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05 giugno 2022

Il canto di Calliope di Natalie Haynes

 


Una donna sola corre nella notte, intorno a lei la sua città che brucia. Fuori dalle mura, la regina e altre sventurate attendono un destino che verrà deciso dai vincitori. È la caduta di Troia. Dieci interminabili anni di guerra sono giunti alla tragica conclusione, mentre le avventure dei protagonisti andranno a ispirare, nei secoli a venire, le opere di artisti e scrittori. «Cantami o Musa» invoca il sommo poeta Omero, che ha raccontato le gesta degli eroi. Ma Calliope, musa della poesia epica, questa volta è meno accomodante: è convinta che non tutto sia stato narrato, che qualcosa di fondamentale, legato alle figure femminili, manchi ancora per completare l'affresco. Se il bardo vuole che lei canti, allora lei canterà insieme a tutte le donne coinvolte nella grande tragedia. Dando voce a ciascuna di loro, Calliope prende in mano la storia e ce la racconta da una nuova prospettiva. 

«Cantami, o Musa», invoca il Poeta per scrivere il suo poema senza chiedersi mai se la Musa è disposta a farlo di buon cuore o se ciò le pesa.

Pensa a sé stesso, a cantare di eroi e chiede alla Musa il suo aiuto ma non si preoccupa di darle il giusto merito, di ascoltarla sul serio.

Prende ciò che gli serve.

Alle donne nessun ascolto, nessuna attenzione, è impegnato a costruire un poema in cui uomini, semi dei e dei sono assoluti protagonisti dimentico che in ogni storia anche le donne, che nelle guerre antiche aspettavano i loro uomini a casa, combattono.

Nel canto di Calliope, Natalia Haynes, si erge al ruolo di poetessa e canta di queste donne, per le donne ma non solo, da voce a coloro a cui l’ascolto è stato negato per secoli. Di queste donne si è mai chiesto qualcuno qualcosa?

Di Penelope, regine di Itaca, in attesa per 20 anni del ritorno di Odisseo, non meno astuta di quest’ultimo.

Di Polissena, amazzone ed eroina di Troia.

Di Ecabe, regina di Troia, fredda, regale ma dignitosa fino alla fine.

Di Cassandra, sacerdotessa di Apollo, con il dono di vedere il futuro. Una maledizione che la annienta perché ciò che vede non viene creduto da nessuno.

Natalie Haynes con il suo canto, dona voce a questa principesse, regine, guerriere, le pone allo stesso livello di Achille, Ettore, Paride e tutti gli altri protagonisti. Anche queste donne hanno combattuto, hanno subìto, hanno il diritto di raccontare la storia.


 Natalie Haynes è scrittrice e giornalista. Classicista di formazione, ha pubblicato tre romanzi e due saggi.  Autrice e conduttrice, nel 2015 ha ottenuto il Classical Association Prize come riconoscimenti per il suo lavoro di divulgazione dei classici.

 Ilaria Matà

GioiaLibro




07 maggio 2022

La principessa d’Irlanda di Elizabeth Chadwick

 Irlanda, 1166. Dotata di una bellezza straordinaria, di una voce incantevole e di un’intelligenza fuori del comune, Aoife, figlia di Diarmait, re d’Irlanda, ha soltanto quattordici anni quando suo padre viene deposto ed è costretta a seguirlo in esilio in Inghilterra. Solo conquistando il favore e l’appoggio di re Enrico II, padre e figlia potranno tornare in patria e scacciare i loro nemici. E Diarmait sa che Aoife può avere un ruolo fondamentale nell'impresa. Proprio grazie al suo fascino, infatti, la ragazza riesce a sedurre il sovrano inglese, che accetta di aiutarli. Un'alleanza che li condurrà al carismatico Riccardo di Clare, conte di Pembroke e di Striguil, un giovane al servizio del re, ambizioso e affamato di potere. Diarmait promette a Riccardo ricchezza, terre e addirittura la mano di Aoife in cambio del suo aiuto in Irlanda. Ma Aoife non vuole essere una pedina nelle mani dei potenti: consapevole delle sue doti, sarà lei a voler condurre il gioco, a suo vantaggio e alle sue condizioni…

Il Times ha definito Elizabeth Chadwick: “un’eccezionale narratrice degli intrighi di corte.”

Questa definizione viene confermata ogni volta che scrive un romanzo.

