30 maggio 2018

Invito alla lettura: Caffè amaro




Il romanzo di Simonetta Agnello Hornby è ambientato in Sicilia ed è frutto di una lunga escursione storica che inizia a fine '800 per arrivare alla prima metà del secolo scorso.
La scrittrice in questo romanzo dal titolo apparentemente leggero, "Caffè amaro", racconta la storia di Maria, una ragazza di quindici anni, molto bella, che viene chiesta in sposa da un "signorotto blasonato" molto più grande di lei e innamorato perdutamente.
Pietro è un uomo colto, con la passione per i viaggi, collezionista di reperti archeologici. È un cultore di arte, teatro, amante della buona musica. Insomma un uomo di mondo che a modo suo ama godersi la vita.
Maria appartiene ad una famiglia borghese non molto agiata, il padre un avvocato con idee socialiste, la lascia libera di decidere del suo destino. Consapevole delle difficoltà economiche della sua famiglia, vede i vantaggi della proposta di Pietro e decide di farsi sposare.
Pietro non farà fatica a farsi amare; la riempie di premure e di dolci attenzioni che finiranno per conquistarla.
Avrà una vita piena con Pietro. Ormai donna matura, irrompe nel racconto, Giosuè, un amico d'infanzia che il padre di Maria ha cresciuto nella loro casa. Figlio di un suo amico, a cui ha fatto, prima di morire, la promessa di mantenerlo agli studi e avviarlo alla carriera militare. Giosuè dopo avere abbandonato la vita militare diventerà un uomo politico e per Maria il disvelamento di una seconda possibilità nella sua vita di donna affermata e consapevole della sua emancipazione.
La trama non particolarmente originale è quasi un pretesto per far scorrere tra le pagine il romanzo di Maria che si intreccia con la storia d’Italia e della Sicilia e le “storie” di tante famiglie italiane. Un'incessante carrellata che parte dai Fasci siciliani per concludersi con la seconda guerra mondiale e il bombardamento di Palermo. Pagine capaci, a volte, di un grande fascino evocativo,   come quando descrive le case bombardate di Palermo o i viaggi con Pietro. 
Visiteranno Crespi d’Adda, in Lombardia, dove la famiglia Crespi, grandi imprenditori, realizzarono un paese ideale per i loro operai. Maria, imprenditrice nelle miniere del suocero, da quella visita trarrà ispirazione per migliorare le condizioni di lavoro dei suoi "carusi". Una improbabile e inverosimile possibilità che serve solo come spunto all'autrice per descrivere il paese lombardo e la differenza delle condizioni di vita degli operai di Crespi e i minatori siciliani.

Nel libro vengono ricordati i temi che da sempre affliggono la Sicilia. L’incuria delle strade, le epidemie di tifo per la mancanza di fognature e dell’acqua potabile nelle case, le terre incolte, le miniere di zolfo, lo spreco del denaro pubblico, la violenza mafiosa, l’emigrazione.
E poi i viaggi, il fascismo, le colonie, le leggi razziali. Un guazzabuglio di Storia e di “storie” che a tratti mi hanno disorientato.
Le pagine che più mi sono piaciute sono quelle capaci di suscitare certi ricordi pieni di rimpianti, che pesano su tutti coloro che hanno dovuto lasciare la propria terra. La mia infanzia a Pietraperzia e poi l’adolescenza, poi giovane studentessa a Palermo; una città per me allora sconosciuta, bellissima nei miei ricordi, città ricca d'arte, coi suoi teatri, i suoi monumenti, i suoi artisti, l’odore delle "stigliole" e i colori dei mercati della Vucciria e di Ballarò. Il ricordo e lo stupore, ancora nei primi anni 70, per le macerie di quei palazzi bombardati della seconda guerra mondiale, e poi per lavorare, emigrata al nord.
Ricordi legati, sicuramente, alla nostalgia anche per la nostra autrice, che come tanti siciliani ha dovuto vivere lontano dalle sue origini, e che nonostante tutto hanno realizzato i propri sogni nelle città del nord, dove sono stati accolti.

