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03 dicembre 2018

Invito alla lettura: Accabadora di Michela Murgia





Michela Murgia in
Accabadora fa intrecciare due usanze sarde. Si tratta di due pratiche dalle origini remote; ma le loro tracce non si perdono nella leggenda. Ne sopravvivono testimonianze fino agli anni Sessanta, in alcune regioni sarde.

La prima: una donna benestante adotta il figlio di troppo d'una madre povera. La donna non avrebbe figli, in altro modo; ella diviene sua madre, agli occhi della comunità. Il figlio, "generato due volte", è suo "fillus de anima"; è frutto della sterilità della donna da cui è stato scelto. E' stato scartato dalla sua prima madre ed è stato eletto dalla seconda.
La seconda pratica, invece, è un rudimento di paese dell’eutanasia. E’ una vecchia a svolgerla. La vecchia s’aggira silenziosamente, non vista, di notte. Mentre cammina, la sua gonna nera e lunga svolazza fra le case. Si veste di nero, e si muove di notte, perché la comunità di Soreni non deve vedere ciò che esula dalla sua morale. Ma anche gli abitanti di Soreni, in un anfratto senza regole (quello del mondo notturno, ma anche della femminilità più mistica e leggendaria) contempla la figura dell’Accabadora. Acabar: terminare, in spagnolo. L’Accabadora si reca, discreta nella notte, al capezzale dei morenti, cui manca il suo solo colpo finale per essere finalmente morti. Li finisce, con un colpo di bastone dove sa lei, con una pressione del cuscino; fa loro respirare polveri che stordiscono. L’Accabadora è l’ultima madre in cui a qualcuno è dato d'imbattersi. L'ultimo volto materno in cui specchiarsi. L’ultima madre cui qualcuno si accompagna nel congedo dalla vita, per alleviare il dolore prima del trapasso. Perché “non c’è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza avere avuto padri e madri a ogni angolo di strada”. L’Accabadora è una madre esecutrice priva di figli.

La protagonista del romanzo è Maria Listru, ultima figlia di troppo della popolosa, ma povera, famiglia Listru. La vedova Listru, madre di Maria, accetta l’offerta d’una ricca vedova senza figli, che la adotta. Maria è “fillus de anima, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai.”. Non rimpiangerà la madre precedente; Bonaria Urrai, la vedova adottiva, ha molto da insegnare a quella bambina selvatica: come cucire le asole, prepararsi alle guerre del futuro, come accogliere la vita e la morte. L’aveva scelta fin da un pomeriggio in bottega, quando s’era accorta dei furti inosservati che la bambina compiva. Era stato il rossore delle ciliegie appena rubate a tradire la piccola Maria: la refurtiva si vedeva da una macchia rossa sulla tasca bianca del suo abitino. Bonaria l’aveva vista, “nei peccati senza complici dei bambini soli.” L’aveva adottata.

La piccola Maria è legata a Tzia Bonaria, insieme alla quale, senza che il lettore trovi il tempo d'accorgersene, diviene donna. Ma Maria non sa ancora che l’Accabadora s’addentra silenziosa per le strade, di notte, invisibile perfino ai vivi, avvolta nel suo scialle nero. Va a porre fine alle vite con le quali la stessa Maria è venuta a contatto, nella piccola Soreni. Ogni tentativo operato dai personaggi del romanzo per ristabilire un ordine, seppure precario, agli avvenimenti più precari della vita, è sventato dalla figura dell’Accabadora, puntuale come la morte, l'evento che porta con sé.
Tanto remissiva alle sue colpe, nei momenti di debolezza, l'Accabadora è tuttavia altrettanto risoluta quando sia giunto il tempo di commetterle.

Queste due pratiche raccontate nel romanzo conferiscono all’Accabadora una lontananza storica; ma che non si perde troppo lontano, nella storia. Ed una distanza antropologica, ma che si trattiene, fra le tante punte liriche del romanzo della Murgia, nei confini etici dell’umano. Ed è proprio il dibattito sull’umano, su cosa sia giusto e cosa sia soltanto morale, ad intrecciarsi nei dialoghi dei protagonisti. Tale dibattito è tenuto in ragione della distanza fra ciò che essi credono e il modo in cui le loro azioni sono accolte dagli abitanti di Soreni. Ma non solo quelli di Soreni: il dialogo di questi personaggi si inserisce nel dibattito oggi attuale sui temi di eutanasia e adozione. Lo affronta da una certa distanza, lo pone sotto la luce di una Sardegna tradizionalista, quasi atavica.

Una lontananza spaziale e temporale conferisce all’Accabadora, nei termini di ambientazione e d'atmosfera narrativa, un sentore di isolamento che ricorda qualcosa dei luoghi più sperduti della letteratura. Il parente più illustre della Soreni della Murgia è forse la Macondo di Marquez. Questi luoghi traggono specificità dalla loro dimenticanza d’un mondo civilizzato. In questi luoghi, è possibile che gli zingari si spingano ai confini del mondo a far conoscere il ghiaccio (Marquez, Cent’anni di solitudine). Ma in questi luoghi prende forma anche la Sardegna delle tradizioni che Michela Murgia ci ha raccontato magistralmente nell’Accabadora.


Alessia Borriello