La stressa autrice della fortunata serie su Eleonora d’Aquitania in La Principessa d’Irlanda narra le vicende della giovane Aoife, figlia del re Diarmait, costretta a seguirlo in Inghilterra quando questi viene deposto dal suo trono.

Gli intrighi non mancano, come in qualsiasi corte che si rispetti, e qui la giovane principessa impara a destreggiarsi dimostrando lealtà nei confronti della sua famiglia ma non rinunciando alla sua libertà di scelta e rifiutando di essere una pedina nelle mani dei potenti.

La Chadwick descrive le scene con tanta maestria e precisione da dare l’impressione che lei stessa abbia vissuto in persona ciò che narra.

Un romanzo affasciante e anche cruento, una ricostruzione con un’accuratezza storica davvero impeccabile.

Ciò che viene fuori da questo romanzo è la figura di una donna consapevole delle sue capacità.

Nonostante la sua bellezza decantata, Aoife non è vittima di questa, né tantomeno la usa per perseguire uno scopo o una causa ma, attraverso l’intelligenza fuori dal comune di cui è dotata, si muove alla corte di Enrico II facendosi osservare ma mai avvicinare.

Una donna che attraverso le sue azioni fa capire quanto possa essere determinante nella riuscita di un’impresa. Una donna moderna che conosce il proprio valore e si pone alla pari di uomini potenti.


 Ilaria Matà

GioiaLibro




05 gennaio 2022

LA NEMICA DEL RE - Recensione di Ilaria Matà

 

A volte seguire il proprio cuore è l'unica via d'uscita. Era il 1340 quando una giovanissima Giovanna di Kent, cugina di Edoardo III e futura principessa di Galles, segue per la prima volta il suo cuore: contraendo un matrimonio clandestino con Thomas Holland, che diverrà conte di Kent. Ma il re Edoardo ha altri progetti per lei. Impegnato a traghettare l'Inghilterra in una sanguinosa guerra, la lunga battaglia dinastica per il trono di Francia che si trasformerà nella Guerra dei Cent'anni, negozia per lei le nozze strategiche con William Montagu, secondo conte di Salisbury, in grado di fornire supporto e aiuti all'esercito del re. Ma Giovanna, ancora tormentata dagli incubi che le ricordano la terribile esecuzione di suo padre per le mani dello stesso re, non ha intenzione di accettare la decisione di Edoardo, e non si rassegna al destino di dover sposare un uomo che non ama. E quando Thomas tornerà dalla Francia, dove anche lui ha combattuto la sua battaglia, non temerà il giudizio del re, né di chiunque altro, nel tornare dall'uomo cui aveva fatto la sua promessa. Ma la vita ha in serbo ancora altre sorprese per lei...

 “Ci sono donne che non si arrenderanno mai a un destino deciso da altri.”

 Seguiamo le vicende della vita di Giovanna di Kent, passata alla storia come Fair Maid of Kent, dall’anno 1338 fino al 1361.

In questo romanzo si evince la lotta interna della giovane Giovanna tra l’indipendenza cercata e il compimento del proprio dovere, dovuto dal suo rango di principessa reale, presso la corte del re Edoardo III, padre di Edoardo il principe nero, suo terzo marito.

Costretta dalla famiglia ad un matrimonio con William Montacute, figlio ed erede del conte di Salisbury, lotterà per ricongiungersi con Thomas Holland, I conte di Kent e suo vero amore.

L’obiettivo di Candace Robb, scrittrice statunitense laureata in letteratura medievale, è narrare la storia che ha portato Giovanna a contrarre matrimonio in segreto con Holland attraverso la ricostruzione di eventi e testimonianze.

Quello che ne viene fuori è un romanzo pieno di passione e conoscenza storica con la descrizione di una giovane donna molto indipendente in grado di lottare per il proprio futuro a discapito del gioco politico che vede le donne come pedine da usare per stringere alleanze attraverso il matrimonio.