Lina Viola



Il libro "Caffè amaro" è disponibile in biblioteca




21 maggio 2018

I Fasci siciliani e l'eccidio dimenticato di Pietraperzia





L’eccidio dimenticato di Pietraperzia


Gli avvenimenti che si verificarono a Pietraperzia il 1° gennaio 1894 sono una pagina di storia dimenticata e sconosciuta ai più. il tumulto che sconvolse, all'epoca, Pietraperzia causò molte devastazioni e l’uccisione di 9 nostri concittadini e tra questi un bambino di 5 anni.
Una strage di Stato nell'Italia unificata dai Savoia. Le sommosse e le uccisioni si ripeterono in molti comuni siciliani per tutto il 1893 e anche dopo lo stato d’assedio dichiarato dall'allora capo del governo: il siciliano Francesco Crispi.
Qui vogliamo ricordare e onorare le vittime dell’eccidio che si consumò a Pietraperzia.
Dopo l’iniziale fervore per fare l’unità d’Italia seguirono decenni di dolorose disillusioni economiche e sociali. Le miserevole condizioni di vita dei contadini, dei braccianti agricoli, dei minatori non erano cambiate. In Sicilia persisteva ancora uno stato sostanzialmente feudale. La maggior parte delle terre era in mano a poche famiglie arricchite di gabellotti. I cosiddetti “galantuomini” formavano una oligarchia dominante, e nei paesi erano i veri detentori di un potere incontrastato. Sindaci e consiglieri comunali venivano praticamente nominati tra queste poche famiglie. Gli elettori votavano per censo; a Pietraperzia nel 1893 il “corpo elettorale” era composto da circa 700 persone. L’imposizione di dazi e tasse era un’arma in mano alle amministrazioni che usavano spietatamente per colpire nemici ed avversari politici. Si favorivano parenti ed amici togliendoli dal Ruolo, a tutto danno dei poveri. Gli introiti derivanti dall'imposizione delle varie tasse non bastavano a coprire le spese obbligatorie del Comune e gli amministratori, anziché pensare a fare economia per pagare i debiti, formulavano nuovi progetti in funzione dei loro interessi personali. Non si facevano riunioni del Consiglio ed in una sessione si arrivava a non più di due sedute. Il sindaco passava diversi mesi dell’anno a Palermo, bloccando di fatto l'azione amministrativa; non si poteva sollecitamente avere un certificato, non si potevano fare richieste di matrimonio, non si sorvegliava sul servizio degli impiegati. Si concedevano gratis terreni demaniali agli amici; invece piccoli e piccolissimi proprietari senza titoli, che non riuscivano a far fronte ai debiti, venivano espropriati dei loro terreni da chi già ne possedeva la maggior parte. Tale era l’impunità dei grandi proprietari, che non esitavano ad appropriarsi di terre demaniali, praticare l’usura e taglieggiare i contadini con condizioni di mezzadria che lasciava loro pochi e precari mezzi per una stentata sopravvivenza. Questi parvenus, questi don Calogero Sedàra, presero a modello la vecchia e parassitaria nobiltà feudale per riprodurne il modo di vivere nei loro paesi di nascita.
È in questa situazione amministrativa, sociale ed economica che in Sicilia tra il 1889 e il 1892 sorsero, sotto le bandiere del “socialismo”, i Fasci Siciliani.
A Pietraperzia il Fascio dei lavoratori fu fondato nel settembre del 1893 per iniziativa di Francesco Tortorici Cremona, (inteso don Ciccio Cuḍḍuzzo), poeta, autore di componimenti tuttora letti e conosciuti da molti pietrini.
Il Fascio dei lavoratori di Pietraperzia arrivò a contare 306 aderenti composto quasi esclusivamente da contadini. I capi oltre al Tortorici Cremona erano Giovanni Santogiacomo, macellaio, Antonino Di Dio e Luigi Rabita, barbieri.
Dopo le prime manifestazioni, che si riducevano a pacifiche “passeggiate” con coccarde e qualche sciarpa rossa, la ricca borghesia di Pietraperzia e le autorità di polizia iniziarono a temere la tendenza insurrezionalistica dei Fasci. Conseguenze violente si sarebbero potute ripetere anche a Pietraperzia come già in altri comuni siciliani. Tortorici Cremona, forse per pressioni delle autorità locali o per convinzioni personali, si dimise accampando motivi che sembrano solo pretesti per scansare un pericolo che sente avvicinarsi. Alla presidenza del Fascio gli subentrerà Giovanni Santogiacomo, un pregiudicato con precedenti penali per reati contro le persone.
Il 28 dicembre 1893 il barone Tortorici scrive al prefetto di Caltanissetta una lettera che descrive i Fasci dei lavoratori come una organizzazione composta da anarchici e pregiudicati, che approfitta della credulità e dell’ignoranza del popolo per suscitare odio tra le classi. La miseria dei contadini, scrive il barone Tortorici, è soltanto un falso pretesto perché i contadini sono tutti proprietari di terra, i dazi sono miti, le tasse quasi inesistenti. L’incredibile lettera si conclude con la richiesta di una compagnia di soldati per garantire l’ordine pubblico.
Il 1° gennaio 1894 fin dal primo mattino per le strade di Pietraperzia si verifica un’inconsueta animazione. Questo insolito movimento di persone fa pensare a un passaparola per organizzare, come già in altre località, manifestazioni di protesta contro le autorità municipali.
Verso le ore 13.00, all’interno della matrice, si riuniscono un gran numero di persone. Uomini e madri di famiglia con i figli portati in braccio.
Usciti dalla chiesa si avviarono verso il piano Santa Maria (piazza Vittorio Emanuele) al grido di “Abbasso le tasse!”, “Siamo affamati!”. In piazza trovarono una forza schierata di 30 soldati. La folla fu invitata a sciogliersi, e anziché accogliere l’invito a tornarsene a casa partì una sassaiola contro i soldati ferendone alcuni. Una sassata in testa se la prese pure il Tortorici Cremona che assisteva da lontano alla manifestazione. I soldati, nonostante avessero sparato alcuni colpi in aria, furono sospinti verso il muro della chiesa, a questo punto fu ordinato di sparare sulla folla, restarono sul selciato 15 feriti e 9 morti:

1)    - BEVILACQUA Salvatore, di anni 5.
2)    - DI CATALDO Vincenzo, di anni 30.
3)    - GIARRIZZO Vincenzo, (Filippo), di anni 51.
4)    - MANCUSO Vincenzo, di anni 35.
5)    - PUZZO Paolo, di anni 50.
6)    - RINDONE Pasquale, di anni 22.
7)    - SIGNORINO Angelino, di anni 21.
8)    - TRIGONA Rosario, di anni 60.
9)    - VINCI Filippo, di anni 50.

Dopo l’eccidio i soldati si rifugiarono all'interno del convento di Santa Maria, lasciando il paese in mano al furore della folla. Furono distrutti l’ufficio del telegrafo e ne incendiarono l’edificio. Fu appiccato il fuoco all'ufficio del registro e al municipio. Pietraperzia allora era sede di pretura, fu incendiata pure la pretura. I casotti daziari agli ingressi del paese furono abbattuti e bruciati. Furono assaltati e devastati i due casini dei “galantuomini”, fu tentato l’assalto alle carceri situati nel castello ma furono respinti per due volte. Quando assalirono gli uffici dell’esattoria e della posta, situati nelle vicinanza delle abitazione dei fratelli Mendola e del sindaco Giuseppe Nicoletti dai balconi delle case di questi si affacciarono alcuni uomini che spararono sugli assalitori.
Gli incendi e le devastazioni furono limitati ai soli beni materiali e agli edifici.
Non vi furono né uccisioni né ferimenti tra gli impiegati e nei circoli dei “civili”, mentre durante gli assalti e gli incendi, la gente inferocita gridava "Ammazzammuli tutti!".
 Nei giorni successivi ai tumulti seguirono lo scioglimento del Fascio, arresti di massa e l’istituzione di tribunali militari. Per i disordini di Pietraperzia furono processati a Caltanissetta 73 imputati tra questi 10 donne. Il processo durò solo 8 giorni, dal 3 all’11 aprile 1894 e si concluse con condanne durissime e ingiuste. Fra i 73 giudicabili ne furono assolti venti, gli altri furono condannati a pene variabili da ventuno a tre anni di reclusione. 
Dopo la sentenza ci furono scene di disperazione tra le grida e i pianti degli imputati e i loro congiunti. La durezza delle condanne impietosì alcuni ufficiali del tribunale ma non i notabili e il sindaco Nicoletti, che nel processo depose contro quei poveri disgraziati e che ebbe l’audacia di sostenere l’inesistenza di tasse odiose nel suo paese. “Per vendicarsi dei ribelli non ha alcun ritegno nel contraddirsi sfacciatamente”  dichiarò un ufficiale, difensore degli imputati.
La pena più dura, 21 anni di carcere, fu riservata al barbiere Antonino Di Dio. La pena più pesante a una donna fu inflitta a Giovanna Buttafuoco, condannata a 10 anni.
Giuseppe De Felice Giuffrida, Il capo più rappresentativo dei Fasci siciliani e che influì sulla costituzione del Fascio di Pietraperzia fu condannato dal tribunale militare di Palermo a 18 anni. Trascorse in carcere 2 anni per essere successivamente amnistiato.
