Il colpo di spugna.
Trattativa Stato-Mafia:
il processo che non si doveva fare"
Nino Di Matteo, Saverio Lodato,
Edizioni Fuoriscena 2024.
"Il colpo di spugna. Trattativa Stato - Mafia: il
processo che non si doveva fare" è un libro intervista del magistrato Nino
Di Matteo, attualmente alla Direzione nazionale antimafia e all'epoca Pm di
punta del processo Stato -Mafia, assieme a Saverio Lodato, giornalista e
scrittore tra i più esperti di mafia, antimafia e Sicilia. Il libro si oppone
al vero e proprio "colpo di spugna" sulla trattativa in seguito al
verdetto assolutorio della Cassazione. Di Matteo dice che le sentenze si
rispettano ma si possono criticare e il magistrato esercita il diritto di
critica senza timori reverenziali e senza peli sulla lingua accusando la
sentenza della Cassazione:" Poche pagine pretendono di smontare la valenza
probatoria di fatti emersi in anni e anni di lavoro". E ancora:" Con
un vero colpo di spugna la Cassazione spazza via tutto, anche fatti che in
realtà neppure considera, preferendo semplicemente ignorarli".
L'intervista ripercorre questi fatti in modo puntuale, il libro risulta un vero
vademecum sull'intera vicenda processuale. Ma cosa s'intende per
"trattativa Stato-Mafia"? S'intende l'aver instaurato un canale di
comunicazione da parte degli ufficiali del ROS dei carabinieri Subranni, Mori e
De Donno, grazie a Vito Ciancimino, con i capi di Cosa Nostra "volto a
sollecitare eventuali richieste per far cessare la strategia omicidiaria e
stragista". In sostanza, mi alleo con Provenzano per fermare Riina.
Ebbene, questo patto scellerato tra uomini dello Stato e la mafia ci fu
altrimenti non si spiegherebbe la mancata cattura di Provenzano e la protezione
della sua latitanza e soprattutto non si spiegherebbe la scandalosa mancata
perquisizione del covo di Totò Riina consentendo ai mafiosi di portar via i
segreti del capo mafia e centinaia di documenti scottanti compresa, con ogni
probabilità, la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino. Che la trattativa non
sia stata "fuffa dell'antimafia "lo ha stabilito la sentenza di primo
grado che dopo cinque anni di processo, il 20 aprile 2018, la Corte presieduta
da Alfredo Montalto " riconosceva in pieno la fondatezza dell'ipotesi di
accusa e condannava Bagarella a 28 anni di reclusione, Cinà, Dell'Utri, Mori e
Subranni alla pena di 12 anni, De Donno e Massimo Ciancimino (che rispondeva di
calunnia in danno di Gianni De Gennaro) a 8 anni di carcere. Con una
motivazione particolarmente analitica e approfondita la Corte spiegava, tra
l'altro, che gli ufficiali del ROS dei carabinieri e Dell'Utri avevano svolto
in tempi diversi - 1992 e 1993 Subranni, Mori e De Donno; 1994 Dell'Utri - il
ruolo di istigatori e agevolatori, sollecitando i boss mafiosi a formulare e
inoltrare le richieste di benefici in cambio della cessazione della strategia
di violento attacco allo Stato". Tre anni dopo, però, la sentenza viene
ribaltata i giudici d'appello assolvono Subranni, Mori e De Donno perché
"il fatto non costituisce reato" e Dell'Utri " per non aver
commesso il fatto". Intendiamoci, la sentenza d'appello non nega la
trattativa ma spiega che essa, anche se "improvvida", fu fatta a fin
di bene, per evitare altre stragi. Una cosa davvero inquietante. "E
proprio per questa ragione - spiega Di Matteo- per evitare che diventasse
definitiva una sentenza che, pur assolutoria nei loro confronti, sanciva verità
così imbarazzanti, i carabinieri proponevano ricorso per Cassazione". E
così si arriva alla sentenza della Cassazione che il 27.04.2023 assolve Mori,
De Donno e Subranni non più perché "il fatto non costituisce reato "
ma "per non aver commesso il fatto ". Le motivazioni della sentenza
saranno espresse in 91 paginette a fronte delle 5237 pagine della sentenza di
primo grado e delle 2971 pagine della Corte d'appello. Il colpo di spugna è
stato dato sembra verificarsi quello che diceva Leonardo Sciascia:" Se lo
Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia dovrebbe suicidarsi".