Ilaria Matà

GioiaLibro

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10 dicembre 2021

Il suggeritore di Donato Carrisi

 Qualcosa di sconvolgente è successo, qualcosa che richiede tutta l'abilità degli agenti della Squadra Speciale guidata dal criminologo Goran Gavila. Il loro è un nemico che sa assumere molte sembianze, che li mette costantemente alla prova in un'indagine in cui ogni male svelato porta con sé un messaggio. Ma, soprattutto, li costringe ad affacciarsi nel buio che ciascuno si porta dentro. E un gioco di incubi abilmente celati, una continua sfida. Sarà con l'arrivo di Mila Vasquez, un'investigatrice specializzata nella caccia alle persone scomparse, che gli inganni sembreranno cadere uno dopo l'altro, grazie anche al legame speciale che comincia a formarsi fra lei e il dottor Gavila. Ma un disegno oscuro è in atto, e ogni volta che la Squadra sembra riuscire a dare un nome al male, ne scopre un altro ancora più profondo…


Il suggeritore è il romanzo d’esordio di Donato Carrisi pubblicato nel 2009 e vincitore del Premio Bancarella.  Ambientato nel Nord Europa e in America, è il primo del ciclo su Mila Vasquez seguito da L'ipotesi del male (2013), L'uomo del labirinto (2017) e Il gioco del suggeritore (2018).

In questo thriller avvincente seguiamo le vicende del gruppo guidato dal criminologo Goran Gavila affiancato da Mila Vasquez, esperta di persone scomparse, impegnati nella ricerca di 6 bambine che improvvisamente sono sparite.  Vicenda che ha sconvolto famiglie e un’intera comunità. 

Una narrazione mai banale, carica di suspence senza tempi morti e in grado di tenere incollati al libro con la voglia di scoprire quale sarà la mossa successiva del serial killer e, quindi, quale brillante idea è scattata nella testa dello scrittore. 

Donato Carrisi con un’ottima scrittura e fluidità accompagna in questo viaggio nel male in cui ciò che viene a galla è solo la punta dell’iceberg. Il male nascosto, il marcio dell’umanità, sembra essere così illimitato da sconvolgere l’esistenza di chi ne viene a conoscenza. 

 Ilaria Matà


Donato Carrisi è uno scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista e regista italiano, vincitore del Premio Bancarella nel 2009 con Il suggeritore e del premio David di Donatello nel 2018 con La ragazza nella nebbia.



21 giugno 2021

CIÒ CHE INFERNO NON È - Alessandro D'Avenia

 

Palermo, estate 1993. Federico, studente modello del liceo classico Vittorio Emanuele II, ha diciassette anni e un mare di domande. Ma ha anche un professore di religione speciale, padre Pino Puglisi.

Con lui si troverà a scoprire "un'altra" Palermo, quella del quartiere Brancaccio, dei casermoni infernali di cemento, di Cosa Nostra ma anche la città del coraggio e della speranza. Con l'emozione del testimone e la potenza dello scrittore, Alessandro D'Avenia ridà vita in questo romanzo al "suo" Don Pino, un uomo straordinario, capace di generare la sola epica oggi possibile, quella del quotidiano. Capace, soprattutto, di riconoscere anche nell'abisso infernale "ciò che inferno non è".

Un eroe epico, secondo i poemi epici greci, solitamente è un re, un principe, un semidio capace di imprese straordinarie per il bene affrontando avversari e ostacoli. L'eroe di questo romanzo è un semplice prete, piccolo di statura, ma con un sorriso immenso capace di coinvolgere i ragazzi strappandoli così alla criminalità organizzata. Un vento di speranza in un quartiere infernale come Brancaccio in cui la fame, la povertà e la disperazione spingono i ragazzi a bruciarsi presto. Ragazzi cresciuti ed educati a difendersi per non diventare vittime. E tra questi ragazzi, Padre Pino Puglisi -chiamato 3P - prova a rompere le catene che potrebbero incatenarli per sempre ad un destino buio e a uomini come il Cacciatore di cui non sa nulla Federico, studente innamorato delle parole e di Petrarca che con difficoltà si approccia al mondo che Padre Pino cerca di fargli vedere.

"Don Pino sa che l'inferno opera più efficacemente sulla carne tenera, i bambini. Bisogna difendere la loro anima prima che qualcuno gliela strappi. Custodire ciò che hanno di più sacro."

E per questo paga con la vita, paga per difendere il diritto dei bambini ad essere tali, paga perché con le sue mani ha operato con carezze, abbracci e anche con un fischietto per allontanarli dall'inferno.

"Se nasci all'inferno hai bisogno di vedere almeno un frammento di ciò che inferno non è per concepire che esiste altro. Per questo bisogna cominciare dai bambini, bisogna prenderli prima che la strada se li mangi, prima che gli si formi la crosta intorno al cuore. Ecco perché sono necessari un asilo e una scuola media. Non ci vuole la forza, ci vogliono la testa e il cuore. E le braccia. Non hai idea di cosa su può fare con queste tre cose."

