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26 aprile 2019

Invito alla lettura: Il veleno dell’oleandro di Simonetta Agnello Hornby





Dopo avere letto la trilogia La Mennulara, Boccamurata e La zia Marchesa, “Il Veleno dell'oleandro” non si scosta nello stile e nelle tematiche sempre riproposte dalla nostra autrice. Una scrittura sapientemente resa scorrevole con le colorite descrizione di personaggi e luoghi di una Sicilia immaginaria. Luoghi immaginari ma che emergono reali alla mente di ogni siciliano che se ne è allontanato e le rivive con nostalgia.
Una scrittura sempre elegante anche nei piccoli dettagli descrittivi che danno forma e piacevolezza ai suoi romanzi.
Il racconto “Il veleno dell’oleandro” è ancora la narrazione drammatica di una grande famiglia: i Carpinteri, che nel groviglio delle passioni morbose, delle rivalità, dei segreti gelosamente custoditi, degli amori clandestini l’autrice intreccia con la consueta maestria sentimenti e risentimenti, sapendo creare momenti di vera suspance.
Bede Lo Mondo, un giovane bellissimo, viene accolto nella sua adolescenza dalla famiglia benestante dei Carpinteri, che gli dà la possibilità di studiare e di crescere nella loro tenuta de Ceuta a Pedrara.
Bede rimarrà fedele tutta la vita ad Anna, la padrona della tenuta. Accudirà devotamente Anna, ormai vecchia e malata di una forma di demenza fino alla sua morte. Un rapporto ambiguo ha legato Anna e il molto più giovane Bede.
L’incontro con i figli Luigi, Giulia, Mara e i parenti, accorsi al capezzale di Anna accende vecchi rancori famigliari, vecchi amori, storie di tesori nascosti, passaggi segreti. Anche i rapporti con la famiglia di Bede: i Lo Mondo, e una setta segreta, vedono il ritorno dei padroni come un ostacolo allo svolgimento delle loro attività illegali. Tanti misteri si svolgono nella villa e troppi personaggi entrano nella trama del romanzo.
Simonetta Agnello Hornby, in questo romanzo, introduce “parentesi” su numerosi soggetti solo accennati, una fotografia ridondante e non sempre nitida di personaggi e situazioni inverosimili: l'anoressia, la violenza familiare sulle donne, la bisessualità, l’omosessualità, l’associazione mafiosa, lo sfruttamento degli immigrati di colore.
Veramente troppo per non dare, in certi momenti, poca credibilità alle storie complicate della famiglia Carpinteri. La scrittrice non ha voluto fare una narrazione che avrebbe appesantito il romanzo su temi troppo scontati. Forse consapevolmente si è limitata ad accennarli, mettendo così il lettore nella condizione di immaginare e riflettere su argomenti della nostra attualità


Lina Viola



Il libro Il veleno dell’oleandro di Simonetta Agnello Hornby  è disponibile in biblioteca.  Puoi prenotarlo cliccando qui



11 gennaio 2019

Invito alla lettura: "Verso la Foce" di Gianni Celati



Il libro di Celati è fatto di quattro diari di viaggio. La raccolta è in tre
tranche: maggio 1983 (divisa in due diari), maggio 1984, maggio 1986. Sono pubblicati dall'ultimo al primo. Il viaggio è un lento andare che documenta ciò che si lascia dietro. Si tratta di un camminamento nella Pianura Padana che si trasforma, nel diario dell’83, in un viaggio “sapienziale” alle foci del Po. Il percorso è disorganizzato. È intessuto di quotidiano e non vi sono immagini degne di nota. È un viaggio di recupero di una visione normale, sulle cose e sul mondo. Si diffida, nel diario, delle cose straordinarie, fuori dall’ordinarietà che è lecito che ancora appartenga ad un luogo.

Il libro di Celati è anche il resoconto di un frammento di territorio e di umanità della pianura Padana. Su di essa grava il presentimento di stare per essere spazzata via, così com'è, forse da un evento di portata storica e inesorabile. Quale sia l’evento, se climatico, ambientale, economico, sociale, antropologico, se ci sia stato, si sa e non si sa. Questo non viene detto, ma aleggia una malinconia che vi allude possibilmente. La prima sezione del libro (Un paesaggio con centrale nucleare) è del 1989: lo scoppio della centrale di Černobyl. Lo scrittore fa un’inchiesta, seria nelle intenzioni ma a tratti estemporanea, chiede alle persone che incontra quanto ne pensano riguardo all’esposizione del Nord Italia alle radiazioni, registra le paure di un paese alla frase d’una barista: “Guarda che se non fa il bravo le dò latte contaminato, eh?”.

Questo sentimento di un mutamento che stravolge il volto della Pianura Padana non si esime da un resoconto particolareggiato di ciò che sembra destinato a svanire. Con occhio zelante, quando anche disattento, penetrante ma da lontano, Celati spiega la natura di quelle zone e chi le abita. Grossi stabilimenti industriali, un benzinaio grasso in ciabatte che si volta dall’altra parte mentre riempie serbatoi di benzina.
I luoghi descritti si trovano spesso nel punto di tensione fra un’offerta sentimentale del loro paesaggio naturale e lo squallore di elementi inquinanti che li hanno turbati. È l’inquinamento dei rifiuti delle industrie. Ma è anche una mutazione antropologica: i negozi dalle luccicanti vetrine delle grandi città sono riprodotti uguali nei cuori mutati dei piccoli borghi. Lo scrittore prende nota, cammina oltre, per “raggiungere una foce dove tutte le apparizioni si eclissano ridiventando detriti”.
Celati ricompone un’immagine cara al Novecento letterario: i detriti. Ma ricerca i relitti della realtà da un luogo metaforico ad un paesaggio ambientale: le foci del Po.
Questo diario è anche, se mi si passa l’espressione, un pamphlet di sapore profetico sulla fine del mondo. Si veda la quarta sezione (Verso la foce): quando il protagonista si trova a Scardovari, un paese nei pressi del Po di Gnocca, sta giocando ad un flipper in un bar semivuoto. Il gioco del flipper si basa sulla missione di due astronauti, Voltan e Vanda. Nel flipper, i due astronauti si devono allontanare dall’Empire State Building e dalla Statua della Libertà di New York per arrivare all’astronave che li salverà. Da che cosa? Dalla fine del mondo.
Celati non sale sull’astronave, né vuole farlo. Forse non può, e la navicella potrà prelevare le persone di una generazione successiva alla sua. Celati, col suo libro, si è fermato a fissare i resti del mondo, prima di una fine che non conosce.

