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14 maggio 2018

Pietraperzia: come eravamo - 3^ parte


Il Parco della Rimembranza e la villa comunale 


Mentre, in tutti i paesi come il nostro, la maggior parte degli abitanti lottava per la sopravvivenza, in Europa l’egoismo dei popoli seminava malcontento. I governanti dei vari Stati sovrani con negoziati segreti e non e con patti bilaterali si schierarono in due formazioni contrapposte: Triplice Alleanza da una parte e Triplice Intesa dall’altra.
L’Austria-Ungheria il 25 luglio del 1914 ruppe ogni relazione diplomatica e, tre giorni dopo, fece la propria dichiarazione di guerra tramite un telegramma inviato al governo serbo: era l'inizio della Prima Guerra Mondiale.
Nel 1914 era Sindaco il Dott. Rosario Mendola, (nonno della farmacista Cristina), successivamente sostituito dall’Avv. Notaio Vincenzo Perdicaro.
Un anno dopo, il 24 maggio del 1915, l’Italia entra in guerra a fianco della Triplice Intesa assieme a Francia, Inghilterra, Russia contro Germania e Impero Austro-Ungarico.
Non c’era ancora la radio, i bollettini di guerra arrivavano in ritardo, venivano filtrati e spesso interpretati a convenienza; dati in pasto a gente analfabeta, accendevano le fantasie e qualcuno, per non partecipare alla guerra, si procurava gravi lesioni invalidanti e irreversibili.
Da questa sommaria descrizione emerge che, in ogni nucleo familiare, il perno dell’esistenza era l’uomo che sopportava tutto l’onere della sopravvivenza. Privare per motivi bellici la famiglia, anche solo temporaneamente, della presenza dell’uomo era come creare orfani e vedove anzitempo. E questa era la paura più assillante e ricorrente che spaventava le famiglie.
La prima guerra mondiale fu uno dei conflitti più sanguinosi di tutti i tempi. Nei quattro anni e tre mesi di ostilità persero la vita 9.722.000 soldati di cui 650.000 italiani e vi furono oltre 21 milioni di feriti. I civili non furono risparmiati: circa 950.000 morirono a causa delle operazioni militari e circa 5.893.000 perirono per cause collaterali: carestie, malnutrizione, malattie ed epidemie (particolarmente grave fu la cosiddetta "spagnola” che a Pietraperzia, che contava, 12.000 abitanti, dal 1916 al 1918, fece 1330 vittime di cui 561 nel solo 1919
Al termine del conflitto in tutta Europa, in ogni città e paese in lutto, sorsero monumenti commemorativi di varia estensione come Redipuglia in Italia.


A Pietraperzia il 3 maggio 1928, il Barone Michele Tortorici, Podestà in carica, a nome e per conto del Comune, acquistò dai Sigg. Crisafi Vincenzo e Di Lavore Liborio 1,22 ettari di terreno in contrada Canale Tonnovecchio per la realizzazione del Parco della Rimembranza, della Villa Comunale e del Campo Sportivo. Quasi quattro anni dopo, il 27 febbraio del 1932 la sedicenne Annita, figlia del Podestà in carica Antonino Guarnaccia, inaugurò il Parco della Rimembranza con annessi “Villa Comunale” e Campo sportivo. Ai lati del vistoso cancello in ferro battuto dell’ingresso principale, nella disposizione ad emiciclo delle dieci lastre di marmo, si leggono 118 nomi di caduti onorati da due sculture in basso rilievo, raffiguranti bandiera della Patria, moschetto e stella dell’onore. 
D’allora e senza interruzione di continuità ogni anno, per perpetuarne il ricordo di quanti caddero in nome della Patria, questo nostro sacrario, il IV novembre viene onorato dalle visite delle autorità civili e religiose locali ed ossequiato con la deposizione di corone di alloro, portate in processione dall'Amministrazione Comunale preceduta dal Primo Cittadino.

In margine alla delibera d’acquisto del terreno per la costruzione del Parco della Rimembranza, della villa comunale e del campo sportivo si legge:
In contemporanea alla Villa Comunale e al Campo sportivo doveva essere realizzato il Boschetto Littorio su terreno comunale sito all’incrocio della via per Riesi e la strada vicinale per Vallone dell’Oro e Cerumbelle.