“Nel paese per molto tempo regnò il terrore. Chi aveva sognato o sperato una società nuova dovette disilludersi. Per motivi politici e sociali la borghesia terriera, che aveva eretto la sua fortuna sull'egemonia agraria fino ad allora praticata, continuò a prosperare... La sconfitta dei Fasci consolidò ulteriormente la sua egemonia. Ai vinti di sempre non rimase che scegliere fra la rassegnazione all'antico stato di cose o l'emigrazione verso il nuovo mondo”. 


Notizie storiche tratte dalla tesi di laurea di Vincenzo Di Natale e pubblicata dalla rivista trimestrale “Pietraperzia” n°1 – Anno IX – Gennaio /Marzo 2012










14 maggio 2018

Pietraperzia: come eravamo - 3^ parte


Il Parco della Rimembranza e la villa comunale 


Mentre, in tutti i paesi come il nostro, la maggior parte degli abitanti lottava per la sopravvivenza, in Europa l’egoismo dei popoli seminava malcontento. I governanti dei vari Stati sovrani con negoziati segreti e non e con patti bilaterali si schierarono in due formazioni contrapposte: Triplice Alleanza da una parte e Triplice Intesa dall’altra.
L’Austria-Ungheria il 25 luglio del 1914 ruppe ogni relazione diplomatica e, tre giorni dopo, fece la propria dichiarazione di guerra tramite un telegramma inviato al governo serbo: era l'inizio della Prima Guerra Mondiale.
Nel 1914 era Sindaco il Dott. Rosario Mendola, (nonno della farmacista Cristina), successivamente sostituito dall’Avv. Notaio Vincenzo Perdicaro.
Un anno dopo, il 24 maggio del 1915, l’Italia entra in guerra a fianco della Triplice Intesa assieme a Francia, Inghilterra, Russia contro Germania e Impero Austro-Ungarico.
Non c’era ancora la radio, i bollettini di guerra arrivavano in ritardo, venivano filtrati e spesso interpretati a convenienza; dati in pasto a gente analfabeta, accendevano le fantasie e qualcuno, per non partecipare alla guerra, si procurava gravi lesioni invalidanti e irreversibili.
Da questa sommaria descrizione emerge che, in ogni nucleo familiare, il perno dell’esistenza era l’uomo che sopportava tutto l’onere della sopravvivenza. Privare per motivi bellici la famiglia, anche solo temporaneamente, della presenza dell’uomo era come creare orfani e vedove anzitempo. E questa era la paura più assillante e ricorrente che spaventava le famiglie.
La prima guerra mondiale fu uno dei conflitti più sanguinosi di tutti i tempi. Nei quattro anni e tre mesi di ostilità persero la vita 9.722.000 soldati di cui 650.000 italiani e vi furono oltre 21 milioni di feriti. I civili non furono risparmiati: circa 950.000 morirono a causa delle operazioni militari e circa 5.893.000 perirono per cause collaterali: carestie, malnutrizione, malattie ed epidemie (particolarmente grave fu la cosiddetta "spagnola” che a Pietraperzia, che contava, 12.000 abitanti, dal 1916 al 1918, fece 1330 vittime di cui 561 nel solo 1919
Al termine del conflitto in tutta Europa, in ogni città e paese in lutto, sorsero monumenti commemorativi di varia estensione come Redipuglia in Italia.


