25 giugno 2018



Puntara lu Parcazzu (foto di Filippo Arena)



SALVATORE GIORDANO, è nato a Pietraperzia, dove è vissuto fino all’età di vent’anni. Si è poi trasferito a Torino, città in cui vive, ora in pensione, dove ha esercitato la professione di maestro e successivamente quella di Dirigente Scolastico.


La “Puntara di lu Parcazzu”, roccia calcarea dalla forma caratteristica, attrazione turistica della Riserva Naturalistica dell’Imera meridionale, sorge a cinque Km ca da Pietraperzia, all’interno dell’ex feudo Minniti che, appartenuto ai Baroni Tortorici, venne  smembrato e suddiviso in tanti piccoli appezzamenti per effetto della Riforma Agraria(1950). Prima della riforma, nel periodo estivo, per molti anni della mia infanzia la Puntara fu luogo delle mie scorribande ed esplorazioni. Ricordo che al sorgere del sole la sua ombra si proiettava e copriva la casa colonica dove abitavo con la mia famiglia. Tra i suoi antri trovammo rifugio durante la seconda guerra mondiale.
La “Puntara di lu Parcazzu” compariva come  uno dei soggetti simbolici che illustravano il calendario del 2014 fatto pubblicare dal Circolo di Cultura di Pietraperzia.

All’ombra di la Puntara

Salvatore Giordano
Giganti eressero
questo tempio megalitico
all’alba dei tempi!
Monumento alla vita e alla fertilità
il nome ispirò agli antichi
la sua forma bizzarra.

Dimora prescelta di uccelli rapaci,
conigli prolificano tra gli anfratti
strisciano bisce tra le sterpaglie;
spontaneo cresce il cappero tra le pareti,
il ficodindia intorno domina incontrastato;
l’odore dell’origano si diffonde nell’aria.
Rifugio sicuro offrì agli umani
in tempi calamitosi.
All’ombra della puntara di li Minniti
ho vissuto i primi anni di vita
fin dai primi vagiti!
Allora ancora lo spirito di Cerere
aleggiava tra queste terre a lei care:
il biondo ondeggiare delle messi
il cuore riempiva di speranze,
il mandorlo fioriva
al sorriso di Kore, la fanciulla.

Tra le stoppie riarse
punto nero, bambino mi rivedo
nell’ora della canicola,
sotto il sole che abbaglia
e il frinire incessante delle cicale
monotono risuona.
Contro il cielo di cobalto
i falchi bucano l’azzurro,
lievi oscillano alla leggera brezza
e dolcemente planano
lasciandosi cullare.
Accesi da gioia selvaggia
emettono acuti stridi
e improvvisamente si tuffano
a ghermire sicuri.
Dai miei sogni mi desta il grido della vittima.

A voi ritorno luoghi mitici
della mia prima età
come alla culla che mi tenne in fasce,
come al seno di mia madre
da cui succhiai umore e nutrimento.

Custode dei sogni e delle mie fantasie
maestosa si erge la Puntara
testimone solitaria di un tempo senza storia
L’avvolge la nebbia dei ricordi.
Di fronte ammicca la barresia rocca di Petra.
                                                      



Ritorno al mio paese

Maria Giordano
Dopo parecchi lustri e qualche mese,
tornai a visitare il mio paese.
Scopo primario andare al cimitero
dove papà riposa nel suo seno.
Incrociando il suo sguardo
sentii una stretta al cuore,
un fremito m’invase 
misto ad un gran dolore.
Mi sentii d’improvviso 
la guancia accarezzare,
fui certa che papà
mi volle incoraggiare. 
Nel rivedere i nonni,
ebbi un grande sussulto,
presto di loro due
mi ricordai di tutto:
di nonno rimembrai
molte delle sue storie;
della nonna i sermoni
insieme alle leccornie.
Il giro terminai 
di amici e di parenti
e quanti ne incontrai 
di vecchi conoscenti.
Quando giunsi in paese
mi ci volli inoltrare,
una giornata intera
gli volli dedicare.
Mi colpì il gran silenzio
delle sue antiche strade,
porte sbarrate vidi
e arrugginite grate.

