25 giugno 2018



Puntara lu Parcazzu (foto di Filippo Arena)



SALVATORE GIORDANO, è nato a Pietraperzia, dove è vissuto fino all’età di vent’anni. Si è poi trasferito a Torino, città in cui vive, ora in pensione, dove ha esercitato la professione di maestro e successivamente quella di Dirigente Scolastico.


La “Puntara di lu Parcazzu”, roccia calcarea dalla forma caratteristica, attrazione turistica della Riserva Naturalistica dell’Imera meridionale, sorge a cinque Km ca da Pietraperzia, all’interno dell’ex feudo Minniti che, appartenuto ai Baroni Tortorici, venne  smembrato e suddiviso in tanti piccoli appezzamenti per effetto della Riforma Agraria(1950). Prima della riforma, nel periodo estivo, per molti anni della mia infanzia la Puntara fu luogo delle mie scorribande ed esplorazioni. Ricordo che al sorgere del sole la sua ombra si proiettava e copriva la casa colonica dove abitavo con la mia famiglia. Tra i suoi antri trovammo rifugio durante la seconda guerra mondiale.
La “Puntara di lu Parcazzu” compariva come  uno dei soggetti simbolici che illustravano il calendario del 2014 fatto pubblicare dal Circolo di Cultura di Pietraperzia.

All’ombra di la Puntara

Salvatore Giordano
Giganti eressero
questo tempio megalitico
all’alba dei tempi!
Monumento alla vita e alla fertilità
il nome ispirò agli antichi
la sua forma bizzarra.

Dimora prescelta di uccelli rapaci,
conigli prolificano tra gli anfratti
strisciano bisce tra le sterpaglie;
spontaneo cresce il cappero tra le pareti,
il ficodindia intorno domina incontrastato;
l’odore dell’origano si diffonde nell’aria.
Rifugio sicuro offrì agli umani
in tempi calamitosi.
All’ombra della puntara di li Minniti
ho vissuto i primi anni di vita
fin dai primi vagiti!
Allora ancora lo spirito di Cerere
aleggiava tra queste terre a lei care:
il biondo ondeggiare delle messi
il cuore riempiva di speranze,
il mandorlo fioriva
al sorriso di Kore, la fanciulla.

Tra le stoppie riarse
punto nero, bambino mi rivedo
nell’ora della canicola,
sotto il sole che abbaglia
e il frinire incessante delle cicale
monotono risuona.
Contro il cielo di cobalto
i falchi bucano l’azzurro,
lievi oscillano alla leggera brezza
e dolcemente planano
lasciandosi cullare.
Accesi da gioia selvaggia
emettono acuti stridi
e improvvisamente si tuffano
a ghermire sicuri.
Dai miei sogni mi desta il grido della vittima.

A voi ritorno luoghi mitici
della mia prima età
come alla culla che mi tenne in fasce,
come al seno di mia madre
da cui succhiai umore e nutrimento.

Custode dei sogni e delle mie fantasie
maestosa si erge la Puntara
testimone solitaria di un tempo senza storia
L’avvolge la nebbia dei ricordi.
Di fronte ammicca la barresia rocca di Petra.
                                                      



Ritorno al mio paese

Maria Giordano
Dopo parecchi lustri e qualche mese,
tornai a visitare il mio paese.
Scopo primario andare al cimitero
dove papà riposa nel suo seno.
Incrociando il suo sguardo
sentii una stretta al cuore,
un fremito m’invase 
misto ad un gran dolore.
Mi sentii d’improvviso 
la guancia accarezzare,
fui certa che papà
mi volle incoraggiare. 
Nel rivedere i nonni,
ebbi un grande sussulto,
presto di loro due
mi ricordai di tutto:
di nonno rimembrai
molte delle sue storie;
della nonna i sermoni
insieme alle leccornie.
Il giro terminai 
di amici e di parenti
e quanti ne incontrai 
di vecchi conoscenti.
Quando giunsi in paese
mi ci volli inoltrare,
una giornata intera
gli volli dedicare.
Mi colpì il gran silenzio
delle sue antiche strade,
porte sbarrate vidi
e arrugginite grate.

