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27 ottobre 2023

UN ALTRO BALLO ANCORA - SCRITTORI PIGRI

 

Un altro ballo ancora
dei 28 autodefinitisi “Scrittori Pigri”
Ed. Garzanti, 2023

Regalatomi da un amico e presentato come una curiosità letteraria, ho terminato di leggere “Un altro ballo ancora”, romanzo scritto da 28 autori autodefinitisi “scrittori pigri”, edito dalla Garzanti che ha accettato di sponsorizzarne la pubblicazione. Lettura avvincente, piacevole e rilassante, solo verso la fine noto un abbassamento di tensione: mi dispiace che sia finito.

La vicenda oggetto del romanzo, esposta nei termini di una divertente commedia, non ha nulla di sensazionale e straordinario se non nella rarità del caso dei due ultra settantenni che, già innamorati e persisi, insperabilmente si rincontrano e, superati nuovi ostacoli, possono sposarsi. L’importanza e il valore del romanzo consistono piuttosto nella modalità nuova ed originale di raccontarla: 28 autori, un capitolo a testa, 28 capitoli stesi in contemporanea, separatamente, un esperimento letterario unico di cui non si ha, a mio sapere, altro esempio nella letteratura,

Dunque, senza particolari, la trama. Due famiglie, diverse in tutto, nella loro vacanza al mare si ritrovano a condividere la stessa piazzola del Camping esclusivo “La Baia” presso Alghero: i Castelli, lombardi, nel bungalow del campeggio corredato di tutti gli allestimenti necessari per un soggiorno ecologicamente corretto; cosa a cui i veneti Zanetto sono del tutto indifferenti, arrivati a “La Baia” con il loro mastodontico camper super accessoriato per una vacanza all’insegna delle abbuffate con grigliate e rosticciate. Le fobie e le allergie connesse alla diversità di abitudini e comportamenti tra le famiglie dirimpettaie diventano oggetto di vicendevoli battute ironiche, punzecchiature, provocazioni, ripicche che turbano la piacevolezza della vacanza. Ma un sorprendente colpo di scena interviene ad interrompere la sequela dei battibecchi. I nonni delle due famiglie, Fiorenzo dei Castelli e Lena degli Zanetto che, rimasti soli dopo la scomparsa dei rispettivi partner, hanno seguito i loro congiunti, si riscoprono inaspettatamente di essere gli innamorati di una volta ai quali la contrarietà dei parenti di lei aveva impedito la realizzazione del loro sogno di amore.

Al flashback dei momenti trascorsi insieme e dello svelamento dell’inganno di cui erano stati vittime, più forte di prima sentono rinascere l’amore che li aveva fervidamente legati. Ma ancora una volta, tranne che del giovane Leo Zanetto, i due innamorati si scontrano con la contrarietà dei parenti che si oppongono ad un rapporto che ritengono ormai fuori tempo. Ma l’amore non è mai fuori tempo, l’amore non ha età, ben se ne sono accorti Renzo e Lena e nulla, ora che si sono ritrovati, può impedire di terminare insieme il resto della loro vita. Costretti a sotterfugi per i loro incontri e accordi segreti, dei quali si fa tramite Leo con la trasmissione di pizzini e messaggini, preparano il loro piano. I giochi di ferragosto con prove di abilità e gare con la distrazione degli oppositori nei quali sono tutti impegnati offrono l’occasione ai due anziani rinvigoriti dall’amore di mettere in atto la strategia. Una cena romantica, un finto incidente e un finto malore, la comprensione e la collaborazione di medici compiacenti e la cosa è fatta: la fuga d’amore, la fuitina. Ansia e preoccupazione dei congiunti che ancora ad ora tarda non li vedono arrivare terminano dopo diverse ricerche e peripezie con il ritrovamento dei fuggitivi e la rivelazione. Il discorso di Renzo convince e spiazza ogni opposizione: alla celebrazione del matrimonio non ci sono più ostacoli. L’evento segnerà l’instaurarsi di una nuova amicizia tra le famiglie Castelli e Zanetto che concorderanno il reciproco impegno a fornire quando fosse necessario l’opportuna assistenza all’anziana coppia.

I capitoli si susseguono con coerenza e continuità di tono e di stile, rispetto dei profili dei personaggi singoli e dei gruppi famigliari, lo stesso linguaggio scanzonato mai volgare con battute, doppi sensi tic e idiosincrasie individuali. Gli “scrittori solerti “hanno rispettato in pieno le consegne che si erano date prima di iniziare il lavoro, si sono passati di volta in volta il testimone della maratona letteraria, tali da essere intercambiabili, sino all’obbiettivo finale: il romanzo sembra scritto da una sola persona. Solo nelle pagine in appendice ci viene rivelato chi ha scritto cosa. Quindi l’esperimento mi sembra riuscito in pieno: gli autori hanno compiuto un impeccabile lavoro di squadra come ci piacerebbe vedere realizzato, mutatis mutandis, dai nostri governanti.

Infine, oltre alla riuscita dell’esperimento, un pregio mi sembra di riscontrare nel racconto. Attraverso il confronto tra le diverse abitudini comportamentali delle due famiglie, emergono delle utili considerazioni di diplomazia spicciola riguardo a buone e rette pratiche sociali, ad equilibrate abitudini alimentari ed ecologiche in genere, al reciproco rispetto, attenzione alle esigenze della terza età sotto ogni aspetto, alla solidarietà e al buon senso; insomma una sorta di “moderno galateo”. Letto in classe fin dalla scuola elementare “Un altro ballo ancora” offrirebbe spunti validi per proficue osservazioni e discussioni. Ottimo soggetto per un film o una rappresentazione teatrale di sano intrattenimento.

Salvatore Giordano



15 ottobre 2023

RICORDO DI MARIA GIORDANO

 


RICORDO DI MARIA GIORDANO 

 

                                                        LA NASCITA

Quella domenica, era un 29 Giugno, fu la nonna paterna a dare l’annuncio della mia nascita all’amica della mamma che la chiamava per andare a messa, com’era nelle loro abitudini. Si sapeva che il lieto evento era imminente ma fu ugualmente una sorpresa perché si verificò con un certo anticipo. L’amica, nostra vicina di casa, disse che avevo scelto un giorno particolare, il giorno della festa dei santi Pietro e Paolo. Ed è grazie a tale particolarità che, con maggiore facilità, ogni anno parecchi sono quelli che si ricordano, il ventinove di giugno, di farmi gli auguri per il mio compleanno. Mi fu dato il nome di Maria Cava che era quello della nonna paterna: le usanze erano quelle e bisognava rispettarle, del resto quale più bel nome di Maria? L’aggiunta di Cava al nome Maria, (il suo significato è “della Cava”) è una peculiarità del nostro paese, dove ha grande rilevanza ed è abbastanza diffuso; il nome di Maria Cava non si riscontra fuori da Pietraperzia, almeno credo. Il motivo di tale particolarità è legato a un evento miracoloso, citato anche nella Storia di Pietraperzia di Fra’ Dionigi, che si verificò quasi otto secoli fa, intorno al 1223 presso una località di campagna non molto distante dal paese. Tale località, nota per la presenza nella zona di cave di pietra per costruzione e di sabbia, prima chiamata Runzi, fu denominata Cava in seguito al ritrovamento, dopo vari tentativi di scavo, di un’immagine della Madonna col Bambino, per opera di un giovane sordomuto trapanese cui la Madonna era apparsa in sogno. Si tramanda che il muto all’atto di scoprire l’immagine, ricevendo miracolosamente la parola, si sia messo a gridare “Viva Maria SS della Cava”. La lastra di pietra su cui è dipinta la Madonna mentre allatta il Bambino troneggia, fin dall’epoca del ritrovamento, sull’altare del piccolo santuario fatto erigere sul luogo e meta di pellegrinaggi da parte dei pietrini. A Pietraperzia, che proclamò la Madonna della Cava sua patrona, si sviluppò una grandissima devozione alla Madonna che si esprime nelle più varie forme interessando singole persone, famiglie, organizzazioni di categorie e sodalizi, in ogni periodo dell’anno. Tra le forme più suggestive vanno ricordati i pellegrinaggi del mese di maggio, organizzati nei giorni di sabato (da cui I Sabati della Madonna) dalle varie categorie di lavoratori La festa ricorre il 15 Agosto giorno dell’Assunta giornata nella quale la devozione dei pietrini riveste la forma più solenne. 



