primo Aprile del 1785, il dieci Febbraio 1808 sposò Liborio Arcadipane ed il 15 agosto del 1828 venne selezionata a succedere alla madre. A quella data aveva già compiuto 43 anni ed era mamma di 3 figli di cui la più piccola aveva 5 anni.

Maria Cancemi, nacque l’11 Ottobre 1818 da Giuseppe e Giordano Maria, genitori nisseni, si riscontra la prima volta nel registro dei battezzati del 15 Marzo 1865. Di seguito a riscontro si riporta il particolare:
“15 Marzo 1865 io Sacerdote Pietro Nicoletti, Cappellano Sacramentale, ho battezzato un bambino, trovato oggi nella ruota di questo ospedale, a cui è stato imposto nome Giuseppe Jummo. Madrina fu Maria Cancemi, la stessa Rotaria”.

Antonnina Comunale, figlia di Gaetano e Giuseppa Madonia, nacque il 3 Dicembre del 1817, seconda di quattro figli, morì a 85 anni. il 9 Dicembre del 1902, dopo vere lavorato ininterrottamente alle dipendenze del comune fino alla vigilia della sua dipartita. Ebbe 3 figli tra cui Rosaria.

Rosaria Comunale, nacque il primo Luglio del 1844 da Antonina Comunale e da padre ignoto, sposò il 3 Novembre 1876 Filippo Russano ed ebbe due figli Giovanna e Filippo. Morì il 19 marzo 1925.

Giovanna Russano nacque il 22 Ottobre 1877, alla morte della mamma aveva già compito 48 anni e ritenuta idonea venne subito assunta dal comune con la qualifica di Rotara, restò in servizio fino alla soppressione dell’istituzione.

La ruota fu abolita nel 1923 e sostituita con il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini.
A Pietraperzia la Ruota, ubicata in Discesa Carmine, accanto all’ex ospedale Rosina Di Natale, continuò a funzionare anche dopo il 1931.

Giovanni Culmone




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