Passai davanti casa, 
che una volta fu mia,
anch'essa trovai chiusa,
mancava ogni allegria.
Mi accorsi di un oltraggio
che a lei fu procurato:
il bel barocco attorno
le avevano asportato;
e col prospetto improprio
che venne realizzato
è stata deturpata 
la casa e il caseggiato.
La lapide sul muro
fa a tutti ricordare
che l’eroe dei due mondi 
vi venne a soggiornare.
Rividi con piacere 
la cara vecchia scuola:
la ritrovai dimessa,
cadente, triste, sola.
Quanti ricordi in me
di lei conservo ancora!
E il cicaleccio sento, 
urla piene di gioia
della dolce stagione 
che mai mi venne a noia.
Di san Francesco il colle 
un tempo degradato 
fu motivo di gioia
vederlo trasformato:
alla Via del Dolore 
è ora dedicato, 
da Quattordici stazioni 
il percorso è segnato.

La statua del Risorto 
spicca sulla salita,
l’Opera resterà oltre la vita. 
Santa Maria Maggiore,
solenne e maestosa,
la bella Cattedrale,  
domina su ogni cosa.
L’incontro con la piazza 
fu grande delusione,
la ricordavo enorme 
con tanta confusione;
essa mi apparve invece
piccola e striminzita, 
perché anche per lei
crudele fu la vita:
la bella gioventù 
la volle abbandonare
che oltre al suo passeggio 
nulla poté più dare. 
Fu ameno dall’aereo 
contemplare il mio mare
e con un nodo in gola 
continuare a pensare. 
                                   
       

18 giugno 2018

Eccidi Borbonici a Pietraperzia e Garibaldi nella casa della famiglia Di Blasi


A Pietraperzia il pensiero conservatore, configurato nella politica borbonica e appoggiato da una parte del clero istituzionale, si oppose alla cultura liberal-massonica di tipo progressista che fu prevalente nella seconda metà dell'Ottocento fino agli inizi del Novecento e che, tendenzialmente, era legata alle vicende storiche dell'unità d'Italia, soprattutto al garibaldinismo.
La mattina del 26 maggio 1860 la guarnigione borbonica, composta di 2000 uomini e comandata dal Maresciallo Afan de Rivera, arrivò a Pietraperzia. Essa proveniva da Caltanissetta ed era diretta a Catania. Quei soldati e i loro comandanti, esasperati probabilmente dalle notizie delle sconfitte che i loro commilitoni avevano subito a causa dei volontari garibaldini, che erano sbarcati a Marsala l'11 Maggio 1860, e vedendo come un dileggio l'accoglienza gioiosa dei pietrini - che imprudentemente avevano issato il tricolore sulla torre del castello - attaccarono la folla "con diverse scariche di fucile a punte di baionette", uccidendo quattro persone e ferendone molte (1). La gente attribuì alla Madonna della Cava il miracolo che le vittime fossero state soltanto quattro. L'esperienza dolorosa e tragica causata dai soldati borbonici convinse diversi volontari pietrini, assistiti economicamente da sponsor di Pietraperzia con 38 ducati raccolti, a recarsi a Palermo per stare agli ordini di Garibaldi. In un documento riportato dalla "Rivista Storica del Risorgimento" (Torino 1934) Luigi Enrico Pennacchini ci fa sapere che dal 21 luglio al 22 agosto 1860 si riunirono a Caltanissetta 72 giovani "anticipando tutte le spese necessarie di propria tasca" per formare il battaglione "Niederhausern". Dai cognomi riferiti sembrerebbe che alcuni siano di provenienza pietrina.
Le nuove idee liberaleggianti, che circolarono con la venuta di Garibaldi in Sicilia, influenzarono l'andamento politico della nostra contrada, dove per iniziativa del liberal-massone Filippo Perdicaro, fu istituita il 9 marzo 1862 una sezione della "Società Unitaria Nazionale" di ispirazione garibaldina, divenuta poco dopo "Associazione Emancipatrice Italiana". Essa aveva due scopi: appoggiare economicamente le campagne militari dei garibaldini e inviare dei volontari per liberare i territori di Roma e Venezia che ancora non facevano parte dell'Italia. In quella prima seduta del 9 marzo i soci nominarono Giuseppe Garibaldi Presidente onorario dell'Associazione e il "patriota Francesco Crispi" socio onorario.