Furono tutti contenti della mia nascita ed anche del fatto che fossi una bambina, così mi è stato detto, perché nella famiglia un maschietto c’era già, il mio fratellino Salvatore che aveva tre anni. Era stata la nonna Maria Cava ad aiutare la mamma a farmi nascere: la mamma in quei momenti voleva vicina la suocera che con la sua serenità le dava sicurezza. Forse la nonna aveva anche delle attitudini particolari se spesse volte veniva chiamata dalle sue vicine per essere assistite nel momento del parto. Ad assistere la mamma durante la mia nascita, assieme alla nonna, c’era donna Antonietta Attanasio la levatrice che prima di me aveva fatto nascere il mio fratellino e dopo di me mia sorella Ninetta. Michela invece, la mia ultima sorella, nata dopo la morte della nonna paterna, venne al mondo con l‘aiuto di donna Giovannina “la Nuda”, levatrice amica della nonna materna, nonna Nina. Donna Antonietta Attanasio era quasi una nostra parente avendo sposato un fratello della zia Angelina Attanasio moglie del prozio Michele Calì fratello di bisnonna Francesca. Seppi dalla mamma che donna Antonietta nell’imminenza di un parto veniva a dormire a casa nostra perché sapeva che ai primi sintomi noi eravamo pronti a nascere e che se fosse dovuta partire da casa sarebbe arrivata a parto avvenuto. Il parto quindi si svolse in modo spontaneo, tutto andò bene come la prima volta per la mamma, quando era nato mio fratello. Adesso c’ero anch’io; la nonna annunciò che era arrivata una bambina e grazie ai sonorissimi strilli che seguirono all’annuncio si capì che avevo dei bei polmoni. Mamma finalmente poté vedere il mio viso e fu molto felice; papà, sempre molto equilibrato nel manifestare i suoi sentimenti, non nascose il suo appagamento. Il corredino era pronto; la mamma si era molto adoperata a prepararlo aiutata da entrambe le nonne. Era costituito da camicine giacchettini, scarpette, cuffiette, completati e impreziositi da delicati ricami all’uncinetto che vi aveva applicato nonna Maria Cava, arte che aveva appreso dalla sua mamma, la bisnonna Francesca. Nonna Nina, molto abile nel taglio e cucito, si era invece occupata dei lunghi coprifasce completandoli con rifiniture in pizzo, il necessario per avvolgere i neonati, i grandi quadrati di stoffa piqué le lunghe fasce in damasco, lo stesso, riciclato, che era servito per il mio fratellino. Crescendo ebbi modo di ammirare parecchi capi dei corredini preparati per noi: mamma li custodì a lungo; il ritrovarli era occasione per ricordare e raccontare episodi dei primi momenti e dei primi anni della nostra vita e le persone che ci erano state vicine. Sentivo così la mamma confermare molti particolari su di essi e sugli eventi che seguirono, che la nonna materna mi aveva raccontato nei nostri quotidiani dialoghi: del primo bagnetto, del piumino soffice col quale mi aveva cosparso di borotalco, di come mi aveva essa stessa agghindato con il lungo coprifasce per presentarmi a tutti che volevano vedermi. Non sono in grado di dare alcun giudizio su come ci si può sentire dentro le fasce a fine giugno, so che mi era stata risparmiata la tortura della cuffietta per il troppo caldo. Non mi mancò invece quella dei forellini ai lobi delle orecchie: era d’obbligo, allora, che una bambina portasse gli orecchini. Durante tale operazione fui molto irrequieta, l’intervento non riuscì perfetto e ciò è ancora evidente, il forellino di un orecchio, infatti, è più alto di quello dell’altro. Non mi mancava più nulla per entrare in società. I nonni materni, nonna Nina e nonno Pasquale, non erano in paese il giorno della mia nascita perciò fu per essi una grande sorpresa al loro rientro da Marcatobianco trovarmi già nata. I nonni addirittura credevano di aver anticipato il ritorno dalla campagna rispetto al giorno previsto dell’evento, pensavano di poter essere vicini alla loro figlia in un momento così importante ma io ero stata più veloce. Il loro stupore si mutò subito in gioia, la nonna si sentì alleggerita di un grosso peso, essa sapeva, come diceva, che la figlia era in buone mani, la mamma stessa la tranquillizzò su questo. Come tutti i nonni, mi trovarono bellissima e di più il nonno che poco esternava i suoi entusiasmi, disse che ero una bambina speciale. Essendo ora, nonna anch’io capisco benissimo nonno Pasquale. Per la nonna paterna era un momento propizio, dopo il maschietto, la femminuccia la quale, cosa importante, portava il suo nome. La sua gioia si accentuava quando ero presentata ai parenti e agli amici che venivano a conoscermi e a felicitarsi, tutti concordi nell’affermare che somigliavo a papà: di lui il naso, gli occhi; per il resto ero il ritratto della nonna, il suo.



        PROBLEMATICHE MATRIMONIALI DI MARIA GIORDANO


Corteo matrimoniale - Foto d'epoca anni '50


 

PROBLEMATICHE MATRIMONIALI

- poesia di Maria Giordano -

Mentre scrivo mi sento divertita

nel ricordare eventi della vita:

un'usanza da tempo tramontata

che oggi può stupire, ma c'è stata.

Per me sono ricordi ancor precisi

di giovani che erano confusi

che giunta l'ora dell'innamoramento

più che gioia, per loro era un tormento.

Il giovane insisteva a far la corte

ma incerta restava la sua sorte.

Per fortuna la mamma lo capiva

e ne parlava alla nonna ed alla zia.

Si discuteva insieme della cosa

per decidere se chiederla in sposa.

Si faceva un'indagine accurata

sulla ragazza e sulla sua casata.

Se finalmente veniva accertato

che proprio con nessuno aveva parlato

si ripeteva in casa come un credo:

speriamo che abbia pure un bel corredo.

Allora si mandava l'ambasciata

tramite una persona conosciuta:

“per vostra figlia ho pronto già il marito,

un bel ragazzo, un ottimo partito”!

Subito si inventava un espediente

perché la gente non sapesse niente:

per la sua vita di sposa futura

s'inscenava una vendita di mula.

Mentre il giovane la bestia esaminava

lei dietro la persiana lo osservava.

(Ma la ragazza, non era al corrente

della proposta del suo pretendente?

Era informata all'ultimo momento

della ragione di tanto movimento?)