Lo stile è quello di un libro fatto sorgere sulle frasi spezzate dagli appunti presi su un taccuino durante il viaggio. Talvolta, scritti mentre camminava, per cogliere l’essenza normale, diretta delle cose che vedeva. Oppure, lo scrittore è abile a fare risalire lungo questo filo, quello di una composizione immediata. Celati fa una prosa descrittiva, dura e senza sbavature, ma nutrita di lontananze e riflessioni su sé stessa. È asciutta, anche quando è tenuemente paesaggistica; quando è apocalittica, assegna alle parole un peso specifico.

Il personaggio Celati è solo un occhio che osserva. Questa è la visione copernicana in cui anche un altro scrittore, che sembra opposto a lui, ha impegnato la sua opera: Italo Calvino. Ma ogni occhio rimanda linee che attraversano spazi diversi, assegna vettori portatori di significati distinti.
Lo scrittore si abbandona agli spazi, ma si dà l’imperativo di evocarli a parole. Non sta pensando di descriverli: perché “anche le parole sono richiami, non definiscono niente, chiamano qualcosa perché resti con noi. E quello che possiamo fare è chiamare le cose, invocarle perché vengano a noi con i loro racconti”. È una singolare sconfessione della forza cognitiva della scrittura, pronunciata da un professore universitario di Lettere.

Celati, con la parola, richiama un mondo. Il mondo resta fisso, ma, ugualmente, sfugge dalle mani e svanisce. Celati diviene un personaggio inconsistente del suo libro. Teme di perdere la sua identità, ha dubbi, è attaccato morbosamente a qualcosa che fugge, gli importa di carpire qualcosa che accade fuori di lui, in un luogo che, perché non cambia, è a rischio. Celati è un fantasma che cammina su una terra che scompare se la nomina.
Nell’ultima sezione del libro, si annota la presenza di un ponte di ferro. Celati è a destinazione del viaggio: zona di Porto Tolle, all’imboccatura del Po di Gnocca. I piloni del ponte sono immersi nell’acqua alta del fiume. Attorno ad essi, la corrente fa gorghi d’acqua. Fuori da essi, una lattina è rigettata a dai cerchi dei mulinelli, li insegue mentre si spostano, e si rigetta nel loro occhio. Poi ricomincia.
Il libro di Celati – l’occhio di Celati - è fra l’osservazione emozionale dei mulinelli d’acqua e la focalizzazione della lattina inquinante, inquietante che rigettano.

Alessia Borriello





10 dicembre 2018

Invito alla lettura: "Pastorale americana" di Philip Roth




Non avevo letto Philip Roth, ma l’eco suscitato dai mass media dopo la sua scomparsa, mi ha incuriosito e spinta a leggere Pastorale americana, uno dei suoi romanzi più noti.
La voce narrante è quella di Nathan Zuckerman uno scrittore appartenente alla comunità ebraica di New York che narra la vicenda personale e famigliare di Seymour Levov, detto lo Svedese, suo compagno al liceo e fratello maggiore di un suo compagno di classe. Soprannominato lo Svedese per il suo aspetto fisico e per la sua carnagione chiara. Un uomo generoso, bello, con un forte senso morale e grandi doti sportive, era stato l’idolo degli studenti.
Il romanzo racconta della famiglia ebrea dei Levov, emigrata negli Stati Uniti alla fine dell’800. Tre generazioni con gli stessi obiettivi di benessere e prosperità. Il nonno di Seymour che aveva fatto lo scarnatore di pelli in una conceria, il figlio Lou, padre dello Svedese, a 14 anni aveva lasciato la scuola ed era entrato a lavorare nella stessa conceria. Con enormi sacrifici e lavorando duramente si arricchirà creando una fabbrica di guanti per donna. Adesso Seymour Levov, lo Svedese, è subentrato al padre e la dirige con successo.
Lo Svedese sposa la cattolica Dawn Dwyer ex Miss New Jersey.
Bellissima coppia ricca e apparentemente felice. Una classica e invidiabile famiglia americana. Dal matrimonio hanno una figlia, Merry, con un difetto, la balbuzie e problemi di personalità che preoccupano il padre e rendono infelice la madre. Per correggere la balbuzie, Merry è seguita da specialisti; ma Merry, nonostante tutto, peggiorerà.
Il dramma che sconvolgerà la normale quotidianità dello Svedese e che farà crollare gli equilibri della sua vita è quando Merry, ormai adolescente, inizia la ribellione verso i genitori, criticando i loro valori e il loro stile di vita, e con il rifiuto delle convenzioni borghesi. Comincia a partecipare alle manifestazioni di protesta contro la guerra del Vietnam e alle lotte per i diritti civili delle minoranze. Sono gli anni della contestazione giovanile che la porteranno a unirsi a un gruppo di estrema sinistra, e a compiere un attentato. La conseguenza sarà la morte di una persona che la costringe alla latitanza.
Seymour Levov non accetta la figlia terrorista che ha distrutto la vita di persone innocenti. Il romanzo è permeato dalla disperazione di un padre per la perdita della figlia e sempre alla sua ricerca; l’impossibilità di comprendere i motivi che l’hanno allontanata dalla famiglia, e l’odio che l’hanno portata a compiere atti terroristici. Triste e commovente, quando anni dopo, ritrova la figlia che aveva creduto morta. Irriconoscibile nell'aspetto, vive come una senzacasa, in condizioni di estrema povertà, provata psicologicamente. Incapace di riportare la figlia a casa e toglierla dal letame nel quale vive una vita disperata, riconosce tutta la sua impotenza di fronte alle scelte distruttive della figlia.
La vita familiare di Seymour Levov è ormai definitivamente sconvolta. La moglie Dawn, dopo un lungo periodo di depressione comincia a riprendersi la sua vita; la scopre che ha una relazione con l’architetto che ha ristrutturato la loro villa.
Il romanzo è un lungo viaggio nel dolore, il racconto di come la precarietà dei sentimenti può distruggere una famiglia. Seymour Levov aveva costruito la sua vita e la sua famiglia secondo la “pastorale americana” della classe medio-alta del New Jersey, senza però aver saputo salvare la figlia dai rivolgimenti giovanili di quegli anni sessanta e il suo matrimonio dal subbuglio dei tempi moderni.
Consiglio la lettura del romanzo, un racconto potente dal quale un paio di anni fa è stato tratto un film