Il 13 luglio 1862 la "Società Unitaria Emancipatrice di Pietraperzia", su proposta del suo presidente Filippo Perdicaro, invitò Garibaldi a venire a Pietraperzia. Garibaldi accolse quell'invito, tramite una delegazione di pietrini facoltosi che andarono a trovarlo a Caltanissetta. il poeta e cultore di cose patrie, Francesco Tortorici Cremona, in un interessante articolo intitolato "Notizie Storiche di Pietraperzia", scrisse: "nello scorcio dell'estate del 1862 Giuseppe Garibaldi con i suoi volontari fra le acclamazioni entusiastiche del popolo, entrava trionfalmente in Pietraperzia, dove la famiglia Di Blasi gli offerse generosa ospitalità quale si conveniva a tanto uomo. La marea della gente, accorsa in Via S. Francesco (attuale Via Principessa Deliella) per vederlo e sentirlo parlare, obbligò il duce ad affacciarsi al balcone da cui pronunziò parole inneggianti alla libertà conquistata a prezzo di sacrifici. Terminò il suo dire col grido "O ROMA O MORTE! " e l'eco si ripercosse in migliaia di petti e migliaia di voci ripeterono le fatidiche parole."


Fu ospitato in Via San Francesco (oggi via Principessa Deliella) nella casa della famiglia Di Blasi, cioè dei suoceri di Filippo Perdicaro che aveva sposato donna Agata Di Blasi. Si ritiene che il giorno della presenza di Garibaldi a Pietraperzia sia stato l'11 agosto.
La propaganda garibaldina di volontari per la spedizione della liberazione di Roma e Venezia ebbe a Pietraperzia buon esito. Si raccolse una consistente somma con cui si equipaggiò un battaglione di 60 pietrini al comando di Michele Furitano. Essi dopo il 16 agosto si disposero a partire.

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Nell'articolo di Francesco Tortorici Cremona così si legge: "L'indomani si videro capi di famiglia prendere concedo dai figli e dalla sposa; giovani plebei e di famiglie agiate tralasciare il lavoro, gli studi, disinteressarsi della carriera, abbandonare i genitori, le amanti e tutto ciò che avevano di più caro, di più sacro, per seguire la sorte dell'Eroe." 


tratto da: PIETRAPERZIA n° 1 Anno VI Gennaio/Marzo 2009 - Sac. Filippo Marotta
(foto di Antonio Caffo)


(1)    Il Priore dei francescani di Pietraperzia, fra' Francesco Nicoletti, in data 27 e 28 maggio 1860 invia lettere di protesta e scrive che furono uccisi «fanciulli innocenti, imbelli donne, pacifici ed inermi contadini... si deplorano sinora circa trenta vittime, si son trovati dei cadaveri divorati da cani, si fa ricerca di fanciulli dispersi o uccisi nelle campagne vicine» (Lino GuarnacciaIl Castello di Pietraperzia, Tipografia Di Prima, Pietraperzia, 1985, p. 151). 

Nel registro dei morti della Matrice dell’anno 1860 le annotazioni con le vittime uccise dai soldati borbonici vanno dal n°147 al n°151 del giorno 27 maggio e riportano la dicitura “quia intefectus fuit a Militia Regis”, mentre nei registri comunali e riportato il luogo dove vennero uccise e la data della morte, che fu il 26 maggio. 
Le vittime accertate furono cinque:
Salvatore Guarnaccia di anni 64, ucciso presso la propria abitazione;
Rosario Culmone, di anni 66 , ucciso nella campagna vicino il canalicchio;
Leonardo Fiore, di anni 28, ucciso nella campagna dietro alla Santa Croce;
Luigi Miccichè, di anni 15, ucciso nella casa rurale della Santa Croce;
Vincenzo Viola, di anni 18, ucciso nella porta dell’orto dello spezio.









11 giugno 2018

Il castello di Pietraperzia: di Jeanne Villepreux-Power



Lato esterno a est del castello. In primo piano la torre quadrangolare, la bifora la finestra per il Gran Salone. (Foto proprietà Giuseppe Maddalena)

Del castello di Pietraperzia abbiamo una preziosa testimonianza di Jeanne Villepreux-Power che lo visitò e lo descrive com'era ancora intorno al 1840. All'epoca il castello era adibito a prigione e si era conservato ancora pressoché integro. L’autrice, una naturalista francese, per vent'anni viaggiò per la Sicilia, soprattutto lungo le coste, descrivendo e disegnando paesaggi, monumenti d’arte, personaggi illustri. Una vera guida per i viaggiatori dell’epoca nella quale non dimenticava di inserire le migliori locande e corrieri, il valore delle monete, le principali fiere, la tariffa de' cavalli di posta.