A Pietraperzia il 3 maggio 1928, il Barone Michele Tortorici, Podestà in carica, a nome e per conto del Comune, acquistò dai Sigg. Crisafi Vincenzo e Di Lavore Liborio 1,22 ettari di terreno in contrada Canale Tonnovecchio per la realizzazione del Parco della Rimembranza, della Villa Comunale e del Campo Sportivo. Quasi quattro anni dopo, il 27 febbraio del 1932 la sedicenne Annita, figlia del Podestà in carica Antonino Guarnaccia, inaugurò il Parco della Rimembranza con annessi “Villa Comunale” e Campo sportivo. Ai lati del vistoso cancello in ferro battuto dell’ingresso principale, nella disposizione ad emiciclo delle dieci lastre di marmo, si leggono 118 nomi di caduti onorati da due sculture in basso rilievo, raffiguranti bandiera della Patria, moschetto e stella dell’onore. 
D’allora e senza interruzione di continuità ogni anno, per perpetuarne il ricordo di quanti caddero in nome della Patria, questo nostro sacrario, il IV novembre viene onorato dalle visite delle autorità civili e religiose locali ed ossequiato con la deposizione di corone di alloro, portate in processione dall'Amministrazione Comunale preceduta dal Primo Cittadino.

In margine alla delibera d’acquisto del terreno per la costruzione del Parco della Rimembranza, della villa comunale e del campo sportivo si legge:
In contemporanea alla Villa Comunale e al Campo sportivo doveva essere realizzato il Boschetto Littorio su terreno comunale sito all’incrocio della via per Riesi e la strada vicinale per Vallone dell’Oro e Cerumbelle.