Il padre della giovane che era astuto,

ricevuto il segnale convenuto

concludeva l'affare in un minuto;

di sollievo tirava un gran sospiro

che mai si sentì così leggero.

Veniva già deciso in quel momento

la grande festa del fidanzamento;

per suggellarlo con tutto il parentato

anche il giorno del sì veniva annunciato.

Non è racconto della fantasia

il fatto avvenne vicino casa mia.

Di me non ho granché da raccontare

nessun cavallo ci fu da rimirare.

Mio marito conobbi da bambino,

da grandi bastò d'intesa un occhiolino.


(Estratto da: Via 4 Novembre e dintorni...c'era una volta Pietraperzia negli anni ‘40-‘60 del XX Secolo racconti e poesie di Salvatore e Maria Giordano).

 

03 ottobre 2021

VIA 4 NOVEMBRE E DINTORNI-C'ERA UNA VOLTA ANNI 40-60 - Recensione di Lina Viola


Il ritorno, dopo 25 anni, a Pietraperzia nell'agosto 2005, di Salvatore e Maria desta nel loro animo una grande commozione. I ricordi invadono le loro menti, emozioni che ogni sradicato rivive quando torna a ripercorrere quelle stesse vie nelle quali ha vissuto l’infanzia. La casa dove si è nati, i compagni di gioco nelle strade, gli amici, i vicini e tutti i ricordi legati agli anni della nostra formazione. Ricordi ed esperienze che rimangono indelebili.

La via IV Novembre di quegli anni per Maria e Salvatore, nei loro racconti, diventa il palcoscenico su cui diversi personaggi noti e meno noti appaiono attori e anche spettatori di ciò che accade nella vita di un piccolo mondo racchiuso in un pugno di case. La strada, luogo di incontro e di gioco per i bambini, con ancora le galline lasciate libere di razzolare starnazzanti e che a volte un destino avverso li faceva finire schiacciate dalle ruote di un carretto o addentate da qualche gatto o cane randagio affamato. Ma i ricordi dell'infanzia non tutti sono lieti; essi rivivono il periodo della guerra anche se ancora piccoli.

Lo sfollamento del paese verso le campagne, in posti ritenuti più sicuri. La vita a li Minniti raccontati con occhi di bambini. Le bombe sganciate dagli aerei alleati che traumatizzarono Maria e che per molti anni il rumore dei tuoni le susciteranno paura, riportandola al triste ricordo dei bombardamenti. Vivo e malinconico il ricordo di quelle famiglie a cui erano stati tolte i loro uomini; figli, padri, sposi. Uomini tolti dalle campagne e mandati in guerra. In essi rimaneva solo disperazione e speranza del loro ritorno a casa, sani, scampati alla morte. Commovente è la storia di Pasqualino, il cuginetto, che a sette anni, dopo il ritorno dalla prigionia, conosce il padre.

Ho trovato interessante leggere di due indimenticabili personalità di Pietraperzia: il dottor Vitale e il commediografo Giarrizzo.

Il primo, medico valente e all’occorrenza anche ginecologo, apprezzato da tutti, uomo colto dedito agli studi letterari e matematico insigne. Il commediografo, forse poco conosciuto perché non avendo più un teatro, le sue opere teatrali che meriterebbero di essere riscoperte, non sono state più rappresentate.

Il libro è costituito da tre parti; i brevi e numerosi racconti risalenti a vicende e famiglie tra la via IV Novembre e corso Umberto I, da allora conosciuta e chiamata da tutti la Strataranni. Una raccolta di racconti ricchi di avvenimenti legati a persone care agli autori, tra questi l’insediamento delle Salesiane a Pietraperzia. Le voci narranti che si alternano sono quelle di Maria e Salvatore. La descrizione dei racconti, spesso minuziosa e ricca di testimonianze sulla vita di quegli anni, rendono piacevole la lettura che a quella generazione far rivivere le esperienze proprie di ogni emigrato. I racconti sono ricchi di espressioni dialettali, che rafforzano l'appartenenza identitaria a Pietraperzia. Il libro si chiude con una raccolta di poesie tra queste la strepitosa e notissima “Littra a lu me pajisi” struggente per ogni emigrato che la legge o la rilegge.

Lina Viola

Il libro può essere scaricato gratuitamente da questo link:

VIA 4 NOVEMBRE E DINTORNI-C'ERA UNA VOLTA ANNI 40-60 - Di Salvatore e Maria Giordano



14 maggio 2021

Il dottor Vincenzo Vitale un uomo geniale e virtuoso





Il dottor Vincenzo Vitale nacque a Pietraperzia il 14 maggio 1861 da don Rocco Vitale di professione “aromatario” e da Angela Maria Tortorici.

La raccolta di poesie di Angela Vitale “Sentieri di vita e di amore in un cammino di fede e di speranza”, a cura di Giuseppe Ragusa, contiene una lirica (quasi prosa) inedita intitolata “A mio Padre. E’ un ritratto biografico che la figlia Angela fa del proprio padre Vincenzo Vitale. La poetessa descrive così la figura del padre: ha gli occhi verdi e profondi (che), sotto le folte ciglia nere, eran pur severi”, “la bella testa leonina e la fronte spaziosa”, era di “mente immaginosa, (e di) parola arguta”, disprezzava “agi e ricchezze”, disdegnava e rifiutava “una vita vana”, ma non “l'amore per tutto ciò ch'è bello, grande, potente, sublime!” 

Nella facoltà di medicina, frequentata a Roma, Vincenzo fu “alunno di Durante e Baccelli[1]. Invitato a specializzarsi presso l'università di Berlino dal professor Virchow [2] il dottor Vincenzo Vitale nel 1886 vi studiò le celule e la “Patologia cellulare” teoria da Virchow formulata. “Per tre volte” fu assegnato a Vincenzo Vitale il premio della “Fondazione Rolli”[3].
Essendo morto prematuramente il proprio padre, Vincenzo fu costretto, dalle necessità di famiglia, a ritornare a Pietraperzia. Il 21 novembre 1894 dove sposò Giuseppina Anzalone, figlia di don Ferdinando Anzalone e di Pietrina Pittari di Mistretta, dalla quale ebbe sette figli (cinque femmine e due maschi) generalmente laureati in lettere, scienze matematiche, ingegneria navale, in farmacia. Egli li educò ad un regime spartano fatto non di atteggiamenti amorosi, ma rigorosi (“senza baci e carezze, senza vezzi”) e trasfuse in loro “l'amore per l'opere grandi, l'amore per la poesia, l'arte, la scienza”.    Agli onori che la scienza medica poteva procurargli, egli, “uomo genuino e saggio”, preferì con grande “abnegazione e coraggio” chiudersi “nel romito angolo del tuo spirito come una pianta ancor viva alle radici che altrove si trapianta.” A Pietraperzia accoglieva i suoi pazienti (“poveri sofferenti”) in una “grande stanza semplice, pura, francescana”, che utilizzava come studio medico; vi era lì un tavolo di noce su cui teneva la storia di Tito Livio che leggeva nei momenti di riposo lavorativo. Anche a tarda età, non lesinava di andare a trovare “la povera gente” nei loro “tuguri” per “lenirne gli affanni”.