Giovanni Culmone

Le puntate precedenti sono state pubblicate il 30 aprile 2018 e 7 maggio 2018




07 maggio 2018

Pietraperzia: come eravamo - 2^ parte


Usanze e costumanze a inizio '900 



Ancora nei primi decenni del 900 le strade urbane, quasi tutte a fondo naturale e affollate da animali da cortile, fungevano da pattumiere. In estate erano coperte da uno spesso strato di paglia di scarto e letame essiccato al sole che d’inverno si trasformava in maleodorante fango. Le piogge autunnali erano attese e provvidenziali per ripulire le strade, almeno quelle in forte pendenza.
L’illuminazione pubblica della piazza e delle vie principali era affidata al lampionaio che governava e distribuiva in punti strategici lumi a petrolio.
La piazza pur riportando la denominazione di Corso Vittorio Emanuele, da Santa Maria a San Rocco era divisa in due tronconi ed attraversata dalle cavalcature che da via Uovo (oggi via Trieste) si portavano a via Selva (oggi via Roma) e viceversa, ma la gente continuava a denominare i due tronconi “Piano Santa Maria” e “Piano o Piazza San Rocco.

Carretti "parcheggiati" sul lato del marciapede prospiciente il fondaco
Il teatro comunale senza prospetto era attaccato al fondaco (stalle e deposito di carretti e anche albergo per carrettieri di passaggio e di occasionali viaggiatori) bisognerà arrivare al 1931 per andare da via Vittorio Emanuele a Piazza della Repubblica attraversando l’odierna via Monfalcone. Anche allora ci fu il bisogno della nomina di un Commissario Prefettizio, Sig. Balestrino Cav. Rag. Umberto, per firmare il decreto di demolizione delle case interessate.
Pane e pasta si preparavano in casa. Non erano arrivati ancora i torchi e la pasta si sfilava col matterello “sagnatù̢ri” e si tagliava col coltello: tagliarì̢na o lasagna. Se c’era più disponibilità di tempo si preparavano: filatid̩d̩i, maccarru̢na e cavati.
Per il pane chi non disponeva di forno proprio in casa ricorreva ai forni rionali che offrivano il servizio a pagamento in natura. Si pagava la cottura (ccu lu cucchju̢ni).
Per la macina del grano da poco era entrato in funzione il mulino dei Martorana (la màchina di Callaràru) ma era ben poca cosa per soddisfare le richieste di quella collettività che spesso era costretta a raggiungere i vari mulini ad acqua ubicati nelle nostre campagne o in campagne di comuni limitrofi.

Casa della famiglia Bertini Romano angolo via Roma
Incombeva il terrore del brigantaggio che spesso privava i proprietari, se non della vita, del carico e della cavalcatura. Si diceva a volte, che qualcuno si dava sporadicamente al brigantaggio per necessità, per sopperire alle precarie condizioni economiche che non consentivano di guadagnare legalmente il necessario al sostentamento della numerosa famiglia.
I mezzi di comunicazione erano carenti e a rischio brigantaggio. La Provincia, allora Caltanissetta, e altre realtà abitative, si raggiungevano col mezzo proprio; l’asino o la mula. Chi ne era privo noleggiava una cavalcatura privata o faceva ricorso al mezzo pubblico “la periotica” carrozza omnibus ad otto posti tirata da due cavalli. Fu in servizio a Pietraperzia a cura di Màstru Llillì̢ (Zito Calogero) fino a tutto il 1920. A causa della viabilità non tanto agevole e per carenza di mezzi pubblici di trasporto gli spostamenti da una città all’altra e gli scambi commerciali e culturali erano scarsi.
Di conseguenza ogni collettività abitativa era quasi autarchica e necessariamente e orgogliosamente ricorreva al proprio artigianato: per il vestito andava dal sarto; per le scarpe dal calzolaio; per la porta o i mobili dal falegname; per la rimessa dei ferri all’animale da soma dal maniscalco, dal fabbro per lavori più impegnativi; per il basto o i vari attrezzi agricoli, vardu̢ni ccu lu maniu̢ni (basto con arcione), vardeḍḍi, vìrtuli, visazzi rrutu̢na, andava dal bastaio; per il pellame “nti lu cunzarijutu”, un tizio che gestiva la concia delle pelli ricavate generalmente dalla morte degli animali da soma.
Ricorreva al barbiere, che, spesso, veniva pagato in natura con frumento o altri prodotti della campagna a seconda di quanti erano i componenti maschi di una famiglia. Oltre che barbe e capelli si ricorreva al barbiere per l’estrazione di qualche dente o per eventuale salasso “sagnija”.



