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19 gennaio 2019

Riunione di Lavoro: Un Racconto di Paolo Cortesi




per gentile concessione di Paolo Cortesi
http://www.paolo-cortesi.com/racconti.html

Domani, in Italia...


Il direttore aveva deposto sulla grande scrivania alcuni fogli; su ciascuno erano scritte solo poche parole, e i fogli sembravano bianchi; sul lustro del legno erano come fazzoletti ben stirati e la luce che veniva dall'ampia finestra, a lato, li faceva brillare. 
Il direttore si chiamava Apollonio Malozzi Canicchi Tincalli Gravasio; negli anni, la funzione aveva trasformato il suo corpo in una forma umana veramente dirigenziale: era corpaccioso e liscio, polposo, curatissimo, lento, basilicale, lo sguardo che si posava appena sulle cose, e ancor meno sulle persone, sguardo bizantino, geroglifico, aulico, cesareo; le basette geometriche intatte. Attraversati dal fiotto di luce che veniva dalla grande vetrata, i peli delle orecchie apparivano fili sottilissimi trasparenti, fili d'oro, come scintillii che apparivano e sparivano seguendo i moti, misuratissimi, del capo.
Il direttore teneva moltissimo ai quattro cognomi (due dei quali attribuiti da se stesso) e non rispondeva a lettere, mail o telefonate che non gli fossero rivolte appellandolo con tutti i quattro cognomi, i due veri e i due che gli erano piaciuti in un vecchio annuario della nobiltà italiana.
Ora, Apollonio guardava i fogli posati sull'enorme scrivania a cui sedeva; guardava un po' meno i cinque segretari che aveva fatto convocare e che stavano in piedi davanti a lui.
I cinque erano i suoi collaboratori. Così li chiamava, disprezzandoli tutti in cuor suo. 
I cinque aspettavano che il direttore (da loro cautamente chiamato lo stronzo, quando c'erano tante garanzie di segretezza ambientale) aspettavano da diversi minuti che il direttore dicesse per quale motivo li aveva fatti chiamare. Ma erano abituati a questa miserabile farsa, e fare aspettare i collaboratori era uno dei modi tramite i quali Apollonio godeva più pienamente del suo stato dirigenziale assoluto.
Apollonio guardava ciascun foglio con cura, quasi che non smettesse di trovarvi nuovi segni e nuove rivelazioni. Ogni tanto, toccava un foglio con la mano. Le dita, tozze e curve, quasi gonfie, terminavano con unghie strette, puntute. Guardò ancora a lungo, in silenzio. Picchiettava un foglio con l'indice a lungo, per tutto il tempo che lo guardava; poi si rivolgeva ad un altro, e iniziava a picchiettare quello, con un ritmo costante, pareva che contasse le battute, pareva che quel picchiare coll'indice ricurvo fosse la parte più importante, in quel momento, del suo lavoro dirigenziale.
I cinque collaboratori non avevano fretta; erano anni che conoscevano questa abitudine dello stronzo e dunque stavano lì come se aspettassero il tram.
E infine, Apollonio con i quattro cognomi aprì la bocca e, sempre picchierellando l'indice malfatto sul foglio candido, parlò:
-Questo...-
disse e poi tacque, come se un affanno, un'oppressione estrema lo soffocasse. 
Nessuno dei collaboratori disse nulla e intanto il direttore batteva il suo dito con il ritmo consueto, invariato.
-Questo potrebbe essere buono.- mormorò come parlando nel sonno, a voce bassissima.
-Sì, infatti.- disse uno dei collaboratori.
Il direttore interruppe il suo picchiare e portò la destra alla fronte; appariva più che assorto: appariva in una meditazione profondissima, quasi dolorosa.
-Però non so, non mi convince...- sussurrava il direttore che si teneva la fronte fra pollice e indice della mano destra -Non so...non...-
All'improvviso si scosse, guizzò come spinto da un coltello alle reni; afferrò i fogli che aveva vigilato e li porse ad un collaboratore, esclamando:
-Legga lei. A voce alta. Sentiamo come suonano.-
Poi, per insegnare qualcosa:
-Anche l'orecchio vuole la sua parte.- disse.
Il collaboratore che si prese i fogli era Emilio. Iniziò a leggere le due parole scritte su un foglio:
-Valorizzazione etica.-
Altro foglio:
-Correzione sociologica.-
Altro foglio:
-Ristabilimento morale.-
Altro foglio:
-Equità radicale.-
Ultimo foglio:
-Assestamento giuridico definitivo.-
Emilio aveva finito. Non sapeva se tenere ancora i fogli o ridarli al direttore, ma lo stronzo non dava alcuna indicazione in merito: se ne stava a labbra chiuse e occhi stretti. Fuori la luce del sole era piena e chiara e tutto quello che si vedeva dalla finestra era grandissimo e fitto di vita e di calore. Molte cose si muovevano: persone, automobili, cani, biciclette, una bandiera. 
-Non so.- prese a dire il direttore -Valorizzazione etica mi sembra... mi sembrava buono... ha segno positivo, perché il termine valorizzazione dà l'idea di una azione...un'azione benefica, che valorizza, che dà il giusto valore... così la gente apprezza, capisce che è una cosa utile, buona...-
-Da quando si chiamano termovalorizzatori gli inceneritori fanno meno paura.- commentò sorridendo il collaboratore Oreste, che il direttore ignorò.
-Però- continuò lo stronzo -questo termine non piace alla chiesa. Sua eccellenza il signor ministro me lo ha fatto capire chiaramente. È troppo forte, per la chiesa. Non si può.-
-Ma la chiesa ha dato il via libera, quindi...- fece il collaboratore Corrado.
-Sì sì. Però certe sfumature, certi dettagli, come dire?, certi particolari, capito?, certi dettagli certe sfumature sono importanti... su questo non si scappa. Bisogna stare attenti a questi dettagli che sono essenziali. Dico essenziali.- disse gravemente il direttore, come trasumanato dalla sua stessa potenza.
Il collaboratore Emilio restituì i fogli al direttore, dicendo:
-Ristabilimento morale mi sembra possa andare bene.-
Apollonio dai quattro cognomi guardò con una nuova tenerezza i fogli planati sulla scrivania.
-Sì, forse... non so...- sussurrava -magari è un po' duro... troppo laico... non so...-
Tutti tacquero: Apollonio sfinito per la gravezza del lavoro che doveva svolgere (cioè scegliere il termine chiave per la stesura della legge Morani); i collaboratori esausti per questa impudica perdita di tempo.
-Io eliminerei senz'altro "correzione sociologica"; mi sembra cupo e anche improprio.- disse il collaboratore Michele.
-Eh, cupo...- sbottò il direttore - In fondo, sempre di pena di morte si tratta.-
-Sì; però quella parola correzione fa subito venire in mente i compiti, i brutti voti, le interrogazioni, la scuola.... alla gente non andrà giù...-
Il direttore Apollonio annuì:
-Vero. Questo non va bene.- e appallottolò con forza eccessiva il foglio che recava la scritta sciagurata. Lo lasciò cadere in terra.
-Anche equità radicale può creare confusione...non fa venire in mente le tasse?- domandò il collaboratore Corrado.
Apollonio chinò un po' la testa e strinse le labbra (pareva volesse buttare un bacio alla scrivania); picchiò ancora ritmicamente il dito curvo ad uncino su un foglio.
-Assestamento giuridico definitivo.- disse infine col tono della dichiarazione -E' il termine più adatto, il più corretto. Questo va bene.-
I collaboratori non dissero nulla, tanto al direttore non interessava niente che venisse da loro. 
Apollonio il direttore Apollonio era fiero di sé. Anche questa volta era stato il migliore.
-Assestamento giuridico definitivo.- disse ancora il direttore, questa volta un po' più lentamente, per fare scorrere le parole davanti agli occhi e a lasciarle misteriosamente fluttuare in aria, davanti a sé, brillanti e leggere nella grande luce che prorompeva dalla finestra tersa.