La sua attività medica la visse come “l'opera … d'apostolo”, come una “missione di bene” da compire nel silenzio, “senza compenso al tuo sacrificio immenso”. Non si lamentava della pesantezza dell'età e non camminava curvo, ma era legato fortemente alla vita (“entusiasta”). Il pensiero della morte lo rendeva “taciturno e pensoso”. “Quel popolo che t'era intorno e al qual, giorno per giorno, elargisti senza misura il dono del tuo ingegno e della tua vasta cultura, era rustico e ingenuo, e “forse”, al momento della sua morte, “non comprese … l'amico che aveva perduto”. Vincenzo Vitale fu colto dalla morte il 6 ottobre 1949 nella sua casa di Via Tortorici Cremona n. 79 all'età di 88 anni.




                                                   
 STUDI E OPERE  

Nell'ambiente pietrino, il dottor VINCENZO VITALE, era però un misconosciuto poiché i suoi lavori sia nel campo della medicina che della matematica hanno trovato collocazione e giusto riconoscimento solo negli studi e nei lavori di altri pensatori. Basti pensare che già da semplice studente universitario ricevette per tre anni consecutivi TRE PREMI ROLLI, in seguito a sue ricerche su particolari aspetti della medicina. Laureatosi con lode in medicina e chirurgia a Roma il 14 luglio 1886, fu invitato da un illustre medico tedesco, il professor Virchow , a specializzarsi nella sua clinica di Berlino. Quivi trascorse due anni. La passione del dottor Vitale per la matematica e per la fisica fece di lui un pensatore che può essere definito il pioniere e l'antesignano di alcune proprietà dei triangoliNella sua opera “ANALOGIE E RELAZIONI fra Perpendicolari, Mediane, Bisettrici, Radiali, Lati ed Angoli del Triangolo”, gli studiosi e appassionati di geometria potranno notare le novità apportate a questa branca della matematica dal Vitale. Quest'uomo, nel campo delle figure piane, diede un apporto tale che va al di là delle conoscenze acquisite dagli studenti delle scuole medie superiori. Qualche autore di libri di geometria ha fatto riferimento al lavoro del dottor Vitale, inserendo in detti testi le trovate geniali di questo medico che sono state di valido ausilio agli studenti. Le figure piane, i triangoli ad esempio, hanno alcune proprietà che prima del dottor Vitale non erano conosciute. Il dottor Vitale soleva ripetere in vita che nessuna scienza sembra più utile, più bella e più facile della matematica. Un altro lavoro che ha lasciato il dottor Vitale è: “ FORZA UNIVERSALE” in cui, partendo dalla forza di gravità dei corpi, che egli estendeva ai fenomeni dei corpi celesti, affermava che tali fenomeni non sono disgiunti da quelli della terra, ma ripetono le medesime cause e producono gli stessi effetti e sottostanno alle stesse leggi di gravità. Riporta egli, scientificamente, tanti esempi sulla caduta e sul lancio dei corpi, sulla forza, sul gioco delle acque, sul movimento delle molecole e sulla forza di attrazione. Egli arriva a spiegare, con i suoi esempi convincenti, che il moto di attrazione e di spinta dei corpi ha origine in una causa sola: la forza di attrazione. In sostanza egli non esprime vane teorie, ma afferma che sono fenomeni che si svolgono ogni momento sotto i nostri occhi. Con questo lavoro il Vitale dà un apporto notevole alla conoscenza dei fenomeni fisici. Concludiamo con un'affermazione del Vitale: “Nelle forze fisiche non si erano mai ravvisate che semplici agenti di moto, fattori meccanici; la gravità era rimasta oscura, ed in me veramente, quando compresi che l'azione di essa non si poteva circoscrivere dentro i limiti di un certo meccanismo si affacciò netta l'idea di una forza superiore, di una forza vitale e, quando intravidi le intime e necessarie relazioni di esse con le forze fisiche, e di queste con quelle della vita, compresi che tutte erano una sola forza, la forza universale: la vita.”

Altre opere del dottor Vincenzo Vitale:

- Relazione tra le linee interne ed esterne dei triangoli;

- Scritti ed appunti di fisica, medicina e matematica, rimasti inediti e incompiuti.

Purtroppo nella biblioteca comunale di Pietraperzia non è presente alcuna opera del dottor Vincenzo Vitale.

 

 

“Mettile dei libri in mano e falla leggere, falla leggere quella bambina”.

Il dott. Vincenzo Vitale, esperto in medicina generale ed in chirurgia, appassionato di matematica e fisica, era anche specializzato in ginecologia e, nel ruolo di ginecologo, egli aiutò a nascere molti bambini del nostro paese. 

All’epoca i parti avvenivano generalmente in casa, parti spontanei per cui tante volte era sufficiente l’assistenza della levatrice se non l’aiuto di una persona della famiglia o di una vicina particolarmente esperta, ma nei casi più difficili, quando neanche l’ostetrica era in grado di affrontare la complicazione imprevista, si chiamava il dott. Vitale ed egli interveniva con urgenza: «Currimmu ca masculu jè», diceva. Aveva sperimentato, infatti, che erano i maschietti a presentare le maggiori difficoltà a venire al mondo. Altra espressione tipica del dottore era la risposta al parente di una persona colpita improvvisamente da qualche malore, che sollecitava il suo intervento: «Vossì s’allibberta duttù ca ma matri sta mmurinnu.» E il dottore, sicuro del soccorso che poteva dare la medicina ma anche consapevole dei limiti di essa di fronte all’ineluttabilità, «Figliju mì - rispondeva- si nun gnè l’urtima arrivammu ‘ntimpu» (Faccia presto dottore, mia madre sta morendo”. “Figlio mio, se non è l’ultima, se non è il colpo definitivo, arriviamo in tempo”)Meta della uscite del dottore, quando non erano visite ad ammalati, era la “Società Operaia Regina Margherita” in Piazza Vittorio Emanuele, dove era atteso per la consueta lettura del giornale quotidiano. 
Come in un rito il dottore, attorniato da un buon numero di soci, eseguiva la rassegna stampa accompagnando la lettura delle notizie con spiegazioni e commenti e fornendo i chiarimenti che gli venivano chiesti. Quando i minuscoli caratteri di stampa rappresentarono un problema per i suoi occhi, e il leggere ad alta voce lo stancava, il dottore fu sostituito da Giuseppe Maddalena, lo storico di cose pietrine, che leggeva in maniera spedita e corretta ed aveva una voce chiara e tonante. Così il dottore metteva al servizio dei soci del sodalizio non solo la sua competenza professionale ma la sua cultura nel senso più ampio. Nei liberi discorsi tra loro e a casa con i familiari gli ascoltatori riportavano le novità udite dove “l’ha ditto lu dutturi Vitali” equivaleva a zittire ogni opposizione. Il dottore amava i giovani e, riguardo ad essi, aveva idee molto chiare. I giovani costituivano l’avvenire delle famiglie e del paese, attori dello sviluppo futuro, ma niente debolezze e divagazioni per loro; le distrazioni toglievano ore allo studio, che doveva essere serio, rigoroso e continuo. Questo era il criterio che ispirava i suoi rapporti con i giovani: la stessa serietà, lo stesso rigore con i quali aveva educato i figli. Lo stabile di casa Vitale, in via Tortorici Cremona,  comprendeva anche un secondo piano dove abitava, all’epoca, la famiglia di una delle figlie del dottore, Elena, che aveva sposato il farmacista dottor Salvatore Mendola. I coniugi Mendola-Vitale avevano due figli, Salvatore, chiamato Rino, e Cristina i quali purtroppo rimasero, ancora giovani, orfani del padre e donna Elena, conseguita la laurea in farmacia, proseguì l’attività del marito. La Farmacia Mendola, situata in via La Masa, passata successivamente dalla madre alla dott.ssa Cristina, costituisce ancora una della farmacie storiche del nostro paese.