Guida per la Sicilia - opera di Giovanna Power nata Villepreux,

Napoli, dallo stabilimento tipografico di Filippo Cirelli, 1842


Pietraperzia, distante sette miglia da Caltanissetta conta 9292 abitanti.
Si vuole che derivi dall’antica Caulonia, le cui rovine, Cluverio (Filippo Cluverio storico-geografo vissuto nel XVII secolo) le colloca vicino Pietraperzia; ma poiché questo dato si basa su argomenti molto incerti, lasciamo critiche e disquisizioni archeologiche ai dotti, dirò soltanto ciò che fu questa deliziosa terra nei tempi antichi.
Ruggero il Normanno la donò ad Abbo Barresi; i discendenti di esso furono spogliati da Federico II; ma Abbo III in grazia della Regina Eleonora, riebbe la sua baronia.
Sotto Carlo V d'Asburgo, ed ai tempi del Fazzello, Matteo III Barresi ne fu investilo con titolo di Marchese. Nel 1364 Filippo II ne nominò principe Pietro Barresi, come si rileva da una lapide che ancora oggi si conserva intatta nel castello.
Il castello è ammirevole, sul quale mi tratterrò forse lungamente; ma lo reputo degno di particolare nota. Lo visitai, ed il mio cuore restò vinto dalla meraviglia e dal rispetto. Sorge a tramontana del paese, in mezzo a forti merlati baluardi, e a mezzogiorno c’è l'entrata. Da qui è il miglior punto per vederlo, offrendoci il suo prospetto e la parte laterale della gran sala, con tre grandi finestre di gusto Normanno, e qualche mensolone rimasto lungo la cornice. L'accesso è breve e a mancina. Prima d'entrare nel cortile, in una nicchia di marmo bianco, ornata nello stile del cinquecento, si vede un busto, forse di uno di casa Barrese. Dirimpetto vi è la cappella intitolata a S. Antonio; la porta, di marmo bianco, è abbellita da ornati e figure anche del cinquecento, ma l'interno, soprattutto la parete del fondo, è pieno d'ornati moreschi, e con nettezza sono scolpiti quei fogliami traforati e spinosi. Lungo i piedritti della soffitta si leggono alcune sentenze bibliche della Genesi, scritte nel vernacolo siciliano di quei tempi. Di fronte all'ingresso del cortile si conservano le arcate, composte di grossi pilastri quadrati, ogni angolo delle quali è composto da colonnette e fasce, che girano nell'imposta; e nelle alette vi sono zoccoli capricciosamente scolpiti, con animali ed altre figure aggruppate. Sopra le arcate si apre una gran finestra, con bei profili; sul fregio si vedono emblemi baronali e segni dello zodiaco; i grossi zoccoli laterali al parapetto, sono ingombri di animali.
Dall'ingresso si sale una scala molto decorata, che da una parte conduce al prospetto bugnato della grande sala; è la gran porta di stile Normanno, con molte colonnette, ed in uno dei pilastri si osserva ancora una statua corrosa dal tempo. Gli intagli sono di pietra di duro travertino. In mezzo alla scala, su di un torrione, s'alza una statua di S. Michele. L'altro braccio di scala porta in un’ampia loggia, che introduce a numerose stanze e a sotterranei incavati nella viva pietra; da questi incavi nella pietra e da questi trafori si vuole, da alcuni, l’origine al nome del paese, perché da Pierre percée è facile derivarne Pietraperzia; altri però preferiscono altre etimologie, e farebbero derivare il nome dagli arabi. Dai diversi stili d'architettura, sembra l'edificio appartenere a diverse epoche. E a noi piacerebbe, se tra questi memorabili avanzi di arte medioevale, al posto di vedervi sgherri, carceri e carcerati, vi trovassimo cose che abbellissero e rallegrassero quella veneranda solitudine. Prima che parli del territorio di Pietraperzia è utile avvertire il viaggiatore che questa terra è stata sempre feconda di elevati ingegni; ma per quella sventura che spesso accompagna i migliori, sono stati trascurati dagli storici. Il suo territorio contiene dell'asfalto; presso la strada che porta a Barrafranca vi è un tratto di terreno calcareo contenente delle ostree fossili (ostriche fossili).