Lina Viola


Pastorale americana di Philip Roth è disponibile in biblioteca. 
Puoi anche prenotarlo cliccando qui








14 novembre 2018

Invito alla lettura: Il bordo vertiginoso delle cose




Nel romanzo di Gianrico Carofiglio mi ha incuriosito questa frase: “da bambino avevo paura di tutto”. Queste parole mi hanno riportato alla mia infanzia. Le mie paure erano le stesse che lo scrittore evoca nel suo romanzo. Alcuni incubi, sempre gli stessi, che mi svegliavano la notte chiamando la mamma per essere rassicurata da lei. Le paure poi con le quali tutti conviviamo tutta la vita, le ansie che ci tormentano e a volte ci paralizzano e ci impediscono di portare a termine un’attività, un lavoro. È quello che accade nel romanzo ad Enrico, Il protagonista del racconto, dopo il suo primo libro di successo non ha idee per scriverne un secondo, quello in cui potrà avere la conferma del suo talento letterario, ma non rinuncia e si rifugia con apparente rassegnazione nel ruolo di Ghostwriter, scrivendo libri per altri scrittori.
Mentre leggo il romanzo che si può definire “romanzo psicologico”, ho come una immedesimazione col protagonista, la sensazione di stargli fianco a fianco. Ascoltare le sue lunghe digressioni, il racconto delle lezioni di filosofia che spiega come farebbe un insegnante con i suoi allievi. I ricordi della sua adolescenza nella sua città di origine, Bari, mi riporta alla mia adolescenza e alla mia prima giovinezza e a tutte le mie difficoltà che, come per il protagonista, fanno fuggire da una realtà che sembra non dare un futuro accettabile.
A Firenze, dove Enrico vive da anni, gli capita di leggere casualmente una notizia di giornale che lo travolge psicologicamente. Un suo ex amico e compagno di Liceo, Salvatore, da poco uscito di galera, durante una rapina, è stato ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Enrico decide tornare a Bari e affrontare quei fantasmi del passato dai quali è scappato. Inizia così in un racconto dove l’autore alterna capitoli che riguardano gli avvenimenti della sua adolescenza e altri dove racconta della varia umanità che incontra nella visita alla sua città di origine, personaggi del suo passato e personaggi incontrati casualmente.
Enrico è stato un adolescente insicuro, ma tutto inizia a cambiare con l’arrivo nel suo liceo di una supplente di filosofia. Celeste è la giovane professoressa, libera e disinibita, della quale Enrico s’innamora, che ha saputo fargli amare e fare amare a tutta la classe la sue lezioni di filosofia. Un altro incontro importante che lo cambierà profondamente è l’amicizia tra lui e Salvatore, un suo compagno più grande di lui e più volte ripetente. Salvatore è un attivista della sinistra extraparlamentare, come venivano definiti allora certi movimenti di sinistra formati perlopiù da studenti. Dopo una rissa violenta con alcuni ragazzi Salvatore gli insegna le tecniche di lotta facendolo allenare alle arti marziali e all’uso delle armi. Enrico si farà coinvolgere in piccole rapine e persino in un attentato a un avversario politico. La fine della supplenza di Celeste, la scoperta di una relazione sentimentale tre lei e il suo amico Salvatore, e il carcere di questi per rapina lo allontaneranno per sempre da lui.
Il romanzo di Gianrico Carofiglio, alle prime pagine, mi aveva scoraggiato nel continuare a leggerlo; ma dopo un avvio faticoso ho iniziato ad apprezzarlo sia per i temi che per l’abilità narrativa di Carofiglio.
Trovarsi nel "bordo vertiginoso delle cose" può capitare a chiunque, il racconto ci dice che dobbiamo lottare e non farci trascinare "nell’abisso", conta non cedere alle grandi delusioni che la vita immancabilmente ci riserva e che non spingersi oltre quel "bordo"può offrire nuove possibilità di futuro.