Epilogo…6 ottobre 1949

“Era un ottobre ancora caldo quello del 1949 quando morì il dottore» racconta Maria. “Quella mattina la signorina Cecilia ci bussò alla parete come eravamo soliti quando avevamo bisogno gli uni degli altri per motivi urgenti. E, affacciatici ai rispettivi balconi, ci diede la notizia. Era triste ma ce la comunicò con un tono ed un’espressione di normalità: “Questa notte è morto papà”. Volli subito andare a stare vicina a lei, anche se avevo otto anni e mai avevo visto un morto. Era sola, la signorina Cecilia, e fu lei stessa che mi prese per mano e mi accompagnò nella camera del padre. Il dottore era composto sul suo lettino, vicino a quella scrivania di noce che non avrebbe mai più usata, accanto alla quale tante volte, piena di soggezione davanti a lui, l’avevo visto intento a scrivere o a studiare. Il dottore indossava il vestito nero elegante come quando usciva per andare alla Società Regina Margherita; aveva mantenuto la sua espressione severa, che ora mi parve più addolcita. Mi sembrava impossibile che non l’avrei più rivisto né sentito le sue parole rivolte a Cecilia, le volte che andavo a casa sua: “Mettile dei libri in mano”. E mi aspettavo che, improvvisamente, aprisse la bocca e si mettesse a parlare per ricordare ancora alla figlia: “Falla leggere, falla leggere quella bambina”.

(Estratto da “Nostalgia del paese” di Maria e Salvatore Giordano)

  



[1] Guido Baccelli (1830-1916), romano, professore di medicina e chirurgia operatoria, nonché uomo politico, più volte ministro della P.I. A lui si devono, tra l’altro, i Programmi didattici della Scuola elementare del 1894 e la promozione della costruzione del Policlinico Umberto I della capitale. Fu medico di casa reale ed archiatra.

Francesco Durante (1844-1934), di Letojanni (ME), professore di patologia speciale chirurgica e senatore del regno, cofondatore con Baccelli del Policlinico Umberto I.

[2]  Rudolf Virchow (polacco di nascita, 1821 - Berlino, 1902), professore di anatomia patologica dell’Università di Berlino, scienziato e uomo politico antibismarchiano. Noto per la sua teoria della “patologia cellulare”, punto di svolta nella storia della medicina. Candidato al Premio Nobel del 1902.  

[3] Il “Premio Rolli” era istituito dall’Università La Sapienza” di Roma sulla base di un lascito testamentario del medico e botanico romano Ettore Rolli (1818-1876) per premiare studenti particolarmente meritevoli, contribuire a far raggiungere i loro obiettivi e incentivarli all’ottenimento di risultati eccellenti.




05 giugno 2020

Nostalgia di Salvatore Giordano





Nostalgia


Torna dolce stagione dell’anima,

tu che arrivi prima che ignote rotte
si offrano alla scelta:
strappare vorrei
alle fauci voraci del mostro
brandelli di vita;
percorrere
i sentieri intricati del labirinto della memoria
ove i miei pensieri vagano
come farfalle su prati in fiore;
sciogliere quel grumo di sogni:
frammenti ancora m’inseguono
che il vento dissolve in nugoli di polvere.
Torna mitica stagione
come fossi Kore, la fanciulla
che sorge dalle tenebre
e la natura rinnova.
Vola un falco contro l’azzurro,
seguo le sue acrobatiche volute
e, nell’abbagliante luce che l’avvolge,
dentro le sue spire mi cattura.

Salvatore Giordano









24 aprile 2020

DAL 25 APRILE AL 2 GIUGNO. LE FESTE DELLA REPUBBLICA



Dopo la liberazione dell’Italia del nord la guerra in Europa continuò ancora per circa due settimane; ebbe termine l’8 maggio 1945 con la resa incondizionata della Germania nazista alle Forze Alleate. Grande era stato il contribuito della resistenza armata dei partigiani dei paesi dovunque sventolasse il sinistro simbolo della svastica. Liquidata la Repubblica di Salò, la nostra penisola tornò a essere uno stato unitario, il Regno d’Italia, appunto, sotto Casa Savoia; legge fondamentale lo Statuto Albertino del 1848.

La questione istituzionale

La conclusione della guerra rappresentò per l’Italia non soltanto la fine del conflitto e la liberazione dal nazifascismo ma portò anche a uno sconvolgimento politico istituzionale. La resistenza ne era stata la premessa. Colpe erano attribuite alla corona riguardo al ventennio fascista fin dalla sua presa di potere e alle tristi vicende belliche. Al loro ritorno in patria, nel giugno del ’46, i prigionieri trovavano una nuova situazione politica: l’Italia non era più una monarchia. La questione della forma istituzionale era stata posta nel giugno 1944: il Governo di Unità Nazionale costituito dai partiti del CLN dopo la liberazione di Roma (04/06/44), concordava con il Capo dello Stato, Luogotenente Umberto II, di demandare ai cittadini italiani, uomini e donne, la scelta della forma istituzionale dell’Italia. Con la guerra mondiale ancora in corso e mentre al nord infuria la lotta dei partigiani contro il nazifascismo, la consultazione generale del popolo italiano era rimandata alla fine della guerra.[1]

Il Referendum Istituzionale avvenne il 2 giugno del 1946, e per la prima volta, in Italia, votarono anche le donne[2] che si recarono alle urne in 13 milioni contro 12 milioni di uomini, pari all’89,9% dei 28.005 450 aventi diritto. I fautori della Monarchia avevano tentato di fare slittare la data del referendum, sperando nel voto favorevole dei prigionieri di guerra che si sapeva imminente. Ma, a parte il loro numero insufficiente a colmare la differenza di due milioni di voti con i quali la Repubblica aveva prevalso (12.717.923 voti contro 10.919.284 (gli Italiani che avevano subito lunghi anni di prigionia ammontavano a 653.904 [3]) ammesso che tutti avessero votato per la monarchia-, era cosa molto dubbia che i reduci della prigionia fossero disposti a dare il loro consenso al governo del Re. I disagi vissuti a causa della guerra e della prigionia, il contatto con altre realtà politiche e sociali avevano aperto loro gli occhi circa la natura del fascismo, cui, da giovani, in molti avevano dato la loro adesione, per considerare sotto un’ottica più ponderata e matura le responsabilità e i coinvolgimenti della corona nelle vicende del ventennio e della guerra. In ogni caso il voto dei prigionieri di guerra sarebbe stato ininfluente, ai fini dell’esito della scelta istituzionale, poiché la Monarchia, con il 63,8 %, prevalse in tutte le regioni del sud (dal Lazio alla Calabria e isole- Sicilia: 64,7%-, meno Trapani che votò per la Repubblica); la Repubblica in tutto il nord con il 62,2 %, tranne la Valle d’Aosta.
In pratica l’Italia ne usciva divisa in due: una parte, quelli che erano stati i territori del Regno del Sud, a maggioranza monarchica, “azzurra”; e una parte a maggioranza repubblicana “rossa”, i paesi della Resistenza a nord del Lazio. Non mancarono le proteste e le contestazioni da parte dei fautori della Monarchia ma il voto degli italiani fu convalidato dalla Corte di Cassazione: gli Italiani democraticamente si erano espressi a favore della forma repubblicana dello Stato. Umberto II già Luogotenente del Regno, Re d’Italia dal 5 maggio, per abdicazione del padre, al 2 giugno 1946, lascia l’Italia per l’esilio in Portogallo.