Chiamava il muratore per ristrutturare la casa o farsi ricostruire "la manciatu̢ra" o la "tannu̢ra" (cucina a legna in muratura).
Si rivolgeva a “lu callararu” per stagnare pentole e tegami di rame, allora molto in uso. Oltre al pentolame di terracotta e di rame, non c’erano altri utensili per cucinare.
Chiamava “lu stagnataru” (lattoniere) per “allannari” (rivestire di lamiera zincata) o saldare la pila per lavare i panni.
Un economia povera e arretrata  che alle soglie del XX secolo usava ancora il baratto per il piccolo commercio di generi alimentari.
Da fuori arrivavano, sapone, sale, sarde salate, castagne, pomodori secchi “cchjappi”, estratto di pomodoro essiccato al sole, frutta secca, noci e nocciole e raramente frutta fresca.
Caratteristico era il venditore di maialini: arrivava con due grossi resistenti cesti cilindrici, caricati orizzontalmente a basto di m ulo, e mostrava ai clienti i cuccioli che emettevano sonori e assordanti grugniti.
Per il commercio di quei pochi manufatti arrivati da fuori aleggiava la più grande sfiducia e i prodotti venivano bollati col detto “cosi accattati a la canna” per significare scarsa qualità e poca resistenza all'uso.

Giovanni Culmone


La puntata precedente è stata pubblicata il 30 aprile 2018



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30 aprile 2018

Pietraperzia: come eravamo - 1^ parte


Condizioni sociali ed economiche tra inizio 900 e Primo Dopoguerra.


All’inizio, questa mia descrizione potrebbe apparire autolesiva e denigratoria, ma è una fotografia reale della maggior parte dei comuni siciliani a vocazione agro-pastorale, scattata nel primo ventennio del 1900.
L’analfabetismo era molto diffuso e le 12.000 anime di allora, a Pietraperzia, come in tutto il centro Sicilia, vivevano in una economia ancora basata sul latifondo, senza servizi pubblici, ancora con poche e precarie strade di collegamento e con un commercio quasi del tutto assente. Un mondo chiuso in una condizione di miseria e di fame. Vivevano in aggregati di famiglie numerose, compressi in un fazzoletto di territorio abitativo, esteso forse, meno di un terzo dell’attuale. Alle spalle di questo sodalizio era già aperta campagna, “la si̢rbia” (arabo xirbi = pietraia). 



Quella che diventerà poi via Stefano Di Blasi era una strada rurale a fondo naturale, almeno fino al 6 Maggio 1914, giorno in cui il già Sindaco Stefano Di Blasi passò a miglior vita, ed arrivava alla rotonda della Santa Croce, punto di sosta e d’incontro per chi faceva passeggiate fuori porta. Dalla parte verso Ovest il paese declinava da via Mandre (mànniri) verso la fine di Corso Umberto “li carrozzi” e verso la parte finale della discesa Leone “l’urtu di liju̢ni”. A levante, a Sud del castello, come oggi, il quartiere Terruccia arrivava fino alla chiesetta rurale dello Spirito Santo, oggi Santa Lucia. Più giù, attaccate alle ultime abitazioni, c’erano case di pastori ed ovili.
Tutte le case erano intensamente abitate. I più agiati disponevano di stalla per gli animali e di locali a piano terra per attrezzi agricoli e derrate alimentari. Le persone occupavano il primo o piani più alti. I meno fortunati disponevano di case a piano terra, e spesso di un solo locale che spartivano con la numerosa famiglia, l’animale da soma, i conigli, le galline, la capra ed altro. 
Oltre alle 12.000 anime si contavano quasi 4.000 animali da soma e un numero imprecisabile di animali da cortile per le strade che la sera trovava posto all’interno delle abitazioni.
Pietraperzia era una comunità, come già detto, a vocazione agro-pastorale con tanti latifondisti, un Principato, alcuni baronati, bburgi̢si, piccoli proprietari, mezzadri e molti jurnatàra.
Forse è meglio insistere di più sulla suddivisione del territorio per fare emergere le precarie condizioni socio-economiche di allora.
Il grosso del nostro territorio, suddiviso in feudi, apparteneva a ricchi e nobili. Ogni feudo, frazionato in spezzoni, generalmente di due, tre o quattro ettari, era affidato ad un mezzadro che espletava, con mezzi tradizionali, tutti i lavori, dalla semina al raccolto e alla fine, per il compenso annuo, spartiva il prodotto col proprietario.