Lina Viola


Il libro Il bordo vertiginoso delle cose di Gianrico Carofiglio
è disponibile in biblioteca. Puoi anche prenotarlo cliccando qui
 






15 ottobre 2018

Invito alla lettura: Caterina de’ Medici. Un’italiana sul trono di Francia




Una figura affascinante e controversa del XVI secolo, fiorentina di nascita. Un’italiana sul trono di Francia che seppe conquistare il suo posto nel mondo. Caterina Maria Romula de’ Medici è stata ed è ancora oggi una figura complessa. Le leggende intorno alla sua figura l’hanno resa celebre fino ai giorni nostri. Regina tra le più influenti delle corti europee della sua epoca e donna di cultura, dotata di una intelligenza fuori dal comune, esperta politica e vera appassionata delle opere di Machiavelli. Caterina de’ Medici era pronipote di Lorenzo il Magnifico. Regina di Francia in quanto sposa di Enrico II porterà in Francia la cultura del rinascimento italiano. Fu madre di tre re: Francesco II, Carlo IX, Enrico III, fu di fatto la vera detentrice del potere durante il regno dei tre figli, cagionevoli di salute e troppo giovani per il governo della Francia.

Ma chi era esattamente Caterina de’ Medici?


Jean Orieux nel suo libro la descrive come una donna non bella, tracagnotta, magra, il viso rotondo, gli occhi sporgenti, le labbra grosse. Il suo promesso sposo, Enrico, duca d’Orléans la trovò insignificante; ma era affascinante, colpiva per la sua intelligenza, la sua esperienza politica, formatasi durante il periodo alla corte pontificia, la sua cultura e il suo gusto artistico.
Parlava un francese perfetto ma con un marcato accento italiano che contribuiva a ricordare, sgradevolmente, la sue origini italiane. Questo accentuava la diffidenza che i francesi nutrivano nei suoi confronti, sarà sempre avversata dalla corte e già mal sopportata per i suoi bassi natali rispetto al duca d’Orléans.
In verità Caterina aveva paura, si sentiva sola in una terra straniera, senza figli e con il rischio di essere ripudiata; dopo 10 anni di matrimonio metterà al mondo 10 figli. Provava una totale adorazione nei confronti del marito che però preferiva la compagnia della sua amante, Diana de Poitiers.
Una regina affascinata dall’occulto, dall’astrologia, amava consultare i suoi astrologi, i fratelli Ruggieri, che i francesi guardavano con diffidenza.
Ricordata per la lotta fratricida tra cattolici e protestanti, gli viene addossata la responsabilità di avere dato inizio alla guerra di religione che sconvolse la Francia durante il suo regno, prima come regina consorte e poi come reggente. Fu ritenuta donna crudele e spietata, artefice del cosiddetto eccidio della “Notte di San Bartolomeo”. Migliaia di ugonotti, i protestanti francesi. venuti a Parigi per festeggiare le nozze tra Margherita, figlia di Caterina, con il cugino Enrico di Navarra, capo dei protestanti francesi, furono tutti sterminati. In realtà gli furono addebitate responsabilità  non sue. Di lei si evince una figura portatrice di idee di tolleranza religiosa. Una regina illuminata e non di fatto una “Regina Nera” come considerata per molti secoli.
Nel suo libro, Jean Orieux, porta alla luce tutti gli aspetti e le sfumature di questa figura imponente e controversa che ha affascinato la sua epoca e continua ancora ad affascinare.

Ilaria Matà

14 settembre 2018

Invito alla lettura: Boccamurata di Simonetta Agnello Hornby


“Boccamurata” è il terzo romanzo della cosiddetta trilogia, come l’autrice stessa l’ha definita. Una trilogia, per la verità, senza punti in comune con i romanzi precedenti: “La Mennulara” e “La zia marchesa”. Ma trilogia la dobbiamo chiamare. Pur diversi per personaggi, ambienti sociali, situazioni ma così simili per le passioni, la sensualità prepotente degli “attori” che Simonetta Agnello Hornby mette in scena, costruiti con la solita e riconoscibilissima maestria, la “parlata siciliana”, i paesaggi sempre descritti da suscitare nostalgia ai siciliani che ne sono lontani.
Toccante per me lo sguardo su un peschereccio che si osserva da lontano "navigava orizzontale, come una foglia trasportata dalla corrente".
Il romanzo si apre con una tranquilla e tradizionale riunione familiare: il compleanno del nonno Tito attorniato da figli e nipoti. Mariola, la moglie, che imbandisce la tavola con tutti i suoi piatti preferiti.
Un quadretto famigliare perfetto; Tito soddisfatto, osserva divertito da patriarca autorevole. Chiama figli e nipoti con i nomignoli che ha dato a ognuno di loro: capellini, rigatoni, spaghetti... nomignoli, che senza nessuna fantasia, affibbia loro per essere il proprietario del grande pastificio ereditato dal padre. Ma il personaggio sulla quale s’innerverà il racconto è la zia Rachele.
Custode attenta della casa, è per Tito, da sempre, un punto di riferimento imprescindibile. Tito che non ha conosciuto la madre è stato cresciuto ed educato da questa zia, che ancora adesso lo guida e lo consiglia sulle decisioni importanti che riguardano la famiglia e il pastificio.
Questo rassicurante interno famigliare è solo apparente, nasconde invidie e tradimenti. Lo stesso Tito vive un grande dolore, il tormento di non avere conosciuto la madre.
Nel clima sereno della festa il nipote Titino, il preferito, per un compito assegnatogli a scuola gli chiede di aiutarlo a fare la "La ricostruzione dell'albero genealogico della sua famiglia".
Questa richiesta riapre la grande ferita, riportandolo al suo difficile passato. Alle sofferenze e alle difficoltà vissute nell'infanzia e poi nella sua adolescenza. Quello che lui sa è quello che il padre, Gaspare, gli aveva sempre raccontato. Di essere il frutto di un amore con una donna sposata e che da questa relazione clandestina, per salvare l’onore della donna amata, l’aveva cresciuto nella sua casa e affidato alle cure della sorella, la zia Rachele.
La scrittrice ricostruisce lungo tutto il romanzo la personalità di Tito della sua complicata famiglia è di sua “zia” Rachele che aveva rinunciato a sposarsi e dedicarsi completamente all'educazione di Tito.
La spasmodica ricerca della verità sulle sue origini, che scoprirà cinquant'anni dopo, con l'incontro di Dante, figlio di una ex compagna di scuola di Rachele. Tito viene in possesso di un pacco di lettere scambiate da Rachele con la mamma di Dante che gli riveleranno quello che non avrebbe mai sospettato. Le lettere dell’allora giovane Rachele gli sveleranno una verità sconvolgente.
Un tabù che lo porta a riconsiderare la figura di Rachele. Una rivelazione che gli da finalmente la serenità cercata tutta la vita e che gli farà dire di Rachele “la donna più trasgressiva che abbia mai conosciuto".
La zia è sempre vissuta con “la bocca murata” custode del suo segreto e del destino di Tito.
Un romanzo che ho apprezzato per l’apparente facilità di scrittura e che mi ha turbato per la scabrosa vicenda di Rachele. Consigliatissimo.