Alessandro D'Avenia, con le sue parole, la sua scrittura, tocca l'anima del lettore. Con emozione, senza negarsi e sottrarsi consegna un romanzo toccante in grado di far commuovere e riflettere accendendo speranza e invitando a guardare oltre, oltre le diffidenze, oltre le differenze, oltre le maschere dietro cui si trincera la gente non per paura, nemmeno per vigliaccheria ma per istinto di sopravvivenza.

Invita a guardare l'operato di un uomo semplice che non ha permesso alla paura di vincere.

Oltre a questo, Alessandro D'Avenia è profondamente innamorato delle parole, le corteggia e si lascia corteggiare e il suo romanzo è anche un inno alla meraviglia che le parole possono trasmettere.


Ilaria Matà

GioiaLibro

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16 aprile 2020

La verità dell’Alligatore di Massimo Carlotto



“Quando la vidi entrare, tailleur costoso e borsa rigida da professionista, capii subito che mi sarei perso parte del concerto di Cooper Terry che stava iniziando in quel momento.”

 Inizia così il romanzo noir di Massimo Carlotto, scrittore italiano, pubblicato nel 1995 da Edizioni e/o.

È il primo libro della serie dell’Alligatore cui fanno seguito altri otto libri. Massimo Carlotto

Trama

Massimo Carlotto
L’alligatore è un ex cantante Blues. Ingiustamente condannato a sette anni di carcere gli è rimasta addosso la fragilità degli ex detenuti e l’ossessione della giustizia. Ha messo a frutto le sue “competenze” e le sue conoscenze nella malavita divenendo un investigatore molto particolare: più a suo agio nel mondo marginale ed extra legale che tra poliziotti e magistrati, ricorre volentieri all’aiuto di strani personaggi, primo fra tutti Beniamino Rossini, un malavitoso milanese con il quale ha stretto una bella amicizia malgrado le differenze culturali e di temperamento. I due intuiscono presto che gli omicidi di due donne, imputati a un povero tossico, sono in realtà maturati nei corrotti ambienti di una certa borghesia di provincia. Un tipo solitario Marco Buratti, meglio conosciuto come l’Alligatore, amante del blues ed ex cantante di un gruppo a cui la galera ha tolto la voglia di cantare. Ex carcerato dal carattere schivo, ha deciso di assumere il ruolo d’investigatore aiutando gli altri dietro lauto compenso. Ed è così che si ritrova ad aiutare un’avvocatessa che si è rivolta a lui per cercare un certo Magagnin, un tossico finito in carcere con l’accusa di aver ucciso una donna a coltellate e adesso scomparso dopo aver finito il turno di lavoro essendo in regime di semilibertà. Carlotto, nel romanzo, porta un pezzo della sua vita, infatti, lui stesso è salito alla ribalta delle cronache per un caso giudiziario di omicidio. Il ritrovamento del cadavere di uno dei giudici popolari della Corte d’Assise che condannò Magagnin, complica il caso e lo infittisce di mistero. L’Alligatore non vuole assumere le sembianze di un supereroe, anzi è uno distante, che si fa i fatti suoi, non per vigliaccheria ma perché troppo occupato a combattere le sue guerre per avere tempo di combattere anche quelle degli altri. Ma è anche uno che ha fiuto per le indagini e soprattutto uno che quando è dentro una storia non demorde per questo, coinvolge Beniamino Rossini, ex appartenente alla vecchia malavita milanese conosciuto dietro le sbarre. La narrazione di Carlotto tiene il lettore incollato al libro e la storia assume sempre di più l’aspetto di una giustizia che è stata negata. Con un sottofondo Blues, musica tanto amata dall’investigatore, in ricordo di un vecchio amore che l’ha dimenticato mentre era in galera, alcune verità iniziano a venire a galla e altre aspettano di trovare la luce accompagnando il lettore fino ad un finale sorprendente.