La donna che inventò l’acquario: la storia, le ricerche, i tributi




Jeanne Villepreux nasce il 25 settembre 1794 a Juillac, un piccolo paese francese a circa 400 chilometri da Parigi. Le condizioni della famiglia, di cui è la primogenita, sono modeste: il padre, Pierre, è un calzolaio, la madre, Jeanne Nicot, è una donna colta per l'epoca; il suo nome appare nella lista delle donne che possono istruire i bambini del comune, al posto degli istitutori decimati dalla Rivoluzione. Dota sua figlia di un tesoro raro per una donna di semplice estrazione di quel tempo: le insegna a leggere e a scrivere. Muore quando Jeannette ha solo 11 anni.
Nel 1812, a diciotto anni, forse per dissidi familiari, Jeanne decide di recarsi a Parigi. Le scarse notizie biografiche non permettono di ricostruire con esattezza come la giovane donna, dopo alcune iniziali disavventure, abbia potuto cavarsela. Giunta a Parigi, davanti ad una vetrina di un negozio di moda, la proprietaria la nota ed inizia a chiacchierare con lei. La giovane è spigliata ed entusiasta; le viene offerto un posto di lavoro. In breve tempo Jeanne lavora come ricamatrice nell'atelier di moda.
Deve avere avuto sicuramente talento se dopo quattro anni dal suo arrivo nella sartoria le viene affidato l'incarico che cambierà radicalmente il suo destino; il ricamo del vestito da sposa di una principessa di sangue reale: Maria Carolina di Borbone, nipote del re Ferdinando I delle due Sicilie, con Carlo Ferdinando d'Artois, Duca di Berry, nipote del re di Francia Luigi XVIII. È l'evento spartiacque nella vita di Jeanne Villepreux.
È in questa circostanza che la giovane ricamatrice incontra James Power, gentiluomo irlandese di nobili origini, nato nelle Antille il 28 febbraio 1791, destinato dopo due anni a diventare suo marito.
Si narra che James Power, si trovasse a Parigi nei giorni dei festeggiamenti per il matrimonio principesco. Nel vedere l'abito nuziale, colpito dallo splendore dei merletti e dei ricami, avrebbe chiesto di incontrare l'anonima autrice per manifestarle la sua ammirazione.
Sarebbe avvenuto così l'incontro che in un breve volgere di tempo avrebbe condotto, in tutt'altro contesto, anche Jeanne Villepreux all'altare, per unirsi in matrimonio al giovane mercante irlandese James Power.
La cerimonia nuziale tra la sposa di ventiquattro anni e lo sposo di tre anni più anziano, si svolge il 4 marzo 1818, nella Chiesa di S. Luca, a Messina. Ed è sulle rive dello stretto, dove James Power esercita una solida attività commerciale, rapidamente affiancata da iniziative finanziarie ed imprenditoriali, che Jeanne Villepreux Power vive i prossimi 25 anni della sua vita.
Nel 1843, quando lascia la Sicilia, è associata ad almeno diciotto tra accademie e istituzioni scientifiche internazionali, carica di riconoscimenti per i suoi studi naturalistici e le sue scoperte di biologia marina, le viene anche attribuito l’invenzione dell’acquario, muore nel paese dov’era nata il 25 gennaio 1871.






08 giugno 2018

Invito alla lettura: La notte della volpe



La notte della volpe di Jack Higgins è una lettura appassionante. Un romanzo storico che attraverso fatti storici fa rivivere l'occupazione delle isole della Manica, al largo delle coste inglesi. L'isola di Jersey fu occupata dai tedeschi nel 1944. Jersey, oggi paradiso fiscale della City di Londra, è l'isola più grande del canale della Manica.
Il racconto inizia nel 1985, dopo tre anni di difficoltose ricerche, il professore Alan Stacey tramite un amico della CIA, viene a conoscenza che è stato trovato il corpo di Harry Martineau e che a Jersey avranno luogo i funerali con una nuova sepoltura. Harry Martineau nel gennaio 1945 risultò disperso dopo un volo su un Arado 96, un biposto da addestramento utilizzato dai tedeschi e ritrovato due settimane prima, con il relitto dell’aereo, in un acquitrino dell’Essex in divisa da ufficiale tedesco della Luftwaffe.
Harry Martineau è il personaggio principale del romanzo; professore di filosofia morale a Oxford, lavorava presso il Ministero dell'Economia bellica come agente del controspionaggio inglese SOE, costituito nel 1940 da Churchill per coordinare la resistenza e i movimenti clandestini in Europa.
Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, durante un esercitazione nel Canale della Manica, due unità americane vengono colpite e affondate da motosiluranti tedesche, con la perdita di seicentocinquanta marinai, tra questi rimane ferito il colonnello Hugh Kelso. L’ufficiale americano è a conoscenza di informazioni segretissime riguardanti l'ora è il luogo dello sbarco in Normandia. Il colonnello si salva approdando fortunosamente nell’isola di Jersey occupata dai tedeschi. Viene soccorso e salvato da Helen de la Ville che lo cura e lo nasconde nella sua casa. Il generale Eisenhower, comandante a capo delle forze Alleate in Europa, viene informato che il colonnello Kelso è sfuggito alla morte e ha trovato rifugio nell’isola.
Al comando Alleato c'è molta preoccupazione per la sorte del colonnello, se dovesse essere catturato e torturato potrebbe rivelare le informazioni riguardanti lo sbarco.