Lina Viola




02 settembre 2018

Invito alla lettura: Il fossile vivente e la donna dai capelli color mogano

Fabiola Gravina

Gregorio Servetti è un quarantenne reduce da storie sentimentali fallite, un personaggio con rigorosi principi etici, con valori di altri tempi, "un fossile" come lui stesso si definisce, per il suo mancato adeguamento ai tempi moderni, come fosse una reliquia di generazione passata. Pur consapevole di quanto le regole di correttezza morale siano un fastidioso bagaglio, non intende rinunciarvi e la sua reazione di fronte alla volgarità è assimilabile all’infelicità, certo che gli uomini possano  aspirare a qualcosa di più nobile. Soffre per la mancanza di una famiglia propria e la necessità di sentirsi amato lo stimola alla ricerca ostinata di una persona affine che possa colmare il vuoto  avvertito nell' intimo. In questa ricerca trova l'aiuto e la complicità della barista Gina, l'accidentale destinataria delle sue confidenze.
 Tutte le mattine, nel tempo di un cappuccino, Gina ascolta perplessa le dissertazioni esistenziali dell'amico in piena crisi di mezza età, bisognoso di dare un senso all'esistenza e proprio nel bar avviene il  fatale incontro con la donna  dai capelli color mogano,  che si siede ogni Martedì al tavolo d’angolo, con lo sguardo gonfio di malinconia.
L'intesa è immediata, perché l’inquietudine del viso di lei altro non è che una sorta di specchio dell’anima di Gregorio. La donna però scompare senza che ci sia stato il tempo di scambiare una parola e a nulla valgono le strategie inventate dall’amica barista per rintracciarla e restituire il sorriso al fedele amico sull'orlo del tracollo. La vicenda cambia registro quando la donna dai capelli color mogano e dagli occhi nocciola si presenta nuovamente nel bar, ma a sentir Gina è soltanto una copia venuta male. Sono dunque due, le donne dai capelli color mogano?  Il mistero si infittisce con il ritorno di  Manlio, amico del cuore di Gregorio.

La sua decisione di rientrare in Italia e lasciare di punto in bianco una carriera e un lavoro ben remunerato, ha forse a che fare con le due donne? Altri  personaggi arricchiscono la vicenda: la dolce Viola in cerca di un potenziale padre per i suoi figli; l'ambigua Giada che calpesta i cuori degli uomini che s’impigliano nella sua infida rete; l'opportunista Marco, emblema della disonestà e dei facili guadagni; la scaltra Katia, che impartisce lezioni su come gestire al meglio una relazione amorosa; l'eterea Estella, vecchio amore impossibile da dimenticare; lo sventurato Aquiletti, studente lacunoso alla ricerca dell'agognata promozione. Una serie di singolari eventi  porteranno il subbuglio nella monotona vita del protagonista e lo costringeranno a mettere in gioco ogni carta per portare a termine il suo piano sentimentale.  Gregorio Servetti sperimenterà sulla propria pelle la bellezza dell’innamoramento negli anni della maturità, il valore dell’onestà e della rettitudine, il dono prezioso dell’amicizia e il sapore amaro dell’inganno. Leggetelo, non vi deluderà.