Ilaria Matà



   

05 marzo 2020

Il discorso delle stelle di Antonio Rubino


Antonio Rubino apre ogni capitolo con una legge astrofisica che in qualche modo si ricollega a quello che vivranno e proveranno i personaggi nelle pagine del suo libro.
Un libro che conquista piano piano, non cattura subito ma ti incuriosisce pagina dopo pagina e ti incanta con la bellezza dei posti descritti.
Le esistenze diverse, il contrasto tra il benessere e la povertà, tra la guerra e un mondo lontano dalla violenza definiscono la vita e il modo di interagire dei protagonisti Paolo e Leonore che vivranno un'intensa storia d'amore.
Le differenze che di solito creano distanze ,come tra le galassie, qui avvicinano e nei piccoli gesti come un abbraccio o la coccola di un tè troppo zuccherato si percepisce racchiuso un dono del Creatore.
Nel libro i personaggi si pongono le stesse domande che ci poniamo anche noi.
Perché nella maggior parte dei casi, le differenze non creano quel filo conduttore che potrebbe unirci senza farci perdere la nostra identità?
Le scelte di Paolo, dettate un po' dalla noia, un po' dalla frenesia, dalla compassione e dalla competizione ,che sembrano all'inizio gratificarlo, negli anni perdono valore perché lo allontanano dal vero io, e lo portano a chiedersi: "Sono felice?"
Non è costantemente quello che facciamo noi?
Pensiamo di decidere noi, di fissare le nostre priorità, ma in realtà è il tempo, è la stessa vita che rende schiavi di quelle azioni che chiamiamo scelte.
E quando ci fermiamo e iniziamo a porci delle domande ci rendiamo conto che abbiamo solo perso tempo o ci siamo allontanati da quegli ideali che hanno dato entusiasmo alla nostra gioventù.
La scelta, forse per la prima volta libera, consiste nel decidere se continuare così oppure lasciare gli agi per intraprendere un nuovo percorso. Ed è proprio nel momento in cui decide di scendere da quel volo in prima classe per riabbracciare il suo io che Paolo incontra Leonore. Una donna così lontana, irraggiungibile, impegnata nelle sue battaglie e coinvolta nelle vicende del suo paese.
Ed è qui che la storia dapprima coinvolgente, ti travolge completamente.
Gli anni passano e ci ritroviamo nel 2049 in un mondo che potremmo definire utopico, dove non esistono le disuguaglianze, la povertà, di diverse malattie è stata scoperta la cura e un giovane ragazzo ha il compito di ricevere in eredità questa bellissima storia.


Ilaria Matà



08 gennaio 2020

Vita di Maria Stuarda: la rivale di Elisabetta I d'Inghilterra





“Nella mia fine è il mio principio”
“En ma fin est mon commencement”, era la frase che la regina Maria Stuarda aveva scelto come motto ricamandolo su di un broccato.

Mai frase fu più vera.

Sta di fatto che aveva capito tutto, anticipando di diversi anni, che nel momento in  cui sarebbe morto il suo corpo, sarebbe diventata immortale la sua figura.

Con la sua morte ha segnato la storia. Regina di Scozia a soli 6 giorni di vita, bambina capace di incantare tutti al suo passaggio, cresciuta alla cort di Francia in mezzo all’arte e alle buone maniere, principessa in grado di ispirare poeti e sposa appena quindicenne del delfino di Francia, si ritrova ad avere sulla testa due corone di due regni molto diversi tra di loro.

La Francia esperta nell'arte del cerimoniale e la Scozia, paese povero e indietro anni luce per quanto concerne la cultura rispetto alla corte francese.

Ma sulla testa di Maria Stuarda in molti avrebbero voluto vedere anche un’altra corona, quella d’Inghilterra.

Appoggiata dai cattolici che riconoscono in questa Stuart la sola e degna erede dei Tudor, sarà proprio questo che la porrà come rivale di Elisabetta I, regina d’Inghilterra, sostenuta dalla parte protestante.

  Due donne così diverse, Maria Stuarda così coraggiosa e sicura nelle proprie decisioni, piena di dignità fino alla morte, Elisabetta eternamente in lotta con sé stessa, piena di dubbi, definita isterica, non in grado di dare una risposta categorica.

Maria Stuarda aveva il coraggio di sfidare il destino con la pecca di sentirsi al di sopra di tutto in quanto testa coronata.

In Elisabetta invece è sempre stato evidente il mettersi al servizio del popolo per fare il bene del popolo.

La storia le vorrà rivali, la morte le porrà vicine nella sepoltura come sorelle.

Maria Stuarda che con le sue azioni ha segnato la sua fine, nella sua fine le sue azioni sono state consegnate alla storia.

In questa biografia non viene celato nulla ma l’autore fa un quadro chiaro e delineato della regina Stuart e della donna Maria.

Stefan Zweig ha la capacità di far vivere sulla pelle il vissuto della regina, portando con la mente a ritroso nel tempo tra feste nella corte francese e complotti scozzesi e inglesi.

