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09 gennaio 2021

Le masserie nel territorio di Pietraperzia - Salvatore Di Gregorio

 



Le masserie raccontano una pagina importante della nostra storia ed ancora segnano, con la loro presenza, il paesaggio rurale siciliano.

Non semplici dimore di campagna ma strutture ben più complesse che dovevano rispondere alle necessità abitative, lavorative e di convivenza di tutto quel microcosmo sociale che ruotava attorno, nei nostri territori, al sistema agricolo del latifondo.

Dunque insieme, abitazione, azienda agricola, magazzino, ricovero per uomini, raccolto, attrezzi ed animali.

Collocata al centro del feudo, distante dai centri abitati, nella masseria convivevano più famiglie, si organizzava il loro lavoro e si svolgeva anche tanta parte della vita di relazione di quelle comunità. Numerose le figure che ne animavano la vita svolgendovi la loro attività e molto rigidi erano i principi e le gerarchie che ne regolavano i rapporti.

I nobili proprietari, solo raramente si occupavano della conduzione del feudo preferendo piuttosto darlo in gabella e godersi le rendite nelle splendide residenze e nella vita sfarzosa di città.

Sicché, generalmente, è Il gabellotto il dominus di quella comunità e ad esso risponde il massaro che è la figura che sovrintende alla conduzione ed amministrazione del fondo e di tutta l’attività della masseria. Conduzione nella quale è affiancato dai campieri: gente di stretta fiducia che garantiva il mantenimento dell’ordine e del controllo padronale sulla vita e sulle attività del feudo. La forza lavoro era composta dai contadini che vi prestavano la loro opera a vario titolo: mezzadri, salariati fissi, stagionali,  misaluri, jurnatari. Fondamentale la presenza delle figure femminili che non solo disimpegnavano le tante incombenze domestiche essenziali per la vita nella masseria, ma spesso condividevano anche la fatica del lavoro nei campi.

La vita nella masseria seguiva la stagionalità del ciclo produttivo della campagna e delle sue attività, animandosi e popolandosi, in particolare, nei periodi della raccolta.

All’insieme di queste attività che vi si svolgevano e di figure che in essa operavano e convivevano, corrispondeva una peculiare conformazione costruttiva della masseria che, nella sua struttura più tipica, contemplava generalmente un ampio caseggiato chiuso verso, l’esterno da un alto muro perimetrale che delimitava un cortile interno centrale sul quale si affacciavano gli edifici adibiti ad abitazione, a magazzini per i prodotti, gli attrezzi e le stalle. In qualche caso, un secondo piano di costruzione ospitava le abitazioni del proprietario o del gabellotto che, tuttavia, solo occasionalmente, in genere nei periodi di raccolta, dimoravano in masseria.

La vita e le attività nella masseria siciliana sono state narrate magistralmente dalla grande letteratura siciliana del XIX secolo; per tutte, la Masseria di Margitello e la sua tenuta che furono lo scenario delle malefatte del Marchese di Roccaverdina fino al loro tragico epilogo o la masseria di Mangalavite, pupilla degli occhi di mastro don Gesualdo che vi riparò famiglia e parentado per sottrarli all’epidemia di colera che imperversò in Sicilia nel 1837.

In una masseria, Il poeta e scrittore pietrino Giovanni Giarrizzo ambientò il suo dramma Un coccio di verità. In essa si consumano le vicende narrate dall’autore e si muovono quegli stessi personaggi che, così come nella realtà, animano la vita della masseria: i proprietari, i massari, i contadini e le loro famiglie.

Uno degli episodi più significativi del romanzo Piccola pretura (di Giuseppe Guido Lo Schiavo che fu Pretore a Barrafranca tra il 1921 ed il 1922) si svolge nella Masseria del Conte che l’autore colloca in una contrada non discosta dai centri di Barrafranca e Pietraperzia e così ne descrive la struttura “era una specie di fortilizio in mezzo alla bonifica: un alto muro di cinta, grosso e spesso come un bastione, cingeva il vasto cortile. A levante si apriva la porta, enorme, rinforzata da bande ferrate e da puntelli: unico accesso controllato all’edificio. Agli altri tre lati erano addossati i magazzini, la casa padronale, gli appartamenti dei guardiani, le scuderie, le stalle. Feritoie occhieggiavano in alto, esternamente, dal chiuso recinto”.

La crisi del modello produttivo del latifondo, al quale la masseria era intimamente legata, è tra le cause del suo progressivo, inesorabile decadimento. Alcune di quelle strutture, nel tempo, si sono convertite a nuova vita adattandosi a ruoli e utilizzazioni differenti; più spesso hanno subito l’onta del degrado e dell’abbandono.



In giro per il nostro territorio ci si può imbattere in queste imponenti costruzioni; giganti del passato, spesso malamente sopravvissuti ma pur sempre testimoni potenti e custodi della nostra identità. A questa realtà le tavole disegnate da Armando Laurella vogliono restituire il fascino della memoria e mostrarne una intensità di vita che solo l’arte può sottrarre alla inesorabile usura del tempo.

Salvatore Di Gregorio