Fabiola Gravina



27 agosto 2018

Invito alla lettura: Di notte... le stelle


Ho iniziato a leggere la prefazione e mi sono immedesimata nell'autrice, una insegnante, che prova interesse per lo studente che confida problemi, situazioni, sogni, aspettative sul suo non facile avvenire. È accaduto alla scrittrice, insegnante in una scuola molto speciale, la Casa Circondariale "Luigi Bodenza" di Enna.
Nel carcere di Enna fu rinchiuso Faisal, un ragazzo di colore proveniente dal Ghana, educato in una famiglia che, nonostante tutto, conduceva una vita serena e dignitosa. Una famiglia numerosa con un padre severo che diventa spesso manesco alle sue tante bugie. Faisal cresce con una disciplina quasi militare.
L’andamento famigliare peggiora con le crisi economiche del Ghana e la difficoltà del padre a trovare un lavoro.
Faisal a diciannove anni, con la tristezza nel cuore di ogni migrante lascia la madre, la casa, abbandona il suo paese e si trasferisce in Libia.
In Libia, prima della rivoluzione e la caduta di Gheddafi, si inserisce subito, trova un lavoro e con quello che guadagna riesce ad aiutare la sua famiglia.
Dopo qualche anno la situazione politica cambia. Campagne di accuse a paesi stranieri causano un clima di diffidenza e di odio verso la gente di colore. La rivoluzione, le violenze e la caduta di Gheddafi fanno decidere Faisal ad abbandonare la Libia.
Un'impresa che si presenta subito difficile e piena di ostacoli; il paese è chiuso, anche riattraversare il deserto verso sud, attraverso il Niger, non è possibile. Unica via di fuga è il Mediterraneo.
A Faisal la traversata verso il “sogno dell’Italia” sembra facile, ha denaro a sufficienza e la volontà di mettersi in salvo.
La testimonianza di Faisal sul viaggio di questi tanti disperati, uomini, donne, bambini piccolissimi, è un incubo angoscioso che nessuno dovrebbe essere costretto a vivere.
L’Avaria dell’imbarcazione, porterà a momenti di follia e di ferocia e alla morte di molti di loro. Dopo molti giorni di deriva le motovedette italiane salveranno i superstiti: Faisal è uno di loro.
Alla gioia di essersi salvato segue quasi subito il tormento e la sofferenza del carcere. Viene accusato di omicidio e di delitti che non ha commesso, da innocente è condannato a 14 anni.
Per descrivere l’afflizione del carcere l’Autrice scriverà: “vedo chiudere alle mie spalle ben sette, dico sette, tra porte di ferro blindate e pesanti cancelli”. Ho immaginato di vedere quegli uomini dietro le sbarre, nelle loro celle, trascinarsi in una vita che perde di senso con la perdita della libertà personale.
Durante la carcerazione Faisal fa tesoro dei diversi insegnamenti, impara a cucinare, a leggere e parlare l'italiano e questo gli permette di lavorare ed entrare in contatto con insegnanti ed educatori, capaci di ascoltarlo e consigliarlo. Faisal è un giovane non rassegnato, fiducioso nella Legge.
Dopo 4 anni di carcere Faisal avrà giustizia..."è stato assolto per non aver commesso il fatto".
Nella postfazione di questo agile volumetto, che si legge in poco tempo; il suo avvocato difensore descrive, in un breve resoconto, come superati i pregiudizi iniziali si convince dell’innocenza del ragazzo. Per la verità un resoconto troppo breve; avrebbe potuto spendere qualche riga in più per spiegare la situazione kafkiana nella quale viene scaraventato Faisal.
Non si comprende chi sono gli accusatori che lo portano in carcere e il perché di accuse tanto gravi fatte a un innocente. Incomprensibile anche la motivazione dell’assoluzione che ci da l’avvocato. Faisal sarebbe stato assolto perché da buon musulmano, come tale, non avrebbe potuto commettere omicidi per superstizione o per riti magici, e perciò credibile, a differenza di altri accusati, suoi compagni di traversata, poi condannati definitivamente , ma di religione cristiana.
Dopo l’assoluzione, Faisal è un uomo libero, ha trovato un lavoro come mediatore culturale e vive a Enna. Ha conosciuto e si è innamorato di una ragazza, una operatrice del centro di accoglienza, e con lei è nato un amore.
Consiglio la lettura “Di notte... le stelle”. Un libro breve ma intenso. Pagine che ci mettono davanti agli occhi un resoconto terribile e terrificante di una umanità in fuga da guerre, persecuzioni e fame. Una storia reale di uomini, donne, bambini che muoiono in situazioni angosciose.
Pagine che dovrebbero fare riflettere, soprattutto coloro che girano indifferenti la testa da un’altra parte, e quei cuori che hanno perso ogni briciola di umanità.

Lina Viola


Il libro di Filippa La Porta è disponibile in biblioteca. Prenota qui.



20 agosto 2018

Invito alla lettura: Ogni Respiro di Nicholas Sparks


Ogni Respiro
è il ventesimo romanzo di Nicholas Sparks. Un romanzo d'amore, che lo scrittore, come sempre, sa ben confezionare.
Tru Walls divorziato, con un figlio, fa la guida in una riserva naturale in Africa, nello Zimbabwe, e si occupa di safari. Hope Anderson è un’infermiera con un fidanzamento in crisi alla ricerca della solita pausa di riflessione.
Tru riceve una lettera da un uomo che dichiara di essere suo padre e che non ha mai conosciuto. Il padre ormai malato lo invita a recarsi a Sunset Beach nel North Carolina per riconoscersi e affrontare il mistero della sua infanzia.
Dal padre conoscerà la commovente storia di sé e di sua madre morta in un incendio. 
Tru e Hope s'incontrano casualmente in spiaggia e tra loro nasce la solita simpatia che si trasformerà nel solito colpo di fulmine e subito in un amore che li travolge.
Un amore idealizzato che dura e non muta nel tempo, nonostante le scelte egoistiche ed opportunistiche di Hope, gli abbandoni, e in età avanzata la malattia di lei.
Bella e romantica la descrizione della cassetta della posta chiamata Kindred Spirit sull'isola di Bird Island che esiste nella realtà e serve all’autore come spunto per il suo romanzo. Un pezzo di autentica bravura di Nicholas Sparks che qui padroneggia il mestiere nel genere sentimentale-romantico.

La cassetta postale invita a scrivere a coloro che la trovano i loro pensieri, le loro preghiere, i loro sogni.