La Nuova Carta Costituzionale

Nella giornata del 2 giugno i cittadini italiani avevano anche votato l’Assemblea Costituente, 556 persone rappresentanti dei partiti, ossia l’organismo preposto alla stesura del nuovo Statuto della Repubblica Italiana, La Costituzione.  Nei mesi precedenti si erano intanto svolte le elezioni amministrative a suffragio universale e un numero discreto di donne erano state elette nei consigli comunali. A Pietraperzia la consultazione si svolse il 24 /03/1946. Il sindaco espresso dal Consiglio eletto fu Giuseppe Barrile del PCI, il nostro primo sindaco del dopoguerra. La persona, invece, alla quale nel nostro paese spetta il titolo di prima donna eletta, fu la dott.ssa Giovanna Vitale, figlia del noto dottor Vincenzo Vitale[4].
Il 1/1/1948 entrava in vigore la nuova Carta Costituzionale della Repubblica Italiana fondata sul principio della uguaglianza di tutti i cittadini di qualsiasi condizione dei quali si stabilivano diritti fondamentali e i loro doveri; sugli ordinamenti dello Stato con la autonomia dei tre poteri, legislativo esecutivo e giudiziario e con il divieto della riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. L’emblema della Repubblica Italiana, il cosiddetto “stellone”, con i suoi simboli, stella a cinque punte, ruota dentata con rametti di ulivo e di quercia che la circondano, ne esprime i valori ispiratori: la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà, il lavoro, la vocazione alla pace. Spetta alle Istituzioni e ai cittadini tutti realizzare il programma ideale in essa contenuto


Salvatore Giordano





[1]Lo stabilisce il D. Luogotenenziale n. 151 del 25/6/1944
[2] La legge che concedeva il voto alle donne era stata approvata il 31/1/1945 dal “Governo del Sud”-Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi- ed emanata con DLL (Decreto Legge Luogotenenziale) del 2/2/ 1945.
[3] Catalano-Fietta-Pizzigoni, Origini della Repubblica, Vangelista Editore, Milano, p. 147.
[4] Giovanni Culmone, Pietraperzia. Primi cittadini del XX secolo, 2003, p. 83.




02 giugno 2019

1943-1945 Una Ricerca. La Guerra di Liberazione: Alle origini della Repubblica. Il contributo dei Siciliani.





Quell’estate del 1943 i lavori agricoli furono portati a termine come consentì la situazione. Lasciati i rifugi dove avevano trascorso il periodo della guerra, i pietrini sfollati poterono fare ritorno alle loro case. La vita riprendeva il suo corso.
In paese l’atmosfera non era lieta; la guerra era durata poco e aveva provocato modesti disastri ma tante preoccupazioni occupavano il cuore della gente. La liberazione aveva riguardato soltanto parte del sud d’Italia; nel resto della penisola gli Alleati stentavano a sfondare le forze tedesche attestate lungo linee difensive fortificate dal Tirreno all’Adriatico e ad avanzare verso nord. Contingenti militari italiani erano presenti nei vari teatri di guerra, in Iugoslavia, in Albania, in Grecia, in Russia. Le famiglie che avevano congiunti ai vari fronti, non avevano cessato di temere per la sorte dei loro cari. Ma altri eventi politici e militari erano intervenuti in quel periodo a rendere più complicata e difficile la situazione in Italia.

L’armistizio separato.


Nel luglio del ’43,[1] con le forze anglo-americane già in Sicilia, destituito e arrestato il suo capo, Benito Mussolini, l’esperienza del governo fascista, iniziata il 31 ottobre 1922, è finita. Il nuovo esecutivo, presieduto dal generale. Badoglio, concluso separatamente l’armistizio con gli Alleati, ne dà l’annuncio l’8 settembre. Re e Governo in tutta fretta abbandonano Roma e si trasferiscono a Brindisi.
Intanto la guerra continua ma i termini poco chiari del proclama non fatto seguire da precise indicazioni operative (…”ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare”…”le forze italiane reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza ) creano grande disorientamento nelle forze armate italiane, a tutti i livelli, con disastrose conseguenze. I tedeschi, all’annuncio dell’armistizio che considerano tradimento, da nostri alleati (l’Italia era entrata in guerra a loro fianco il 10 giugno 1940) sono diventati forze di occupazione. I generali italiani non sanno cosa fare né quali ordini impartire alle loro unità di fronte alla scelta drammatica se arrendersi ai tedeschi, combattere al loro fianco o contro di essi. Si verificano casi di suicidio da parte di alti ufficiali per non subire l’onta della cattura e della prigionia; episodi di interi reparti che reagiscono con le armi alle condizioni dei tedeschi e cadono in combattimento, (è il caso della Divisione Acqui a Cefalonia) o, se superstiti, vengono barbaramente trucidati[2]. L’esercito italiano è in gran parte formato da contadini del meridione; il primo impulso è quello di tornare a casa e comunque di pensare alla sopravvivenza[3]. Sono i luoghi e le particolari circostanze in cui ciascuno si trova che determinano le scelte individuali e di gruppo. Di quelli che tentano la via del ritorno a casa, molti sono catturati e fucilati o deportati, come successe ai nostri concittadini:


Liborio Meglio, finito nel campo di sterminio di Flossenburg "Lager Friedhof" (Germania) sepolto a Flossenburg (06/09/1912 – 01/05/1944).
Dati tratti dal sito del Ministero della difesa.

Bonfirraro Benedetto, sepolto ad Amburgo (Germania), cimitero militare italiano d’onore (27/11/1922 – 21/03/1945).
Dati tratti dal sito “Dimenticati di Stato”.

Carà Michele sepolto a Francoforte sul meno (Germania), cimitero militare italiano d’onore (14/07/1910 – 24/07/1944).
Dati tratti dal sito “Dimenticati di Stato”.

Puzzo Alessandro, sepolto a Francoforte sul meno (Germania), cimitero militare italiano d’onore (11/05/1908 – 20/03/1945).
Dati tratti dal sito “Dimenticati di Stato”.

Cimitero militare italiano d'onore di Francoforte sul Meno
fonte "Dimenticati di Stato" di Roberto Zamboni
Alcuni riescono, sfuggendo fortunosamente ai rischi della cattura, tra mille difficoltà e dopo molti giorni di cammino: nascondendosi di giorno e camminando di notte, sempre lungo le vie meno frequentate, dormendo, quando possibile, nei casolari ferroviari, nutrendosi di frutta e di quello che offriva la campagna e qualche famiglia di buon cuore. Tale fu l’esperienza di un nostro parente, che, partito il 13 settembre assieme ad altri commilitoni, da Gorizia, dove prestava servizio, giunse a Pietraperzia dopo 23 giorni di viaggio. Intercettati una sola volta, ormai nei pressi di Salerno, da carabinieri italiani e portati al comando inglese, furono trattenuti per due giorni ed impiegati in lavori di scarico viveri da una nave. Fu l’occasione per potersi rifocillare, fare rifornimento di scatole di sardine e di carne. Lasciati inoperosi e senza alcun controllo, ripresero il loro cammino[4]. Altri, invece, isolati di reparti allo sbando, trovano rifugio presso famiglie del luogo con le quali avevano instaurato buoni rapporti, si accasano e lì superano, senza conseguenze, il periodo della guerra civile, e vi rimangono per il resto della loro vita.