Passai davanti casa, 
che una volta fu mia,
anch'essa trovai chiusa,
mancava ogni allegria.
Mi accorsi di un oltraggio
che a lei fu procurato:
il bel barocco attorno
le avevano asportato;
e col prospetto improprio
che venne realizzato
è stata deturpata 
la casa e il caseggiato.
La lapide sul muro
fa a tutti ricordare
che l’eroe dei due mondi 
vi venne a soggiornare.
Rividi con piacere 
la cara vecchia scuola:
la ritrovai dimessa,
cadente, triste, sola.
Quanti ricordi in me
di lei conservo ancora!
E il cicaleccio sento, 
urla piene di gioia
della dolce stagione 
che mai mi venne a noia.
Di san Francesco il colle 
un tempo degradato 
fu motivo di gioia
vederlo trasformato:
alla Via del Dolore 
è ora dedicato, 
da Quattordici stazioni 
il percorso è segnato.

La statua del Risorto 
spicca sulla salita,
l’Opera resterà oltre la vita. 
Santa Maria Maggiore,
solenne e maestosa,
la bella Cattedrale,  
domina su ogni cosa.
L’incontro con la piazza 
fu grande delusione,
la ricordavo enorme 
con tanta confusione;
essa mi apparve invece
piccola e striminzita, 
perché anche per lei
crudele fu la vita:
la bella gioventù 
la volle abbandonare
che oltre al suo passeggio 
nulla poté più dare. 
Fu ameno dall’aereo 
contemplare il mio mare
e con un nodo in gola 
continuare a pensare. 
                                   
       

18 giugno 2018

Eccidi Borbonici a Pietraperzia e Garibaldi nella casa della famiglia Di Blasi


A Pietraperzia il pensiero conservatore, configurato nella politica borbonica e appoggiato da una parte del clero istituzionale, si oppose alla cultura liberal-massonica di tipo progressista che fu prevalente nella seconda metà dell'Ottocento fino agli inizi del Novecento e che, tendenzialmente, era legata alle vicende storiche dell'unità d'Italia, soprattutto al garibaldinismo.
La mattina del 26 maggio 1860 la guarnigione borbonica, composta di 2000 uomini e comandata dal Maresciallo Afan de Rivera, arrivò a Pietraperzia. Essa proveniva da Caltanissetta ed era diretta a Catania. Quei soldati e i loro comandanti, esasperati probabilmente dalle notizie delle sconfitte che i loro commilitoni avevano subito a causa dei volontari garibaldini, che erano sbarcati a Marsala l'11 Maggio 1860, e vedendo come un dileggio l'accoglienza gioiosa dei pietrini - che imprudentemente avevano issato il tricolore sulla torre del castello - attaccarono la folla "con diverse scariche di fucile a punte di baionette", uccidendo quattro persone e ferendone molte (1). La gente attribuì alla Madonna della Cava il miracolo che le vittime fossero state soltanto quattro. L'esperienza dolorosa e tragica causata dai soldati borbonici convinse diversi volontari pietrini, assistiti economicamente da sponsor di Pietraperzia con 38 ducati raccolti, a recarsi a Palermo per stare agli ordini di Garibaldi. In un documento riportato dalla "Rivista Storica del Risorgimento" (Torino 1934) Luigi Enrico Pennacchini ci fa sapere che dal 21 luglio al 22 agosto 1860 si riunirono a Caltanissetta 72 giovani "anticipando tutte le spese necessarie di propria tasca" per formare il battaglione "Niederhausern". Dai cognomi riferiti sembrerebbe che alcuni siano di provenienza pietrina.
Le nuove idee liberaleggianti, che circolarono con la venuta di Garibaldi in Sicilia, influenzarono l'andamento politico della nostra contrada, dove per iniziativa del liberal-massone Filippo Perdicaro, fu istituita il 9 marzo 1862 una sezione della "Società Unitaria Nazionale" di ispirazione garibaldina, divenuta poco dopo "Associazione Emancipatrice Italiana". Essa aveva due scopi: appoggiare economicamente le campagne militari dei garibaldini e inviare dei volontari per liberare i territori di Roma e Venezia che ancora non facevano parte dell'Italia. In quella prima seduta del 9 marzo i soci nominarono Giuseppe Garibaldi Presidente onorario dell'Associazione e il "patriota Francesco Crispi" socio onorario.