14 dicembre 2018

Udienze Scolastiche. Un Racconto di Paolo Cortesi

Un Racconto surreale di Paolo Cortesi. Un futuro al contrario in un paese che non legge, dove i libri sono un pericoloso strumento di conoscenza e ai bambini si regalano smartphone e videogiochi per tenerli lontani dai libri.

per gentile concessione di Paolo Cortesi
http://www.paolo-cortesi.com/racconti.html



Domani, in Italia…

Si sistemò i capelli, un ciuffo rotondo al lato della fronte, e il gesto sembrò in qualche modo legato a quello che disse subito dopo:
-Io capisco... vi capisco bene... però, voi capite...-
La donna si affrettò a rispondere alla professoressa:
-Sì sì sì, ma certo-, poi dopo questo lampo di parole, imprevisto come un accesso di tosse, la donna tacque e restò in attesa e mostrò di aver fatto tutto quello che si poteva aspettare da lei.
La professoressa Siliani Giuliana toccò ancora il ciuffo dei capelli; era evidentemente il gesto che ripeteva quand'era imbarazzata. Disse:
-A un certo punto, il consiglio dei docenti ha creduto giusto, direi doveroso, avvertire voi genitori.-
La mamma di Carlo fece sì con la testa e guardò la punta delle dita della professoressa. Il babbo di Carlo non aveva ancora detto niente, solo buongiorno quand'era entrato nella sala insegnanti, dieci minuti prima.
Il padre di Carlo aveva un'autofficina; era piuttosto ricco, ma il suo aspetto era quello di un lavoratore povero che usava muscoli e tenaglie; aveva le mani grosse, le dita quasi gonfie, curve, con tanti taglietti scuri sui polpastrelli, sul dorso e sulle nocche; aveva le macchie del grasso e della morchia che, anche dopo il lavaggio col sapone speciale, lasciavano un alone scuro, come di ustioni.
La professoressa non si aspettava che lui intervenisse nella conversazione; pensava che la moglie se lo fosse portato dietro perché finalmente si occupasse un po' pure lui del figlio. Nei suoi vent'anni di scuola, ne aveva visti tanti di padri così, che dei figli sanno poco e non ci vogliono perdere tanto tempo. Non sono cattivi, ma sono pigri e rassegnati; i figli sono loro estranei quanto un condomino con cui si scambiano appena i saluti.
Così, il babbo di Carlo (si chiamava Ennio) stava seduto e con la pancia pareva reggere la scrivania a cui sedeva, dall'altro lato, la professoressa; accanto a lui, la moglie Anna occupava poco spazio, perché era magrolina e raccolta e si vedeva che non era a suo agio.
-Carlo è un ragazzino bravo.- iniziò a dire la professoressa -È intelligente e ben relazionato in classe.-
Anna sorrise.
-Non si distrae spesso e partecipa alle lezioni con contributi personali.- continuava la Siliani. Anna pensava che diceva tutte queste cose belle per prepararli alla botta finale.
Ennio intervenne:
-Se va così bene, perché ci ha chiamato qua?- domandò senza staccare le manone che teneva intrecciate, sulla scrivania.
Anna gli toccò un braccio e disse, guardando la professoressa:
-Stai buono. Lascia parlare la signora.-
La Siliani fece un mezzo sorriso e disse in un soffio:
-No per carità, dica pure.- e bastò questo perché Ennio tacesse.
-Carlo non è un ragazzino difficile, problematico.- continuò la professoressa -Per questo abbiamo pensato opportuno intervenire subito, prima che sia un po' tardi...-
-Tardi?- mormorò Anna. La botta era arrivata.
-Sì, perché il comportamento di Carlo... cioè, noi abbiamo capito che è un ragazzino capace, ma può prendere una.... eh...-
Ennio fece, con gli occhi spalancati, come aggredito:
-Una brutta strada?-
-Non volevo dire così, però... insomma... ecco... come dire?...-
Ennio restava incerto e immobile, guardava la moglie e aspettava di uniformarsi alla sua reazione. Anna, però, sembrava inerte: fissava la professoressa e teneva sulla faccia un sorriso piccolo, sommesso, quasi involontario. La professoressa Siliani capì che non era il caso di tirarla tanto lunga; i due genitori che le stavano davanti non sembravano capaci di partecipare in modo costruttivo alla chiacchierata. Doveva dire tutto chiaro e tondo. Loro non volevano altro. Anche se la faccenda si faceva, per lei, più faticosa.