Questa storia d'amore “fantastica” sbocciata a Carolina Beach, la spiaggia dov'è ambientata, fa da sfondo, da impalcatura, per raccontarci e descrivere i safari e i paesaggi incontaminati “della sua Africa”.
Nicholas Sparks ama l'Africa. Ama le pianure sconfinate delle savane, ama le inaccessibili foreste pluviali e la sua vegetazione, l’infinita varietà di ogni specie di animali, ama il clima e descrive in maniera quasi pittorica come un grande affresco gli ambienti incontaminati dei grandi parchi africani.
Nel romanzo non mancano i riferimenti storici e le turbolente vicende politiche del continente.
Non mancano le pagine che ti fanno pensare, come il paragone delle nostre vite alla vita delle foglie: "Vivi come meglio puoi per tutto il tempo che ti è concesso finché non arriverà il momento di staccarsi e lasciarsi andare serenamente".
Un libro da leggere sotto l'ombrellone.

Lina Viola



Il libro "Ogni respiro" è disponibile in biblioteca. Prenotalo qui.


13 agosto 2018

Invito alla lettura: La porta di Magda Zsabó



Questa scrittrice ungherese di cui ignoravo completamente l’esistenza è stata per me una grande scoperta. Mi sono innamorata di questo libro prima ancora di averlo tra le mani, leggendo una recensione trovata in rete. Sarà perché ha come protagonista una scrittrice o semplicemente perché i ruoli principali sono affidati a due donne, Magda ed Emerenc per l’esattezza.
Magda è la scrittrice e vive con il marito anche lui scrittore in un piccolo paese dell’Ungheria. Hanno necessità di un aiuto domestico, per poter dedicare il loro tempo esclusivamente al lavoro.
Ecco dunque entrare in scena Emerenc, una portinaia conosciuta da tutti in paese per la sua fermezza di carattere, per il suo metro di giudizio ferreo e anche per le sue stravaganze: prima di accettare il servizio afferma di voler valutare le referenze dei suoi eventuali padroni. Rovescia completamente le parti, è lei a scegliere se restare, è lei a fissare il compenso che calcola in base alle esigenze dei datori di lavoro e dal loro grado di sciatteria.
Il rapporto tra la scrittrice e la sua domestica è inizialmente difficile e faticoso, le due donne sono diffidenti e sospettose, ignare di quanto la relazione le coinvolgerà fin quasi alla reciproca dipendenza. Questi dettagli li sappiamo tutti fin dall’inizio, in quanto i fatti sono già accaduti, è Magda a raccontarceli in un lungo flashback.
La figura di Emerenc è poderosa e riempie ogni pagina del libro, una donna tutta d’un pezzo, senza lacrime né sorriso, che governa la sua vita e quella degli altri con una dedizione totale, una volta riusciti ad entrare sotto la sua ala protettiva.

La fastidiosa arroganza che proviamo per Emerenc diventa via via ammirazione quando apprendiamo i trascorsi del suo tragico passato nell’Ungheria postbellica, mentre lo spessore intellettuale della scrittrice si assottiglia a più non posso e i suoi raffinati cavilli mentali crollano miseramente di fronte alle lezioni morali impartite con severità dall’umile serva.
Un cane trovatello e una porta chiusa che sigilla un segreto sono i due elementi che incorniciano questo straordinario rapporto affettivo basato su un bene incondizionato e quindi violento, impetuoso, travolgente, perché come dice Emerenc “una passione non si può esprimere pacatamente”.
La Zsabò è una scrittrice dal talento indiscutibile, dotata di una singolare capacità di analizzare i sentimenti e capace di una prosa sublime. Il finale magistrale e quasi surreale rende il romanzo indimenticabile e consegna alla memoria del lettore le due figure potentemente tratteggiate insieme alla consapevolezza di aver appreso una grande lezione di vita. Consigliatissimo.


Fabiola Gravina


30 luglio 2018

Invito alla lettura: ZERO K di Don DeLillo




Zero K è l’ultimo romanzo del grande scrittore statunitense Don DeLillo. Il titolo fa riferimento allo zero Kelvin, la temperatura più bassa teoricamente raggiungibile e tratta il tema dell’immortalità attraverso la crioterapia, il congelamento dei corpi e delle coscienze in attesa di un futuro in cui poter godere una nuova vita grazie ai progressi della scienza.
La storia è narrata in prima persona da Jeffrey Lockhart, figlio del magnate Ross Lockart e principale finanziatore della clinica segreta realizzata in un luogo sperduto del Kazakistan e che offre il servizio d’ibernazione. Ross svela al figlio il progetto Convergence e lo prega di accompagnarlo alla base tecnologica per dare l’ultimo saluto ad Artis, la matrigna gravemente malata, sottoposta alla terapia di pre-ibernazione prima dell’ingresso nella capsula conservativa.
Jeffrey è sconcertato e turbato dalla rivelazione, e fin dalle primissime pagine è possibile cogliere l’attrito esistente tra padre e figlio, (i motivi di tanto astio saranno svelati in seguito). Jeffrey Lockhart incarna nel libro lo scetticismo sulla fede in un’altra vita e l’opinione che la scienza sia fonte d’illusioni quanto la religione. È forte il diverso approccio dei due uomini nei confronti della morte ma anche della vita e di come spenderla.
Il romanzo è diviso in due parti ben distinte: la prima è ambientata nella clinica segreta che ospita i pazienti sottoposti al processo di crioconservazione, la seconda si svolge a New York e ha come protagonisti il figlio Jeffrey, la sua compagna attuale Emma e Stack, il figlio adottivo di lei.
Si fa fatica a passare dall’una all’altra parte, la seconda ancora più visionaria della clinica dai corridoi labirintici con porte color pastello che non portano da nessuna parte.
Jeffery dà voce a tutte le sue paranoie, tipo controllare il gas, controllare tasca-chiavi-portafoglio o giocare con le parole, stressandole fin nella singola lettera. E tra le pagine appaiono i ricordi d’infanzia, la morte della madre, i dubbi sul funzionamento dei loculi surgelati, dei trapianti di organi e tessuti, degli individui che si risvegliano “rimessi a nuovo” o il senso dell’immortalità: ma è proprio vero che vogliamo vivere per sempre?
Perché l’obiettivo di Convergence è ottenere il controllo sulla morte, conquistare la libertà di decidere se non quando nascere, almeno quando morire, confidando nel potere supremo della scienza. Al risveglio, i nuovi corpi saranno sani, giovani, perfetti, e parleranno una lingua nuova, unica e universale.
Lo stile minimale di DeLillo è ancora più spoglio del solito, lo definirei gelido e asettico come l’ambientazione. Confesso che ho preferito di gran lunga la prima parte, più interessante e accattivante, trovando la seconda troppo sconclusionata anche nel linguaggio adottato. Mi è piaciuto il personaggio di Jeffery in cui ho ritrovato l’approccio alla vita cinico e sprezzante dei giovani d’oggi, senza speranza e arresi a un futuro senza prospettive. Non si direbbe sia un romanzo scritto da un ottantenne.
DeLillo non è uno scrittore facile, ho letto tre dei suoi diciassette romanzi e ogni volta mi è rimasto in bocca un pizzico di delusione. Zero K non mi ha convinto completamente ma leggere questo grande autore è comunque un’esperienza che consiglio.