Il 13 luglio 1862 la "Società Unitaria Emancipatrice di Pietraperzia", su proposta del suo presidente Filippo Perdicaro, invitò Garibaldi a venire a Pietraperzia. Garibaldi accolse quell'invito, tramite una delegazione di pietrini facoltosi che andarono a trovarlo a Caltanissetta. il poeta e cultore di cose patrie, Francesco Tortorici Cremona, in un interessante articolo intitolato "Notizie Storiche di Pietraperzia", scrisse: "nello scorcio dell'estate del 1862 Giuseppe Garibaldi con i suoi volontari fra le acclamazioni entusiastiche del popolo, entrava trionfalmente in Pietraperzia, dove la famiglia Di Blasi gli offerse generosa ospitalità quale si conveniva a tanto uomo. La marea della gente, accorsa in Via S. Francesco (attuale Via Principessa Deliella) per vederlo e sentirlo parlare, obbligò il duce ad affacciarsi al balcone da cui pronunziò parole inneggianti alla libertà conquistata a prezzo di sacrifici. Terminò il suo dire col grido "O ROMA O MORTE! " e l'eco si ripercosse in migliaia di petti e migliaia di voci ripeterono le fatidiche parole."


Fu ospitato in Via San Francesco (oggi via Principessa Deliella) nella casa della famiglia Di Blasi, cioè dei suoceri di Filippo Perdicaro che aveva sposato donna Agata Di Blasi. Si ritiene che il giorno della presenza di Garibaldi a Pietraperzia sia stato l'11 agosto.
La propaganda garibaldina di volontari per la spedizione della liberazione di Roma e Venezia ebbe a Pietraperzia buon esito. Si raccolse una consistente somma con cui si equipaggiò un battaglione di 60 pietrini al comando di Michele Furitano. Essi dopo il 16 agosto si disposero a partire.

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Nell'articolo di Francesco Tortorici Cremona così si legge: "L'indomani si videro capi di famiglia prendere concedo dai figli e dalla sposa; giovani plebei e di famiglie agiate tralasciare il lavoro, gli studi, disinteressarsi della carriera, abbandonare i genitori, le amanti e tutto ciò che avevano di più caro, di più sacro, per seguire la sorte dell'Eroe." 


tratto da: PIETRAPERZIA n° 1 Anno VI Gennaio/Marzo 2009 - Sac. Filippo Marotta
(foto di Antonio Caffo)


(1)    Il Priore dei francescani di Pietraperzia, fra' Francesco Nicoletti, in data 27 e 28 maggio 1860 invia lettere di protesta e scrive che furono uccisi «fanciulli innocenti, imbelli donne, pacifici ed inermi contadini... si deplorano sinora circa trenta vittime, si son trovati dei cadaveri divorati da cani, si fa ricerca di fanciulli dispersi o uccisi nelle campagne vicine» (Lino GuarnacciaIl Castello di Pietraperzia, Tipografia Di Prima, Pietraperzia, 1985, p. 151). 

Nel registro dei morti della Matrice dell’anno 1860 le annotazioni con le vittime uccise dai soldati borbonici vanno dal n°147 al n°151 del giorno 27 maggio e riportano la dicitura “quia intefectus fuit a Militia Regis”, mentre nei registri comunali e riportato il luogo dove vennero uccise e la data della morte, che fu il 26 maggio. 
Le vittime accertate furono cinque:
Salvatore Guarnaccia di anni 64, ucciso presso la propria abitazione;
Rosario Culmone, di anni 66 , ucciso nella campagna vicino il canalicchio;
Leonardo Fiore, di anni 28, ucciso nella campagna dietro alla Santa Croce;
Luigi Miccichè, di anni 15, ucciso nella casa rurale della Santa Croce;
Vincenzo Viola, di anni 18, ucciso nella porta dell’orto dello spezio.