Giovanni Culmone

Le puntate precedenti sono state pubblicate il 30 aprile 2018 e 7 maggio 2018




10 maggio 2018

Invito alla lettura: L'amica geniale



Ho iniziato a leggere "L'Amica geniale" perché mi incuriosiva il clamore per il successo del libro e per le voci sulla vera identità della scrittrice Elena Ferrante (sembra che dietro questo pseudonimo ci sia un noto scrittore napoletano e la moglie). Così ho voluto affrontare la lettura di questo “fenomeno letterario”: la quadrilogia dell’Amica geniale. Quattro romanzi, che mi hanno tenuta incollata per 1770 pagine: L'amica geniale del 2011, Storia del nuovo cognome del 2012, Storia di chi fugge e di chi resta del 2013 e Storia della bambina perduta del 2014.
Il racconto, narrato in prima persona, inizia con la scomparsa di Lila o Lina ormai sessantaseienne amica da sempre di Lenù o Elena, e ci conduce in una interminabile vicenda, a volte piacevole e rilassante, a volte triste e malinconica che avrà un risvolto finale sorprendente. Il racconto descrive in modo accurato e coinvolgente, una storia semplice intrecciata su alcuni fatti storici. La vicenda di due bambine e poi donne che rendono la lettura dell’intera opera appassionante.
Elena, voce narrante, usa, a volte, un linguaggio crudo e colorito che rafforza la scrittura rendendola più vicina e reale al folklore napoletano. Viene descritta la vita nel “rione", un quartiere povero della periferia napoletana in cui è nata. Nel rione, vengono rappresentati numerosissimi personaggi, alcuni di rilievo, altri secondari, tutti si muovono, tutti lavorano e tutti concorrono a dare spessore al romanzo. Quello che accade, come in un piccolo paese, è conosciuto da tutti coloro che vi abitano, perché amici o perché imparentati tra loro.
Il quartiere fa da palcoscenico alle diverse storie dei personaggi: storie di amore, di tradimenti, di amicizia, di politica; dove tutti lavorano e lottano per sopravvivere agli stenti quotidiani, ma dove l’unica cosa che conta veramente è il denaro e per ottenerlo si fa di tutto, ricorrendo anche all'illegalità.
È in questo quartiere, che l’autrice conosce bene, e ne conosce il tessuto sociale, che fa prendere forma al racconto di Lenù e della sua amica Lila.
Coetanee, compagne di scuola alle elementari e compagne di giochi, cresciute tra violenza familiare e ignoranza, col sogno per un futuro diverso da quello in cui sono nate. Qui un ruolo importante l’ha avuto la scuola per una delle due bambine: Lenù, che grazie alla maestra, che si è accorta delle potenzialità di entrambe si fa da tramite presso le famiglie e convincerle a farle proseguire negli studi. Elena si laureerà, farà esperienze, girerà il mondo. Lila si sposerà a solo sedici anni e arricchirà la sua cultura attraverso lo studio d’autodidatta.


  L’amica geniale  può sembrare una storia inverosimile, un’amicizia ossessiva, una vita in simbiosi, a tratti un rapporto patologico. Un legame tra le due amiche fatto di amore e di rancori, di fiducia e di gelosie, di grande ammirazione di Elena per Lila e di incomprensioni. Lila che ha una intelligenza superiore (l’amica geniale) ha sempre saputo influenzare Elena nelle scelte più importanti della vita.
Una descrizione puntigliosa dei luoghi e dei personaggi che segue man mano negli anni la loro ”crescita” nella fisicità, nei loro stati d’animo, nella maturazione delle loro personalità complesse.
Nel romanzo, invece, sono realistiche le situazioni che incrociano i fatti storici di quei decenni.
La struttura narrativa e l’ordine cronologico degli avvenimenti narrati mi hanno fanno rivivere sensazioni della mia infanzia e poi di adolescente e poi ancora gli anni sessanta, il movimento studentesco, i conflitti sociali di quell'epoca, il terrorismo (come in un flashback ho rivisto la devastazione della Banca Nazionale dell’Agricoltura; il giorno dopo l’attentato, casualmente, per lavoro, passavo da Piazza Fontana).
Un appassionante viaggio nella vita di due donne e la storia di quegli anni. Un racconto che coinvolge, di libro in libro e ti obbliga a leggere i successivi per il fascino del travaglio psicologico che l’autrice(?) riesce a trasmettere in pagine memorabili.

Lina Viola

Il libro "L'amica geniale" è disponibile in biblioteca.