Fabiola Gravina



16 luglio 2018

Invito alla lettura: La Mennulara



Leggendo “La Mennulara” 
di Simonetta Agnello Hornby ho avuto la sensazione di avere assistito ad un’opera teatrale; ogni volta che una famiglia finiva di spettegolare sul personaggio principale si abbassava il sipario e quando si rialzava, come in un altro atto, una nuova famiglia, continuava a spettegolare.
Il pettegolezzo si era acceso alla morte di Maria Rosaria Inzerillo detta “la Mennulara”. Prima di morire aveva dato disposizione precise per il suo funerale fatto scrivere gli annunci mortuari e anche il necrologio da pubblicare sul giornale più importante dell’isola.
Il romanzo è ambientato in un paese siciliano, arroccato in una collina che negli anni ’70, con la speculazione edilizia, si era espanso nella parte bassa e abitato dalle famiglie più povere e da piccoli artigiani, mentre nella parte alta abitavano nobilotti e notabili benestanti.
Maria Rosaria Inzerillo, orfana di padre, detta “la Mennulara” fin da bambina raccoglieva mandorle nelle campagne e con il suo lavoro provvedeva alla mamma e alla sorellina, entrambe malate; subendo e sopportando umiliazioni e violenze.


A 13 anni viene assunta come “criata” da una famiglia nobile: gli Alfallipe.
Con gli anni e con l’età, dando prova di sapere governare la casa ma continuando a fare la domestica, aveva assunto il ruolo di amministratrice. Nessuna decisione poteva essere presa senza il suo benestare. La Mennulara, aveva saputo salvare le proprietà della famiglia di Orazio Alfallipe.
I figli del vecchio Alfallipe sarebbero cresciuti senza proprietà e senza avvenire e la loro madre, la vedova di Orazio dopo la morte del marito sarebbe rimasta sola in una grande casa vuota.
Maria Rosaria Inzerillo la conosciamo, nel romanzo, solo attraverso le voci rancorose e piene d’invidia dei suoi compaesani. Ogni famiglia di Roccacolomba, il paese della Mennulara, compresi alcuni degli Alfallipe, hanno molti motivi per detestarla. Solo il medico Mendicò e il prevosto Padre Arena apprezzano l’onestà e il coraggio della protagonista. Con la sua forte volontà, con la sua intelligenza, e per essere andata anche oltre i propri doveri, aveva raggiunto ogni obiettivo per il bene dei suoi padroni. Per il benessere e la ricchezza che aveva saputo creare, anche per sé, era ritenuta da tutti anche come donna vicina alla mafia.
In questo suo romanzo di esordio Simonetta Agnello Hornby crea un personaggio affascinante. Una donna forte e discreta; poco amata e molto invidiata e odiata, una serva padrona determinata, capace di nascondere segreti inconfessabili. Segreti che durante la lettura si intuiscono e altri vengono svelati. Segreti che hanno condizionato la vita della protagonista, che l’hanno resa forte, ma che ha conservato la sua fedeltà agli Alfallipe.
Sorprendente è l’eredità che lascerà ai suoi padroni.
La ricerca del testamento che viene narrato come una caccia al tesoro, così l’aveva voluta e organizzata la Mennulara prima di morire, si trasformerà in momenti di scoramento per chi, tra gli eredi, si sentirà tradito. Una specie di sceneggiata che strappa qualche sorriso al lettore.
Un romanzo piacevole anche se a volte le vicende e certe situazioni sono decisamente inverosimili.
Molto piacevole è anche la descrizione dei luoghi dove sempre mi immedesimo come spettatrice privilegiata. Conoscitrice, come siciliana, dell’ambiente tipico di un paese dell’interno; con personaggi verosimili che solo la Sicilia sa produrre. L’uso sapiente del dialetto rendono i dialoghi ancora più sapidi ed espressivi. Consiglio la lettura di questo romanzo anche a coloro che hanno poco tempo per leggere. Una lettura piana e piacevole con argomenti in chiave tutta siciliana.

Lina Viola


Il libro di Simonetta Agnello Hornby "La Mennulara" è disponibile in biblioteca.