-Vede, signora, noi lasciamo ai ragazzi una certa libertà, perché se no la scuola sarebbe...sarebbe...sarebbe una galera, una caserma...eh?- disse la professoressa, con tono conciliante.
-Sì sì.- Anche Ennio disse:
-.-
Siliani annuì e continuò:
-Però bisogna che ci sia il controllo da parte nostra, da parte degli educatori. Così noi cerchiamo di stare vicino ai ragazzini soprattutto quando vediamo che c'è qualcosa che non va... che non va bene... qualcosa che noi abituati a conoscerli e a vivere con loro tutti i giorni...-
-Ma cos'ha fatto Carlo?- esclamò Ennio e mise tutta la sua anima nelle parole, dette a voce più alta e piena, senza muoversi, con le due mani posate sul bordo della scrivania.
-È un'età delicata. È adesso che si formano per il domani.- rispose la professoressa e pareva che non avesse neppure ascoltato l'uomo.
-Allora?- incalzò Anna, supplichevole.
La Siliani aprì un cassetto della scrivania, estrasse un libro e lo posò davanti ai due genitori, che lo fissarono come se non fosse un libro, ma un pezzo di carne appena tagliata dal corpo del figlio.
Era "Le avventure di Huckleberry Finn" di Mark Twain; un piccolo libro che aveva un disegno colorato in copertina.
Il babbo ebbe un rantolo sofferto:
-E questo?...-
La professoressa disse:
-Gliel'ho sequestrato due giorni fa. Prima ancora gli avevo preso questo. Non vi avevo detto niente. Volevo aspettare. Volevo capire.-
Posò accanto al libro un altro volumetto: l'Odissea in una versione per ragazzi. Entrambi i libri erano vecchi, con le copertine opache per un velo appiccicaticcio di sporcizia e polvere. Gli angoli delle pagine avevano pieghette e tagli.
Ennio fece:
-Madonna...- e alzò un po' la testa, come per allontanarsi dagli oggetti che sembravano due cadaverini sul tavolo.
La mamma Anna domandò con apprensione:
-Ma è sicura che li avesse Carlo? Non poteva averli un suo compagno? Magari glieli hanno messi sotto al banco e lui non sapeva niente.-
La professoressa fece un sorriso bonario, mosse un po' la testa per negare, rispose con la dolcezza che si usa coi malati:
-Mi dispiace, ma li aveva Carlo. Li stava leggendo.-
Anna si portò le mani alla bocca. Ennio strinse i pugni furiosamente, emise un gemito, poi:
-Li leggeva lui? Lei lo ha visto che li leggeva?-
La Siliani disse sì con un filo di voce, appena udibile, come se volesse avvicinarsi quanto più possibile al silenzio.
Per la prima volta, i due genitori si guardarono l'un l'altra. Anna abbassò subito gli occhi, ed Ennio si mordicchiò l'unghia nera del pollice.
-Leggeva i libri.- sussurrò.
La professoressa cominciava a pentirsi di non aver voluto la psicologa di classe accanto a sé. Aveva sottovalutato il dolore dei genitori.
-Ma lui cosa dice?- domandò Ennio, con la voce incontrollata con cui si rivolgeva ai suoi lavoranti.
-Sì. Gli ha parlato? Ne avete parlato?- domandò Anna.
-Dice che gli piace leggere.- rispose in fretta la Siliani.
Ennio chiuse gli occhi. Restò così per un minuto. Poi fece un gran respiro e prese fiato come se stesse per alzare un grosso peso e disse inarrestabile:
-Io non lo so. Non lo so. Ci siamo stati attenti a quel bambino. Magari io ero spesso al lavoro e non stavo tanto a casa. Ma lei capisce. Chi porta i soldi a casa, se no? E come si campa senza soldi? Ma mia moglie è sempre stata brava. Gli è sempre stata attenta. Fin da piccolo piccolo che andava all'asilo gli abbiamo comprato tutti i film che uscivano, poi le musiche. Tutte le canzoni. Tutte. Guardava sempre la tv. Ma mi creda: sempre. Entrava a casa, lo mettevamo davanti alla tv e ci stava per sette otto ore. A due anni già conosceva tutti i gruppi, i solisti. Perfino gli svedesi. Cantava le canzoni senza sbagliare una parola. Poi lo abbiamo iscritto subito a balletto e poi al corso di comico con specializzazione cabaret. Abbiamo speso un sacco di soldi. Eh Anna? Poi cosa abbiamo fatto? Ah sì! A sei anni, a sette non mi ricordo, lo abbiamo iscritto a un corso di ipod. Il suo primo smartphone gliel'abbiamo regalato quando gli è spuntato il primo dentino. Era piccolino e conosceva tutti i nomi dei suv dei fuoristrada delle macchine sportive. Lo portavo con me sempre alla partita sempre sempre. Pensi che è stato per un paio d'anni la mascotte ufficiale del mio gruppo di ultras. Gli volevano tutti bene. Cantava le canzoni della tifoseria e ne sapeva tante a memoria. Eh Anna? ti ricordi? Allo stadio una volta ha anche avuto il microfono e cantava e tutti tutti in cinquantamila gli hanno battuto le mani. Mi è venuta la pelle d'oca, giuro. Guardi, in casa non c'è mai stato un libro ma mai mai; pensi che una volta..."