11 giugno 2018

Il castello di Pietraperzia: di Jeanne Villepreux-Power



Lato esterno a est del castello. In primo piano la torre quadrangolare, la bifora la finestra per il Gran Salone. (Foto proprietà Giuseppe Maddalena)

Del castello di Pietraperzia abbiamo una preziosa testimonianza di Jeanne Villepreux-Power che lo visitò e lo descrive com'era ancora intorno al 1840. All'epoca il castello era adibito a prigione e si era conservato ancora pressoché integro. L’autrice, una naturalista francese, per vent'anni viaggiò per la Sicilia, soprattutto lungo le coste, descrivendo e disegnando paesaggi, monumenti d’arte, personaggi illustri. Una vera guida per i viaggiatori dell’epoca nella quale non dimenticava di inserire le migliori locande e corrieri, il valore delle monete, le principali fiere, la tariffa de' cavalli di posta.

Guida per la Sicilia - opera di Giovanna Power nata Villepreux,

Napoli, dallo stabilimento tipografico di Filippo Cirelli, 1842


Pietraperzia, distante sette miglia da Caltanissetta conta 9292 abitanti.
Si vuole che derivi dall’antica Caulonia, le cui rovine, Cluverio (Filippo Cluverio storico-geografo vissuto nel XVII secolo) le colloca vicino Pietraperzia; ma poiché questo dato si basa su argomenti molto incerti, lasciamo critiche e disquisizioni archeologiche ai dotti, dirò soltanto ciò che fu questa deliziosa terra nei tempi antichi.
Ruggero il Normanno la donò ad Abbo Barresi; i discendenti di esso furono spogliati da Federico II; ma Abbo III in grazia della Regina Eleonora, riebbe la sua baronia.
Sotto Carlo V d'Asburgo, ed ai tempi del Fazzello, Matteo III Barresi ne fu investilo con titolo di Marchese. Nel 1364 Filippo II ne nominò principe Pietro Barresi, come si rileva da una lapide che ancora oggi si conserva intatta nel castello.
Il castello è ammirevole, sul quale mi tratterrò forse lungamente; ma lo reputo degno di particolare nota. Lo visitai, ed il mio cuore restò vinto dalla meraviglia e dal rispetto. Sorge a tramontana del paese, in mezzo a forti merlati baluardi, e a mezzogiorno c’è l'entrata. Da qui è il miglior punto per vederlo, offrendoci il suo prospetto e la parte laterale della gran sala, con tre grandi finestre di gusto Normanno, e qualche mensolone rimasto lungo la cornice. L'accesso è breve e a mancina. Prima d'entrare nel cortile, in una nicchia di marmo bianco, ornata nello stile del cinquecento, si vede un busto, forse di uno di casa Barrese. Dirimpetto vi è la cappella intitolata a S. Antonio; la porta, di marmo bianco, è abbellita da ornati e figure anche del cinquecento, ma l'interno, soprattutto la parete del fondo, è pieno d'ornati moreschi, e con nettezza sono scolpiti quei fogliami traforati e spinosi. Lungo i piedritti della soffitta si leggono alcune sentenze bibliche della Genesi, scritte nel vernacolo siciliano di quei tempi. Di fronte all'ingresso del cortile si conservano le arcate, composte di grossi pilastri quadrati, ogni angolo delle quali è composto da colonnette e fasce, che girano nell'imposta; e nelle alette vi sono zoccoli capricciosamente scolpiti, con animali ed altre figure aggruppate. Sopra le arcate si apre una gran finestra, con bei profili; sul fregio si vedono emblemi baronali e segni dello zodiaco; i grossi zoccoli laterali al parapetto, sono ingombri di animali.
Dall'ingresso si sale una scala molto decorata, che da una parte conduce al prospetto bugnato della grande sala; è la gran porta di stile Normanno, con molte colonnette, ed in uno dei pilastri si osserva ancora una statua corrosa dal tempo. Gli intagli sono di pietra di duro travertino. In mezzo alla scala, su di un torrione, s'alza una statua di S. Michele. L'altro braccio di scala porta in un’ampia loggia, che introduce a numerose stanze e a sotterranei incavati nella viva pietra; da questi incavi nella pietra e da questi trafori si vuole, da alcuni, l’origine al nome del paese, perché da Pierre percée è facile derivarne Pietraperzia; altri però preferiscono altre etimologie, e farebbero derivare il nome dagli arabi. Dai diversi stili d'architettura, sembra l'edificio appartenere a diverse epoche. E a noi piacerebbe, se tra questi memorabili avanzi di arte medioevale, al posto di vedervi sgherri, carceri e carcerati, vi trovassimo cose che abbellissero e rallegrassero quella veneranda solitudine. Prima che parli del territorio di Pietraperzia è utile avvertire il viaggiatore che questa terra è stata sempre feconda di elevati ingegni; ma per quella sventura che spesso accompagna i migliori, sono stati trascurati dagli storici. Il suo territorio contiene dell'asfalto; presso la strada che porta a Barrafranca vi è un tratto di terreno calcareo contenente delle ostree fossili (ostriche fossili).