07 maggio 2018

Pietraperzia: come eravamo - 2^ parte


Usanze e costumanze a inizio '900 



Ancora nei primi decenni del 900 le strade urbane, quasi tutte a fondo naturale e affollate da animali da cortile, fungevano da pattumiere. In estate erano coperte da uno spesso strato di paglia di scarto e letame essiccato al sole che d’inverno si trasformava in maleodorante fango. Le piogge autunnali erano attese e provvidenziali per ripulire le strade, almeno quelle in forte pendenza.
L’illuminazione pubblica della piazza e delle vie principali era affidata al lampionaio che governava e distribuiva in punti strategici lumi a petrolio.
La piazza pur riportando la denominazione di Corso Vittorio Emanuele, da Santa Maria a San Rocco era divisa in due tronconi ed attraversata dalle cavalcature che da via Uovo (oggi via Trieste) si portavano a via Selva (oggi via Roma) e viceversa, ma la gente continuava a denominare i due tronconi “Piano Santa Maria” e “Piano o Piazza San Rocco.

Carretti "parcheggiati" sul lato del marciapede prospiciente il fondaco
Il teatro comunale senza prospetto era attaccato al fondaco (stalle e deposito di carretti e anche albergo per carrettieri di passaggio e di occasionali viaggiatori) bisognerà arrivare al 1931 per andare da via Vittorio Emanuele a Piazza della Repubblica attraversando l’odierna via Monfalcone. Anche allora ci fu il bisogno della nomina di un Commissario Prefettizio, Sig. Balestrino Cav. Rag. Umberto, per firmare il decreto di demolizione delle case interessate.
Pane e pasta si preparavano in casa. Non erano arrivati ancora i torchi e la pasta si sfilava col matterello “sagnatù̢ri” e si tagliava col coltello: tagliarì̢na o lasagna. Se c’era più disponibilità di tempo si preparavano: filatid̩d̩i, maccarru̢na e cavati.
Per il pane chi non disponeva di forno proprio in casa ricorreva ai forni rionali che offrivano il servizio a pagamento in natura. Si pagava la cottura (ccu lu cucchju̢ni).
Per la macina del grano da poco era entrato in funzione il mulino dei Martorana (la màchina di Callaràru) ma era ben poca cosa per soddisfare le richieste di quella collettività che spesso era costretta a raggiungere i vari mulini ad acqua ubicati nelle nostre campagne o in campagne di comuni limitrofi.

Casa della famiglia Bertini Romano angolo via Roma
Incombeva il terrore del brigantaggio che spesso privava i proprietari, se non della vita, del carico e della cavalcatura. Si diceva a volte, che qualcuno si dava sporadicamente al brigantaggio per necessità, per sopperire alle precarie condizioni economiche che non consentivano di guadagnare legalmente il necessario al sostentamento della numerosa famiglia.
I mezzi di comunicazione erano carenti e a rischio brigantaggio. La Provincia, allora Caltanissetta, e altre realtà abitative, si raggiungevano col mezzo proprio; l’asino o la mula. Chi ne era privo noleggiava una cavalcatura privata o faceva ricorso al mezzo pubblico “la periotica” carrozza omnibus ad otto posti tirata da due cavalli. Fu in servizio a Pietraperzia a cura di Màstru Llillì̢ (Zito Calogero) fino a tutto il 1920. A causa della viabilità non tanto agevole e per carenza di mezzi pubblici di trasporto gli spostamenti da una città all’altra e gli scambi commerciali e culturali erano scarsi.
Di conseguenza ogni collettività abitativa era quasi autarchica e necessariamente e orgogliosamente ricorreva al proprio artigianato: per il vestito andava dal sarto; per le scarpe dal calzolaio; per la porta o i mobili dal falegname; per la rimessa dei ferri all’animale da soma dal maniscalco, dal fabbro per lavori più impegnativi; per il basto o i vari attrezzi agricoli, vardu̢ni ccu lu maniu̢ni (basto con arcione), vardeḍḍi, vìrtuli, visazzi rrutu̢na, andava dal bastaio; per il pellame “nti lu cunzarijutu”, un tizio che gestiva la concia delle pelli ricavate generalmente dalla morte degli animali da soma.
Ricorreva al barbiere, che, spesso, veniva pagato in natura con frumento o altri prodotti della campagna a seconda di quanti erano i componenti maschi di una famiglia. Oltre che barbe e capelli si ricorreva al barbiere per l’estrazione di qualche dente o per eventuale salasso “sagnija”.



