L’UMILTÀ
Quante volte abbiamo
fatto a meno dell’umiltà
dietro a camici o
nastrini,
costernati da scritte
per una qualche appartenenza?
Oppure sotto il peso
di stendardi, in ambìte cerimonie,
ove tutta la nostra
magnificenza tende a spiccare
tra le voci dei
presenti?
Quante volte abbiamo
fatto a meno dell’umiltà
dietro a un
cartellino con scritto il nostro nome,
sotto ai nostri
gomiti, poggiati sui tavoli
nel mentre di una
conferenza?
Quante volte
dell’umiltà ci siamo dimenticati,
sfilando per le vie
di paesi e città,
a testa alta, non per
coraggio
bensì per sbandierare
una carica
oppure un compito
speciale?
Che n’è stato
dell’umiltà in discorsi
volti a spiegare cosa
fosse la stessa umiltà?
Nel prestigio di chi
s’ostina
a predicare sempre
questa stessa parola?
In una carezza o una
stretta di mano
fatta ad un nostro
fratello
solamente per
riempire la memoria di un cellulare,
scattando così l’ennesimo
selfie?
Quante volte abbiamo
fatto a meno dell’umiltà
nei nuovi pulpiti elettronici,
pronti a pronunciare
sentenze dalla tastiera di un computer
oppure dai tasti di
un cellulare,
piuttosto che
elargire coerenza?
L’umiltà, questa
nostra sconosciuta sorella,
che non possiamo
raggiungere con una pergamena di laurea,
né sfiorare tra i più
complicati libri di filosofia,
che abbiamo
sbadatamente perduto
nell’affamata
motivazione della nascita di nuovi gruppi,
di nuove
associazioni; oppure in chi, capace solo di giudicare,
non riesce a trovarla
nel conforto nella coerenza.
Per cui, volendo
citare il famoso Esopo:
forse l’umiltà non
risiede in chi,
non essendo in grado
di superare
le proprie difficoltà,
s’ostina a dare la
colpa alle circostanze.
Giovanna Modesto