Li mitatìri  costituivano la categoria più numerosa.
Ogni mezzadro possedeva la cavalcatura e l’aratro, mezzi necessari per l’aratura, la semina e la trebbiatura, e si considerava contadino impiegato a posto fisso.

Jurnatàru era il contadino nullatenente, non possedeva cavalcatura e nemmeno attrezzi o solo fànci e zzappù̢ni, non aveva lavoro fisso e di tanto in tanto lavorava a giornate.

Bburgi̢si era il contadino agiato, proprietario di terre o di bestiame; a volte ricorreva all'impiego di altro personale per la coltivazione delle sue proprietà e/o l'allevamento del bestiame.

Piccolo proprietario era un professionista, un impiegato, un putìjaru o un artigiano possessore di alcuni ettari di terreno.

Non esistevano “ammortizzatori” sociali. L’assistenza sanitaria era affidata all’unico medico condotto.
Per quel poco che potevano offrire c’erano i sodalizi di mutuo soccorso: aggregazioni per ceto di volontari tuttora esistenti: Società Operaia Regina Margherita, Società Militari in Congedo, Società Carrettieri, e le varie Confraternite, quella di S. Giuseppe, quella di Santa Maria del Soccorso o degli Agonizzanti, quella della Caterva, del Rosario, di S. Rocco. Nei loro statuti erano previsti rimborsi di spese funerarie e assistenza medica per l’iscritto e i familiari e altri interventi possibili per aiutare un proprio affiliato in difficoltà.
In piazza S. Rocco si radunavano jurnatàra, manovali muratori e datori di lavoro per contrattare prestazioni di manodopera. “li jurnatàra” fortunati, dopo avere concordato l’ammontare della misera paga si davano appuntamento l’indomani per raggiungere all’alba e a piedi la campagna, a volte distante dal centro abitato alcuni chilometri. Non sempre, lungo il percorso di ritorno, riuscivano a strappare, al terreno dei bordi della strada, qualche verdura commestibile da portare a casa per il condimento di un’eventuale minestra calda.
Le giornate lavorative nei campi erano scandite dal sorgere e dal tramontare del sole.
Dopo un anno di duro e faticoso lavoro il contadino fortunato riusciva ad accantonare il minimo necessario per se, la famiglia e la mula. 
Non c’era rete idrica e nemmeno rete fognaria.


L’unica fonte di approvvigionamento idrica era il fonte canale che pochi anni prima era stato dotato di un grande abbeveratoio ottagonale, per gli animali da soma, e di una serie di cannelle per il riempimento delle brocche di terracotta “quartàri”. Provvedevano all'approvvigionamento gli uomini quasi sempre al ritorno di una faticosa giornata lavorativa e diventava problematico per loro accedere alle cannelle a causa della grande ressa che si determinava all'imbrunire e causa spesso di discussioni e litigi.

Giovanni Culmone


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16 aprile 2018

Trovatelli e Ruota di Pietraperzia: Considerazione finale e documenti d'archivio - 4^ Parte


Proietti e balie dei mesi di gennaio e marzo 1868


Tranquillo Cremona

Nell'archivio della Confraternita della Madonna del Soccorso sono state rinvenute due cartelle di pagamento alle balie per l’assistenza ai proietti effettuati dalla Congregazione di Carità per conto del Comune di Pietraperzia, una riferita al mese di gennaio e l’altra al mese di marzo 1868. Quella riferita al mese di gennaio è composta da due fogli quella riferita al mese di marzo da uno solo.
Per comodità di stampa ogni foglio è stato diviso in due, nella prima parte sono riportati i nomi dei proietti, con altre notizie ad essi riferite, nella seconda parte i nomi delle relative balie con altri appunti.
Seguendo il rigo del nome del proietto si arriva ad identificare la balia che lo ebbe in affidamento.
Per ragioni di opportunità si riportano di seguito prima i nomi dei 44 trovatelli e poi quelli delle relative balie.