I tedeschi, padroni del campo, subito dopo l’armistizio hanno liberato Mussolini prigioniero al Gran Sasso, il quale, con l’intento di far rivivere un nuovo stato fascista, con la parte dell’esercito a lui rimasta fedele e le strutture amministrative del precedente regime, costituisce la Repubblica Sociale Italiana (RSI), di fatto sottomessa al volere dei nazisti. Con il sostegno degli stessi il nuovo governo fascista domina con spietatezza sulle regioni del centro-nord, imponendo alle popolazioni di aderire alla R.S.I. con l’obbligo del servizio di leva pena la condanna a morte per i renitenti.
Dal settembre 1943 al 1945 il nostro Paese, quindi, rimane diviso in due: Regno del Sud corrispondente al territorio liberato dagli Anglo-americani (sede Brindisi e successivamente Salerno) e Repubblica Sociale Italiana R.S.I.(o di Salò dal nome della cittadina in provincia di Brescia, sede del governo fascista).

La lotta armata


Di fronte alla drammaticità del momento tanti ufficiali contrari alla nuova dittatura non indugiano ad abbandonare le caserme: seguiti da molti militari dei loro reparti convinti anch’essi della necessità di una scelta perentoria (il ritorno a casa si presenta estremamente rischioso) prendono la via della montagna e danno vita alla Resistenza armata contro gli oppressori. Alle lotta partigiana che si sviluppa in tutte le zone occupate dai nazifascisti si uniscono i giovani renitenti alla leva, cittadini, uomini e donne di ogni condizione e di ogni orientamento politico: studenti, intellettuali, contadini, operai, sacerdoti che rifiutano di sottomettersi al regime della RSI. Migliaia di persone che via via aumentano di numero. Con il coordinamento politico militare del CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) costituito dai partiti democratici, la lotta contro le forze preponderanti del nemico viene condotta con azioni di guerriglia per piccoli gruppi. Le loro armi sono quelle sottratte alle caserme dai soldati prima di lasciarle; altre armi, munizioni, viveri vestiario, fanno giungere ai partigiani le forze alleate con lanci dall’alto. Così, per circa due anni, una feroce e sanguinosa guerra imperversò nel centro-nord d’Italia, una vera e propria guerra civile che coinvolse popolazioni delle campagne e delle città fatte oggetto di efferati eccidi, da parte delle formazioni naziste e nazifasciste (un elenco lunghissimo, tra i più disumani quelli delle Fosse Ardeatine (Roma), di Boves (CN)- Marzabotto (BO) Sant’Anna di Stazzema (LU). Nulla di tutto ciò appresi durante la frequenza delle scuole media e magistrale, forse nessuno sapeva cosa fosse realmente accaduto. Certamente nulla si seppe sino alla liberazione dei deportati da parte delle armate russe, dei campi di sterminio predisposti in segretezza dai nazisti per la sistematica eliminazione degli ebrei: Auschwitz, Birkenau, Buchenwald, Mauthausen sono nomi che mettono i brividi, in essi perirono, assieme ad internati di diverse etnie e condizioni, circa sei milioni di ebrei. Primo Levi ce lo ricorda soprattutto nel suo “Se questo è un uomo”.

Il contributo dei siciliani.