Eisenhower dà una settimana di tempo per trovare la soluzione e portare via dall’isola il capitano Kelso. Di salvare e trasferire Kelso dall'isola viene incaricato Harry Martineau. Una persona speciale, freddo e spietato, utilizzato come killer, in grado di compiere missioni difficili e pericolose. Deve riuscire a portare via da quella fortezza “inespugnabile pullulante di nemici” Kelso, o altrimenti ucciderlo: Martineau è perfettamente in grado di svolgere questa difficile operazione. Pronto a piantare una pallottola in mezzo agli occhi di Kelso se necessario.
Travestito da ufficiale tedesco, assumerà il ruolo di un colonnello nazista. Viene affiancato da Sarah Anne Drayton, nipote di Helen de la Ville nata a Jersey e agente del SOE. Sarah è una affascinante infermiera con il ruolo di “puttana e di amante”. Con dei lasciapassare falsi cercheranno di raggiungere Jersey.
Al di là della ricostruzione storica dello sbarco in Normandia, personaggi  storici reali e personaggi del romanzo vengono descritti e agiscono in un clima di guerra che fa riflettere sulle tremende condizioni di vita delle popolazioni, costrette a sopravvivere sotto una dominazione feroce.
Un romanzo carico di suspense una trama incalzante costruita con continui colpi di scena e un finale mozzafiato.

Lina Viola


l libro "La notte della volpe" sarà disponibile in biblioteca a Luglio





04 giugno 2018

La Terra di Pietra-Perzia: storia e origini



La fonte principale a cui far riferimento riguardo la storia di Pietraperzia è quella di Fra’ Dionigi Bongiovanni[1] nato a Pietraperzia nel 1744. Divenne sacerdote nell’Ordine dei Frati Minori Riformati di S. Francesco, oltre che insegnante e predicatore. Egli fu anche il primo storico locale ad aver tentato di risalire alle origini della sua patria, seppur ricorrendo ad ipotesi azzardate laddove mancassero documenti e fonti scritte. L’opera si propone di far conoscere la storia del ritrovamento dell’icona della Madonna della Cava dipinta su parete, divenuta poi Santa Patrona del paese, ma in essa non mancano riferimenti dettagliati alla descrizione di Pietraperzia e dei suoi abitanti, contenuti nel primo capitolo del testo.
Le origini di Pietraperzia risalgono intorno al 300 a.C. a partire dal sito di Caulonia nell’entroterra siciliano, esteso per tutta la contrada Ranfallo (o Granfallo) fino al territorio La Guardia; eppure, osservando i ruderi della Rocca, non sembra assurdo affermare che su questi sia esistito un villaggio primitivo neolitico. Lo storico che per primo ne parlò fu Strabone, secondo cui la Caulonia di Sicilia fu fondata dagli abitanti di Caulonia di Calabria, esiliati in Sicilia da Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa.

Sito Rocche


L’antichità del luogo è testimoniata dal ritrovamento di alcune monete nei pressi del Castello; nel 1955 infatti venne rinvenuta una moneta risalente al periodo cartaginese, in particolare un Esadramma siculo-punico del 350 a.C. Ma questa non fu l’unica, poiché nel 1970 fu ritrovato un Tetradramma d’argento risalente al periodo di Dionisi il Vecchio (396 a.C.); un altro esemplare di questa moneta è visibile al Museo numismatico di Londra, sul cui verso è riportata la testa di Eracle ricoperta da una pelle di leone, sul retro invece è raffigurata una figura femminile che indossa un doppio mantello, con il braccio destro alzato e il sinistro appoggiato ad una colonna; sulle due facciate della moneta si può leggere Petri e Petrinos. Lo storico locale Lino Guarnaccia[2] inoltre asserisce di aver visto una moneta d’argento, esattamente un Tetradramma, risalente al periodo del tiranno Gerone II (270-216 a. C.), di cui però non conosce il luogo di ritrovamento.