La donna che inventò l’acquario: la storia, le ricerche, i tributi




Jeanne Villepreux nasce il 25 settembre 1794 a Juillac, un piccolo paese francese a circa 400 chilometri da Parigi. Le condizioni della famiglia, di cui è la primogenita, sono modeste: il padre, Pierre, è un calzolaio, la madre, Jeanne Nicot, è una donna colta per l'epoca; il suo nome appare nella lista delle donne che possono istruire i bambini del comune, al posto degli istitutori decimati dalla Rivoluzione. Dota sua figlia di un tesoro raro per una donna di semplice estrazione di quel tempo: le insegna a leggere e a scrivere. Muore quando Jeannette ha solo 11 anni.
Nel 1812, a diciotto anni, forse per dissidi familiari, Jeanne decide di recarsi a Parigi. Le scarse notizie biografiche non permettono di ricostruire con esattezza come la giovane donna, dopo alcune iniziali disavventure, abbia potuto cavarsela. Giunta a Parigi, davanti ad una vetrina di un negozio di moda, la proprietaria la nota ed inizia a chiacchierare con lei. La giovane è spigliata ed entusiasta; le viene offerto un posto di lavoro. In breve tempo Jeanne lavora come ricamatrice nell'atelier di moda.
Deve avere avuto sicuramente talento se dopo quattro anni dal suo arrivo nella sartoria le viene affidato l'incarico che cambierà radicalmente il suo destino; il ricamo del vestito da sposa di una principessa di sangue reale: Maria Carolina di Borbone, nipote del re Ferdinando I delle due Sicilie, con Carlo Ferdinando d'Artois, Duca di Berry, nipote del re di Francia Luigi XVIII. È l'evento spartiacque nella vita di Jeanne Villepreux.
È in questa circostanza che la giovane ricamatrice incontra James Power, gentiluomo irlandese di nobili origini, nato nelle Antille il 28 febbraio 1791, destinato dopo due anni a diventare suo marito.
Si narra che James Power, si trovasse a Parigi nei giorni dei festeggiamenti per il matrimonio principesco. Nel vedere l'abito nuziale, colpito dallo splendore dei merletti e dei ricami, avrebbe chiesto di incontrare l'anonima autrice per manifestarle la sua ammirazione.
Sarebbe avvenuto così l'incontro che in un breve volgere di tempo avrebbe condotto, in tutt'altro contesto, anche Jeanne Villepreux all'altare, per unirsi in matrimonio al giovane mercante irlandese James Power.
La cerimonia nuziale tra la sposa di ventiquattro anni e lo sposo di tre anni più anziano, si svolge il 4 marzo 1818, nella Chiesa di S. Luca, a Messina. Ed è sulle rive dello stretto, dove James Power esercita una solida attività commerciale, rapidamente affiancata da iniziative finanziarie ed imprenditoriali, che Jeanne Villepreux Power vive i prossimi 25 anni della sua vita.
Nel 1843, quando lascia la Sicilia, è associata ad almeno diciotto tra accademie e istituzioni scientifiche internazionali, carica di riconoscimenti per i suoi studi naturalistici e le sue scoperte di biologia marina, le viene anche attribuito l’invenzione dell’acquario, muore nel paese dov’era nata il 25 gennaio 1871.