Anna tentò di placare la foga affannata del marito:
-Ennio, la professoressa non...-
-Ma un minuto! Solo un minuto!- gridò lui, perché si doveva capire bene che non aveva colpa -Pensi che una volta, in tv, vide una scena d'un vecchio film dove c'era un libro. Era una scena in prima serata che era scappata alla censura. Mi chiese: babbo cos'è? e io: ma niente, una roba vecchia brutta schifosa puzzolente che non c'è più. Lui voleva sapere cos'era a cosa serviva, ma io dissi subito: no no non devi interessarti di quella roba che fa male che rovina la gente.-
Ennio si arrestò, esausto, disorientato. Aveva la faccia di chi è arrivato correndo in un posto che non conosce.
La moglie Anna, dopo una breve pausa in cui tutti stavano in attesa, intervenne cauta:
-Guardi che noi ci siamo stati sempre attenti, al bambino. Pensi che una volta lui trovò un libro vecchio rotto in casa della nonna...-
-Tua mamma.- esclamò Ennio, assorto.
-Sì. Appena gli ho visto quella cosa tra le mani gliel'ho presa, gliel'ho buttata via.-
La professoressa intervenne:
-Ma forse era meglio se non dava peso, se glielo portava via dolcemente. Così forse ha fatto nascere in lui un interesse morboso, una curiosità che altrimenti non avrebbe avuto.-
-Eh dice bene lei.- rispose Anna, risentita, che si sentiva accusata -Ma quando ho visto quella cosa nelle sue manine... guardi, mi si è gelato il sangue nelle vene... avrei voluto vedere lei...-
Poi Anna tacque, perché non voleva irritare la professoressa. Esiste sempre un limite che chi non ha potere non valica mai.
La Siliani sorrise e abbassò lo sguardo, e guardando le mani grosse di Ennio disse:
-Adesso dobbiamo solo pensare al bene di Carlo. Il consiglio docenti gli ha affiancato un sostegno per il corso di analfabetismo.-
-Il sostegno.- mormorò Anna e guardò appena il marito, che sembrava non essere più in grado di parlare, dopo quella tirata fitta di prima.
-Sì, ma non vuol dire niente, non si preoccupi. È solo un aiuto, un sostegno. Non pensi male.-
-Il sostegno.- ripeté Anna, e nella sua voce perduta la parola suonava come il nome di una malattia.
La Siliani aveva già visto altre volte certe facce, certi occhi. Stava per dire le solite cose per consolare i genitori sconvolti. Si vergognava un po', dopo tanti anni, a recitare sempre la stessa parte e dire le stesse cose. Era stanca di vedere le facce patite e dolenti dei genitori che scoprivano figli diversi da quelli che credevano di avere in casa.
-Non vi preoccupate troppo.- iniziò a dire e ripeté quasi esattamente ciò che aveva detto la settimana prima a genitori convocati perché la figlia sapeva a memoria L'infinito che aveva detto ad un'amica di nascosto -Con un corso intensivo di un paio di mesi, Carlo diventerà analfabeta irreversibile. Qui seguiamo il corso psicodidattico di Khek Zalovic. E fra poco il vostro bambino avrà tanto orrore dei libri che non vorrà neppure vederne uno.-
-È colpa di quei porci che spacciano libri ai bambini!- esclamò Ennio, che misteriosamente puntò il grosso indice verso la faccia della professoressa e lo tenne così finché quella non sembrò annuire -La pena di morte ci vorrebbe, per quei delinquenti maledetti che rovinano i bambini! La pena di morte ci vorrebbe.-
Tacquero. La Siliani stava per iniziare la lenta goffa fase dei saluti, quando Ennio, fissandosi il dito, disse a voce bassa, parlando al suo dolore:
-Ma se ne prendo uno......-



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