Ma riguardo alla Resistenza la delimitazione nord/sud fu solo geografica. È senza fondamento la convinzione che la lotta per la liberazione dell’Italia dalla dittatura nazifascista sia stata “faccenda”esclusiva della dell’Italia del centro-nord. Certamente lo fu, come si è detto, per le popolazioni delle regioni interessate. Alla resistenza armata parteciparono, con contributo di sacrifici e di sangue, uomini e donne provenienti da tute la parti d’Italia. Perché, se “prevalevano le divise”, nelle formazioni partigiane “si parlavano tutti i dialetti”[5]. Non esistono dati certi circa il numero di meridionali che scelsero di combattere per la libertà dell’Italia. Una stima parziale, fatta dall’Istituto di Storia della Resistenza di Torino (ISTORETO) relativa alle squadre partigiane che operarono nelle province di Torino e Cuneo, ridimensiona al 20%, la precedente valutazione dello storico A. Monti che sosteneva aggirarsi intorno al 40% la presenza di meridionali in quelle formazioni[6]. Per quanto riguarda, in particolare, il contributo dato dai siciliani, in un articolo sul quotidiano “la Repubblica” del 25 /4/2008, si parla di 2.600 partigiani siciliani, riconosciuti dall’Istoreto, che operarono in Piemonte; a parte le province di Biella Novara e Vercelli che dipendevano dal comando di Milano[7]. Ad integrazione di tale dato, portandolo a 2727 unità, l’articolo di Mauro Begozzi, pubblicato sulla Rivista “Nuova Resistenza”, riporta i nominativi di 127 combattenti siciliani presenti nelle formazioni partigiane del novarese e del VCO (Verbano Cusio Ossola, i paesi intorno al lago Maggiore ) tra cui 18 caduti e 3 deportati in Germania[8].
Non sono solo militari ma anche operai, impiegati, ferrovieri, studenti, carabinieri siciliani, giovani e meno giovani, provenienti da tutte le province dell’isola, in Piemonte per precedenti migrazioni o trasferimenti. Situazioni simili si trovavano anche in altre regioni del nord occupate dai tedeschi. Un esempio molto noto è quello di Concetto Marchesi di Misterbianco (CT), latinista, rettore all’Università di Padova, il quale fu tra i primi ad incitare studenti e professori a lasciare la scuola, dandone l’esempio, e a unirsi ai resistenti per liberare l’Italia dal terrore nazista.
Secondo dati ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), 211 furono i siciliani che persero la vita in Piemonte, molti dei quali insigniti di medaglia d’oro (26), d’argento ( 85), di bronzo e di croce di guerra. Altri 70 si immolarono nelle altre regioni d’Italia, 5 perirono nel massacro delle Fosse Ardeatine di cui uno insignito di medaglia d’oro, due d’argento[9]
Tra i caduti è indicato il nome di un figlio di Pietraperzia: Filippo Di Blasi (Pirtusiddu), 12-9-1920, caduto in combattimento a Chiusa Pesio (CN) il 24/3/1945. 
http://www.banchedati.istitutoresistenzacuneo.it/broken_lives/28490
Quella di Filippo Di Blasi è una vicenda toccante; sentirla raccontare dal cognato, Vincenzo Guarnaccia (Vicinzu Caniglia), ci ha procurato intensa emozione. Filippo, in servizio a Cuneo, si è fidanzato con una ragazza di Beinette, piccolo comune di quella provincia, dove i genitori di lei, sig.ri Quaranta, possiedono una grossa cascina. Dopo l’8 settembre Filippo viene accolto dai futuri suoceri, tra l’altro figure di spicco della Resistenza alla quale anche lui ha aderito. Della IV Divisione Alpini, Filippo opera con le bande dislocate nelle montagne della Valle Pesio. Le valli del cuneese, culla delle prime formazioni partigiane, sono le zone in cui più frequenti si susseguono i rastrellamenti e più accesi i combattimenti. Spesse volte, tra molti rischi, il nostro giovane partigiano è sceso a Beinette, in quei venti mesi di vita di trincea, rinsaldando il legame con la famiglia Quaranta, e parlato di matrimonio, da celebrare a liberazione avvenuta. Quando però manca circa un mese alla liberazione, in uno di quegli scontri che si fanno più violenti quando la conclusione si avvicina, Filippo rimane ucciso. La notizia colpisce e addolora la ragazza e i suoi familiari; sono loro che si occupano del recupero del corpo e della tumulazione nel cimitero di Beinette. La Cascina Quaranta, a Beinette, ora si trova in Via Filippo Di Blasi: i Quaranta, membri influenti della comunità, hanno voluto che la strada in cui si trova la loro casa fosse intitolata al ragazzo siciliano che si era immolato per la liberazione dell’Italia.
Tra gli esempi più illustri del contributo dato dai siciliani alla liberazione dell’Italia è annoverato, per il ruolo che vi svolse, l’on. Pompeo Colajanni, classe 1906[10]. Il personaggio sarebbe divenuto molto noto a Pietraperzia: fisicamente inconfondibile per i suoi foltissimi baffi neri, più volte, nel dopoguerra, i pietrini udirono la sua voce robusta risuonare nella Piazza Vittorio Emanuele, durante le campagne elettorali. Egli, nel 1943, tenente di complemento presso la Scuola di cavalleria di Pinerolo, fu tra i primi, subito dopo l’8 settembre, ad organizzare, con altri ufficiali, i suoi soldati e civili, la resistenza, fondando a Borgo San Dalmazzo (CN) la banda partigiana “Carlo Pisacane” da cui si svilupparono le brigate “Garibaldi”. Le imprese da lui condotte, come comandante delle brigate garibaldine della zona del Monferrato, con il nome di battaglia di “Barbato”, sono rimaste leggendarie. Per la sua esperienza e competenza militare fu nominato Vice comandante del Comando Militare Regionale Piemontese del Corpo Volontari della Libertà che riuniva i vari raggruppamenti partigiani di diverso orientamento di tutto il Piemonte. Furono le formazioni partigiane guidate da “Barbato” che liberarono Torino il 28 aprile 1945. Il Comune di Cavour (TO) ha voluto ricordare il grande partigiano apponendo sulla facciata del palazzo comunale, in piazza Sforzini, una lapide con questa iscrizione: «Da Cavour (TO) il 10/9/1943 con alla testa il comandante Barbato on. Pompeo Colajanni un gruppo di militari e civili iniziò la guerra di liberazione nella zona per dare al nostro paese pace libertà e democrazia. L’Amministrazione Comunale e i partigiani superstiti posero il 25 /4/1992. » Torino gli ha dedicato una strada. Un cippo in suo onore ha posto al Giardino Inglese di Palermo l’Amministrazione della città:”Pompeo Colajanni, comandante Nicola Barbato (1906-1987) partigiano, contribuì alla liberazione dell’Italia dai nazifascisti e al riscatto della Sicilia”.
Non meno degno di essere ricordato è il Comandante “Petralia”, nome di battaglia di Vincenzo Modica, classe 1919, di Mazara del Vallo. Ufficiale presso la Scuola di cavalleria di Pinerolo, come Pompeo Colajanni, ma di diversa formazione ed esperienza politica, convinto dal più anziano tenente, lo seguì e ne divenne vice e braccio destro. Si rese celebre come comandante della I Divisione Garibaldina. “Petralia”era al fianco di “Barbato” nella liberazione di Torino. A lui, ferito al braccio sinistro, toccò l’onore di portare la bandiera del CVL ( Corpo Volontari della Libertà) nella sfilata dei partigiani vittoriosi del 6 maggio 1945, a Torino.
Altro celebre esempio di partigiano siciliano è quello di Nunzio Di Francesco, Linguaglossa (CT) 03/02/1924 Catania 21/02/2011.
Giovane di formazione cattolica, militare artigliere a Venaria Reale,(TO ) lascerà la caserma dopo l’8 settembre assieme ad altri siciliani, raggiungerà le “Brigate Garibaldi” di “Barbato”dove sarà il partigiano Athos comandante di un Distaccamento. Catturato dai tedeschi il 18/10/1944 e condannato a morte per aver guidato una banda armata contro la Repubblica di Salò, verrà deportato a Bolzano in attesa della esecuzione e successivamente nel campo di sterminio di Mauthausen, non più persona ma numero-115503, dove assisterà alle atrocità commesse dai nazisti, come scriverà nelle sue memorie[11]. Sarà liberato il 05/05/1945. Ritornato in Sicilia la sua adesione di partigiano alle “Brigate Garibaldi” sarà criticata da parte dei suoi amici di prima e di autorità ecclesiastiche, e troverà ostacoli all’ottenimento della pensione di guerra. Sino al termine della sua vita sarà Presidente dell’ANPI della provincia di Catania, ponendosi come testimone dell’impresa partigiana e dei valori della Resistenza da proporre sempre nella formazione dei giovani; a tale scopo abbiamo voluto fare la presente ricerca.

La data del 25 aprile ’45, giorno della liberazione delle città di Milano e di Torino ad opera dei partigiani segna la fine della guerra fratricida e la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Dovevano passare ancora 14 mesi prima che i prigionieri di guerra potessero tornare alle loro famiglie.. Nel 1946 la data del 25 aprile venne proclamata festa nazionale dal primo governo della Repubblica Italiana presieduto da Alcide De Gasperi.

Salvatore Giordano






[1] Il pronunciamento del Gran Consiglio del Fascismo che destituiva Mussolini  è del 25 luglio 1943.
[2] Montanelli-Cervi, Storia d’Italia-L’Italia del Novecento, Milano, Fabbri Editori, 1998, pp.244-245.
[3]La situazione era quella che avremmo vista rappresentata nel film di Luigi Comencini, Tutti a casa, del 1960, con l’interpretazione di Alberto Sordi.
[4] Testimonianza di Vincenzo Siciliano (Vicinzu Barraggiddu).
[5] Giovanni De Luna, La Resistenza perfetta, Feltrinelli, 2015. Bianco, Dante Livio, Guerra partigiana, Einaudi, 1974.
[6] Amelia Crisantino, I partigiani siciliani liberatori di Torino, la Repubblica, 23 aprile 2005, sezione: Palermo.
[7] Carmela Zangara, Ecco i partigiani di Sicilia, la Repubblica, 25/4/2008.
[8] Mauro Begozzi (a cura di), Dalla Sicilia per la Libertà. I combattenti siciliani nelle fila delle formazioni partigiane del Novarese e del VCO. Su “Nuova Resistenza”, Luglio-Agosto 2007. Inserto speciale.
[9] I dati relativi ai caduti, come quelli che riguardano la partecipazione dei siciliani alla resistenza, sono approssimativi e parziali e non da considerare come esaustivi e definitivi.
[10] Dalla scheda biografica ANPI di Palermo: on. .P. Colajanni, nato a Caltanissetta il 4/1/1906, morto a Palermo nel 1987 ”…fu sottosegretario alla Difesa nel primo governo Parri e nel primo governo De Gasperi, ricoprì diverse cariche politiche di rilievo nel Parlamento nazionale e nell’Assemblea siciliana.  Fu segretario delle federazioni comuniste di Enna e di Palermo.
[11] Nunzio Di Francesco “Il costo della libertà. Memorie di un partigiano combattente superstite del campo di sterminio di Mauthausen e Gausen 2”.Bonanno 2007.