Curiosità

Il commissario del Comune, firmatario del contratto di locazione della casa della “Rotara” è lo stesso che firmò il decreto di demolizione dell’immobile attaccato al teatro comunale per aprire poi via Monfalcone che dalla Piazza V. Emanuele III accede a Piazza della Repubblica.
                       (D. C. C. n. 289 del 30-12-1930)


Delibere di giunta per pagamenti di forniture e sevizi resi alla Ruota dei Proietti

Pietraperzia Delibera di Giunta n. 19 del 1906


Traslitterazione

Ritenuto che il negoziante Attanasio Salvatore ha fornito dei pannolini ed altri indumenti occorrenti per i trovatelli che vengono ospitati nella ruota dei proietti: vista la relativa fattura in data 25 Febbraio corrente che ammonta a complessive £. 18 ivi compreso il prezzo di manifattura in £.  4,40: Trovando giustificata la spesa

Unanime Delibera

È disposto il pagamento di £. 18 per fornitura del negoziante Attanasio Salvatore per la causale sopra cennata. L’importo sarà prelevato dall’art del bilancio 1906 

Pietraperzia Delibera di Giunta n. 84 del 1906


Traslitterazione

Ritenuto che il giorno primo Aprile corrente la balia dei trovatelli Traina Santa abbandonò volontariamente il servizio e per cui fu necessario dare incarico provvisorio a certa Guarnaccia Marianna di Calogero ad occupare tale posto, avendo tutti i requisiti per una buona balia, per come emerge dal relativo certificato sanitario rilasciato dal medico condotto Signor Vitale Dottor Vincenzo, dietro analoga proposta del Presidente.

Unanime delibera

di incaricare in via provvisoria la suddetta Guarnaccia Marianna a disimpegnare il servizio di balia presso la ruota dei trovatelli. La detta Guarnaccia godrà la paga annua di lire 200 assegnato in bilancio a datare del 20 Aprile scorso, giorno in cui incominciò a prestare servizio. La Giunta si riserba poi di aprire il relativo concorso, per la nomina definitiva, allorquando si presentassero delle altre possibili aspiranti a tale posto.

Pietraperzia Delibera di Giunta n. 136 del 1906


Traslitterazione

Ritenuto che la balia dei trovatelli Guarnaccia Maria Anna ha provveduto a proprie spese al bucato della biancheria dei trovatelli esposti nella ruota durante i mesi di Aprile, Maggio e Giugno 1906;
Tenuto presente che il compenso precedentemente accordato per simili servizi è stato di lire due mensili.
Unanime delibera

È autorizzato il pagamento di lire sei a favore della balia dei trovatelli Guarnaccia Maria Anna per la causale suddetta.
L’esito sarà prelevato dall’art. 40 del Bilancio 1906.

Contratto d’affitto della casa della “Rotara”

Questo contratto, in perfetto stato di conservazione, si trova nell’archivio della Confraternita della Madonna de Soccorso ubicato nella sacrestia della Chiesa del Carmine





Considerazioni e grafici

L’abbandono di neonati, fino alla metà del secolo scorso, sembra una storia dell’immaginario raccontata oggi dagli anziani ai più giovani ma purtroppo è stata ed è ancora una storia vera che ci appartiene, fatta di eventi e fatterelli che ci appartengono. Senza andare alla ricerca delle cause fallimentari, la nascita ufficiale della ruota, se da una parte alleviò tante sofferenze ai neonati e salvò diverse vite, dall'altra non seppe risolvere il fenomeno degli abbandoni e lo incrementò. Gli abbandoni ci sono sempre stati: erano molto contenuti nel 1600, cominciò a diventare patologico al diffondersi di notizie sulla eventuale istituzione pubblica di una ruota gestita da autorità istituzionali che si prendesse cura gratuitamente della nutrizione e della crescita dei neonati abbandonati e recuperati. Era un problema sociale ed economico che quella società pensava di risolvere con l’istituzione della ruota ma non vi riuscì. Alcuni diagrammi, elaborati su dati reali, estrapolati dagli elenchi dei battezzati dall'archivio di Santa Maria Maggiore di Pietraperzia, fanno capire meglio l’evolversi del fenomeno: nel diagramma a strisce si può seguire l’incremento del fenomeno dal 1610 al 1930 e in quelli a torta soppesarne l’incidenza sul numero di abitanti, in periodi diversi.