Anche numerosi siti preistorici testimoniano oggi l’antichità di Pietraperzia, come il sito Satanà, a due miglia da Pietraperzia, di cui ha scritto lo storico Diodoro Siculo; di esso sono ancora presenti medaglie, mattoni, pietre intagliate e costruzioni antiche; poco distante vi è anche il sito detto Rònze; non molto lontano da Caulonia vi era la città subalterna Calata Pilegio, dove ancor oggi sono presenti grotte artificiali. In contrada Raggadesi è stato ritrovato un vasto sepolcro, che testimonia l’antica presenza di un casale. Nella tenuta Petra dell’Uomo furono ritrovate numerosissime testimonianze dell’antichità del luogo; ma il sito archeologico più importante è quello di Cuddaro di Crasto: «Età preistorica, si parla di età del Rame tardo (2600 – 2400 a.C.). Alcuni frammenti di questa età, nella loro sottospecie della cultura preistorica siciliana, […] sono stati scoperti nell’area archeologica. Si presentano a superficie rossa, lucidata e creata con un impasto grezzo e grossolano. Poi ecco l’età del Bronzo antico (2300–1450 a.C.) […] E’ una cultura preistorica che si caratterizza per l’uso di tombe a forno senza pozzetto verticale, normalmente situate alle pendici di zone collinari […] A Tornambè – Fastuchera le caratteristiche della facies castellucciana sono perfettamente individuabili nei frammenti trovati nell’area. Tombe a grotticella bucano diverse pareti di roccia, ricreando un’atmosfera sacra, tipica di ogni luogo legato ai defunti. Vi sono diverse teorie circa questa costruzione. Si parla dell’opera dei Siculi che durante il XV secolo a.C. cacciarono gli indigeni Sicani. Si ipotizza anche che la costruzione sia stata voluta da Dionisio I, Tiranno di Siracusa, durante la guerra greco-cartaginese, volendo creare uno sbarramento tra la Sicilia per l’appunto greca e quella legata all’epicrazia cartaginese»[3]. Non mancano neanche i resti di un’antica piramide, che doveva sicuramente far parte di un villaggio siculo-sicano, come testimoniano nelle vicinanze i resti di abitazioni neolitiche.

Sito Cuddaru di Crastu

Successivamente, durante la Prima Guerra Punica, i Romani distrussero Caulonia poiché non si era sottomessa al loro dominio
«così ebbero fine le glorie di sì nobil Città, perdutandone oggidì l’amplo sito, le pietre intagliate, quadrate, i mattoni doppj, ed un gran numero di grotte ritagliate nelle vive Pietre»[4]; soltanto a questo punto la vicenda di Caulonia si intrecciò con quella di Pietraperzia.

Secondo Padre Dionigi, Pietraperzia (o meglio Petra di Sicilia) nacque da Caulonia, tesi sostenuta anche da storici come Filippo Cluverio e il Marchese di Villabianca, quest’ultimo in particolare affermò che Pietraperzia fu quella risorta dopo la distruzione dei Romani.

La prova che lo dimostrerebbe risale al 1756, anno in cui si formò nel Convento dei frati Minori Riformati di S. Maria di Gesù un’Accademia letteraria, riservata a coloro che si occupavano di arti umanistiche e scienza. L’Accademia prese il nome di Radunanza dei Pastori di Caulonia e i componenti assunsero i nomi delle Ville e delle più antiche Contrade di Pietraperzia, visibili in patenti stampate.

La Terra di Pietraperzia si deve probabilmente indentificare con la Petra nominata da Cicerone delle Verrine. L’antica città fu grande produttrice di grano, oggetto infatti delle ruberie del pretore Verre, preso di mira da Cicerone. Essa era ubicata in contrada Rocche-Lammersa, dove ancora oggi sono visibili i ruderi di un vasto insediamento umano. Le sue origini risalgono ad un periodo compreso tra l’VIII secolo d.C. e la dominazione araba, ma l’etimologia del nome Petra, divenuta poi Pietraperzia, appare ancor oggi incerta. Potrebbe far riferimento a Petronio, duce di Caulonia, o alla Ninfa Petrea, ma l’ipotesi più valida sembrerebbe convergere nella derivazione araba, con particolare riferimento alla Petra nel regno dei Nabatei, situata fra Damasco e Medina, anche se ancor oggi non esiste nulla di certo.