Ilaria Matà


Stefan Zweig (Vienna, 28 novembre 1881 – Petrópolis, 22 febbraio 1942) è stato uno scrittore, drammaturgo, giornalista, biografo, storico e poeta austriaco naturalizzato britannico.















01 ottobre 2019

Clarissa Pinkola Estés e la sua interpretazione di Barbablù di Charles Perrault




Trama Barbablù: Barbablù è un uomo ricco e crudele, che ha avuto sei mogli che sono improvvisamente scomparse. Nonostante il suo passato ombroso, riesce a sposarsi con la figlia più giovane di una dama sua vicina, anche grazie all'ostentazione delle sue grandi ricchezze. Non passa molto tempo che Barbablù annuncia alla moglie di doversi assentare per almeno sei settimane, per questioni di lavoro. Prima di partire, egli la guida attraverso l'intera villa, mettendole a disposizione ogni cosa e consegnandole il mazzo con tutte le chiavi della casa. Lei è libera di usare tutto, di aprire tutto, di andare dappertutto tranne che oltre la porta della camera segreta aperta da una particolare piccola chiave che Barbablù le mostra. (fonte Wikipedia)

Non ho mai letto la fiaba “Barbablù” di Charles Perrault ma sono rimasta affascinata dall’interpretazione che la scrittrice Clarissa Pinkola Estés dà ai suoi protagonisti. Ne parla nel libro “Donne che corrono coi lupi”.
La scrittrice vede nel personaggio di Barbablù l’uomo nero che abita la psiche di tutte le donne e nella favola l’intera rappresentazione del dramma che la donna vive.
La donna, giovane sposa, che non ha ancora imparato bene a riconoscere il predatore.
Una donna giovane che non ha ancora la chiave per capire che il suo sposo, con il “permesso” datole di poter fare quello che vuole all’interno della dimora, in realtà la sta tenendo prigioniera. Deve semplicemente attenersi ad una sola regola, non aprire una porta, così facendo limita la donna perché le impone di non dare ascolto alla sua indole che è sempre alla ricerca della verità.
“Barbablù proibisce alla giovane donna di usare quella chiave che la porterebbe alla consapevolezza” cit. Barbablù
Una donna consapevole delle sue capacità è una donna capace di superare qualsiasi avversità.
La consapevolezza che permette di scoprire «quello che sta sotto» che vuol essere tenuto nascosto.
E una volta aperta quella porta e svelato il mistero, la donna deve affrontare l’uomo nero che abita nel suo inconscio. Una volta affrontato e sprigionata dalla sua presenza avrà finalmente conosciuto la sua natura combattiva che dà alle donne la consapevolezza di possedere un’energia tremenda.




Ilaria Matà




07 marzo 2019

La sarta di Maria Antonietta Memorie di Rose Bertin




Diventare “ministra della moda” di una regina non è cosa da tutti ma è quello che accadde a Rose Bertin. Nata il 2 luglio 1747 ad Abbeville, da una famiglia appartenente alla plebe, debuttò come una delle tante modiste di Parigi prima di essere notata dalla Regina di Francia e diventare la prima stilista della storia.
Spettatrice degli intrighi di corte e molto vicina alla regina di Francia, passata alla storia per diversi scandali primo fra tutti “l’affare della collana” che vide protagonisti Jeanne de Valois, insieme al conte di Cagliostro e al cardinale di Rohan ordire un piano ai suoi danni per ottenere denaro e potere. Questo episodio fu uno degli artefatti che portò alla Rivoluzione Francese che vide la disgraziata regina morire decapitata.
Rose Bertin lascia ai postumi queste memorie per difendere la persona di Maria Antonietta accusata di condurre una vita molto costosa anche per una regina. Siamo sempre stati abituati all’immagine di una Maria Antonietta trasfigurata nei film come ragazza viziata, dedita alla bella vita e incurante delle necessità del suo popolo.
Rose Bertin vuole portare alla luce un’altra immagine della regina, quella di madre dolce, familiare e ben consapevole delle sue responsabilità di regina, anche se il critico Giuseppe Scaraffia fa luce sul fatto che la sarta abbia volutamente omesso dei particolari nel suo racconto.
Siamo di fronte ad un romanzo che si legge anche in un solo giorno per il suo scorrere fluido e che in qualche modo ci regala un’immagine che forse in molti non conoscono della regina Maria Antonietta, quella di donna che si ritrova al centro di un mondo più grande di lei fatto di intrighi e sospirazioni.

Ilaria Matà