Chiamava il muratore per ristrutturare la casa o farsi ricostruire "la manciatu̢ra" o la "tannu̢ra" (cucina a legna in muratura).
Si rivolgeva a “lu callararu” per stagnare pentole e tegami di rame, allora molto in uso. Oltre al pentolame di terracotta e di rame, non c’erano altri utensili per cucinare.
Chiamava “lu stagnataru” (lattoniere) per “allannari” (rivestire di lamiera zincata) o saldare la pila per lavare i panni.
Un economia povera e arretrata  che alle soglie del XX secolo usava ancora il baratto per il piccolo commercio di generi alimentari.
Da fuori arrivavano, sapone, sale, sarde salate, castagne, pomodori secchi “cchjappi”, estratto di pomodoro essiccato al sole, frutta secca, noci e nocciole e raramente frutta fresca.
Caratteristico era il venditore di maialini: arrivava con due grossi resistenti cesti cilindrici, caricati orizzontalmente a basto di m ulo, e mostrava ai clienti i cuccioli che emettevano sonori e assordanti grugniti.
Per il commercio di quei pochi manufatti arrivati da fuori aleggiava la più grande sfiducia e i prodotti venivano bollati col detto “cosi accattati a la canna” per significare scarsa qualità e poca resistenza all'uso.

Giovanni Culmone


La puntata precedente è stata pubblicata il 30 aprile 2018



Per la 3^ parte clicca qui



04 maggio 2018

Invito alla lettura: Figli di uno schizzo



Il romanzo del ritorno “Figli di uno schizzo” e la mia idea di scrittura.



In un mondo che alza troppo spesso la voce per cose futili, che diventa talvolta stretto per i sogni e di desideri di tutti, c’è chi si mette in un angolino e ritrova il suo mondo, il suo essere, attraverso la scrittura che è un riparo da tutto il caos mondano.
La scrittura è il linguaggio di chi non sa parlare, o meglio, non vuol parlare a chi non ha voglia di ascoltare in un mondo che va di fretta, per cui rimane lì pronta a svegliare  le emozioni dell’io di chi scrive, ma anche di chi vuole leggere  per vivere una vita in più.
Figli di uno schizzo è un romanzo che segna il ritorno, il ritorno di una passione che non se ne è mai andata, perché è così: ciò che amiamo non ci lascia mai del tutto, si può mettere da parte, ma lasciarci mai.
Così come un marinaio ritorna a casa dopo un naufragio, io, tra una parola, una virgola e un punto, ho ritrovato me stesso, sono ritornato nel mio mondo perché il bisogno di scrivere dentro di me l’ho sentito urlare.
Scrivere è una dimensione che non ha tempo, nella quale ci caliamo ogni volta vogliamo comunicare qualcosa che altrimenti sarebbe incomunicabile, restando chiusi in noi stessi.
Scrivere è la voce della spontaneità, della meraviglia.
Scrivere è mettere un attimo in pausa la propria vita per viverne qualche altra, e magari poi tornare alla propria vita un po’ più ricchi.


Giuseppe Bianco


Breve biografia:
Dal 2000 al 2008 ho vinto numerosi concorsi letterari sul territorio nazionale, sono stato membro di giuria in molti concorsi, ho gestito il sito letterario “Le parole per te” dove si dava spazio ad autori esordienti e più conosciuti. Ho organizzato per 10 anni il concorso letterario “Città di Caivano – Le parole per te”, curato varie antologie. Direttore editoriale della casa editrice ALBUSedizioni. Pubblicato tre libri “Lungo la strada del tempo”, “Chiedilo all’amore” e “Figli di uno schizzo” libro che segna il ritorno dopo una lunga distrazione.

Il libro è stato donato alla biblioteca dall'autore. Potrete leggerlo a breve.