La Petra Nabatea era «una città scavata nella roccia, case e templi compresi; sovente su più piani anche in punti molto alti e poco accessibili, nelle pareti di una stretta e lunga valle. Un vero e proprio canyon da dove il viaggiatore non poteva fare a meno di passare»[5]. Da questo e altri luoghi spesso si allontanavano uomini e mercanzie per raggiungere le sponde opposte, come la Sicilia e la Sardegna.

Gli emigranti arabi che si ritrovarono nell’entroterra siciliano, nostalgici e consapevoli di non poter più far ritorno nel proprio luogo di origine, attratti da quella flora selvaggia delle Rocche così simile alla loro terra natia, scelsero questa località come luogo di accoglienza, chiamandola Petra.

A sostenere questa tesi vi sono diversi dati, come il poter ancora ammirare le troneggianti rovine oggi presenti sul luogo con caratteristiche identiche alla Petra del tempo, l’accertamento della presenza di quel tipo di flussi migratori e l’abitudine per gli emigranti di chiamare località in cui stabilirsi con nomi familiari, basti pensare alle molte città sudamericane con nomi di origine europea.

Per quanto riguarda il passaggio da Petra a Pietraperzia, secondo Padre Dionigi il termine sarebbe anche attestato dallo storico Claudio Tolomeo e Brezio, i quali riportano Petra-partia, piuttosto che percia.

Così Rosario Nicoletti analizza l’aggettivo partia:


E’ per noi interessante poiché il termine ‘partia’ deriva dal verbo latino ‘partio’ che significa divido, spartisco. Lo stesso significato che ha nella nostra parlata la parola ‘pàrtiri’ che oltre a partire, nel senso di mettersi in cammino, significa anche dividere, spartire, spaccare.

Con espressione molto più vicina alla realtà del fenomeno naturale verificatosi, lo storico Claudio Tolomeo denominò la roccia che, oggi, appare bucata, non ‘perciata’ ma ‘partia’: alla latina.[6]


Un’altra ipotesi risale al periodo normanno, relativamente al racconto dello storico e geografo Muhammad Al Idrisi, nella cui analisi delle località siciliane riporta il termine Petra con l’aggiunta dell’aggettivo perciata o percia, nella cui parlata siciliana dell’epoca, ma anche in quella odierna, significa perforata. Idrisi fece riferimento al gruppo di modeste case che, in forma di borgo medievale, cominciarono a sorgere accanto al Castello. Visitando anche i resti dell’antica Petra, non poté far a meno di notare come su tale sito vi fosse un’imponente roccia bucata: Petra Perciata, tradotta in arabo con Agar al matqub (Agar: pietra; Matqub: foro o incisura).

Storico e geografo Muhammad Al Idrisi


A prescindere dalle varie ipotesi formulate, la lingua araba ha lasciato un’impronta indissolubile sulla parlata siciliana, di cui ancora oggi sono visibili i segni. Col passare del tempo il sostantivo e l’aggettivo, per il naturale processo di semplificazione che travolge ogni lingua, si fusero, cosicché in italiano Petra divenne Pietra, mentre Percia divenne Perzia, da qui il termine Pietraperzia, in siciliano Petrapirzia.



Estratto dalla Tesi di laurea di Anna Marotta, Il bandito Antonino di Blasi alias Testalonga (1728-1767).







[1] Cfr. P. Fra Dionigi, Pietraperzia dalle origini al 1776, Relazione critico – storica della prodigiosa invenzione d’una immagine di Maria Santissima della Cava di Pietrapercia, Tipolitografia Di Prima, Pietraperzia, 2004, ripr. dall’ed. Palermo, Stamperia della Divina Provvidenza, 1776.

[2] L. Guarnaccia, Il Castello di Pietraperzia, Tipografia Di Prima, Pietraperzia, 2008, p. 30.

[3] I misteri di Tornambè e il ‘phrourion’ di Cuddaru di Crasto, tratto da Visita Pietraperzia, http://visitapietraperzia.blogspot.it/p/archeologia_12.html?view=magazine.

[4] P. Fra Dionigi, Pietraperzia dalle origini al 1776…op. cit. p. 103.

[5] R. Nicoletti, Da Petra a Pietraperzia, Tipografia Di Prima, Pietraperzia, 2002, p. 14.
[6] Ivi p. 16.