Nel corso del XIX secolo, a causa anche dell'aumento demografico, si cominciò a mettere in discussione la validità dell'istituzione della Ruota, che riversava sulle casse pubbliche il problema del sostentamento di tantissimi bambini abbandonati anche perché, troppo spesso, le famiglie numerose sceglievano di abbandonare i neonati nelle ruote perché non potevano garantire loro il sostentamento.
La prima città in Italia a chiudere la ruota fu Ferrara nel 1867, seguita dalle altre città della penisola, fino alla completa abolizione delle ruote all’inizio del Novecento.
Nel 1923 fu abolita e sostituita con il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini

A Pietraperzia la Ruota, ubicata in Discesa Carmine, accanto all’ex ospedale Rosina Di Natale, gestita da Giovanna Russano, nata il 22 Ottobre 1877, continuò a funzionare anche dopo 1931.

Giovanni Culmone




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09 aprile 2018

Trovatelli e Ruota di Pietraperzia: "Rotare" di Pietraperzia - 3^ Parte



Gioacchino Toma – La guardia alla ruota dei trovatelli

Ruota dei trovatelli e "Rotare" di Pietraperzia


La "ruota" rimane l'istituzione più conosciuta per accogliere trovatelli. Ogni paese della Sicilia, dopo il Decreto del 30 aprile 1810 si dotò della struttura con la sua "pia ricevitrice" o “Rotara”, così chiamata la donna deputata a accogliere i proietti.
La "pia ricevitrice" poteva essere scelta tra religiose predisposte all’accoglienza con spiccata tendenza a svolgere il ruolo materno difficile ed impegnativo nei primi giorni di vita di una creatura abbandonata. A Pietraperzia si preferì affidare tale oneroso incarico a donne, già mamme, molto esperte ed affidabili. La donna che avrebbe dovuto ricoprire l’incarico era passata al vaglio di una commissione comunale formata da laici, religiosi e noti studiosi.

“Niuna donna sarà ammessa a quest'ufficio, se non avrà contestato di esser morto il suo figlio, o di averlo slattato, per prevenir le frodi che si van commettendo da talune non buone madri, le quali espongono fittiziamente i propri figli, ond'esserne incaricate della nutrizione con una mercede”

La Rotara o pia ricevitrice, a pieno titolo dipendente comunale, per contratto doveva dormire accanto al vano della ruota, per udire tempestivamente il vagito del bimbo che doveva accogliere per offrirgli le prime cure. All’occorrenza chiamava la balia, che teneva a disposizione, e lo faceva allattare. Appena possibile si recava in chiesa per il battesimo e autonomamente dava un nome e un cognome al bimbo.

A Pietraperzia il 22 maggio 1815, per la prima volta, si riscontra il nome della Rotara in occasione del battesimo somministrato al trovatello Calogero Vincenzo. A quella data Lorenza Puzzo aveva già compiuto 58 anni. Il sacramento fu celebrato da Don Vincenzo Toscano, Cappellano Sacramentale della Ven. Chiesa Madre. In quella circostanza, in assenza di altre persone, la stessa s’era prestata a fare da Madrina al piccolo.
Lorenza si era unita in matrimonio a Epifanio Puzzo il 15 Febbraio 1774, abitante in via Caterva n. 62, numero civico oggi non più verificabile per la nuova vigente toponomastica.
Era nata il 9 Agosto 1756 da Andrea e Filippa Bevilacqua con i nomi Francesca Paola Lorenza e concluse la sua vita terrena a 71 anni il 21 Aprile 1828 dopo avere dato alla luce e cresciuto otto figli tra cui Filippa che avrebbe “ereditato” lo stesso incarico della madre.
Il nome di Lorenza Puzzo si riscontrerà tante altre volte, fino al 20 settembre 1827 quando apparve per l’ultima volta per denunziare all’ufficio anagrafe il ritrovamento dell’ennesimo orfanello.

Filippa Arcadipane, figlia di Lorenza ed Epifanio Puzzo, nata il primo Aprile del 1785, il dieci Febbraio 1808 sposò Liborio Arcadipane ed il 15 agosto del 1828 venne selezionata a succedere alla madre. A quella data aveva già compiuto 43 anni ed era mamma di 3 figli di cui la più piccola aveva 5 anni.

Maria Cancemi, nacque l’11 Ottobre 1818 da Giuseppe e Giordano Maria, genitori nisseni, si riscontra la prima volta nel registro dei battezzati del 15 Marzo 1865. Di seguito a riscontro si riporta il particolare:
“15 Marzo 1865 io Sacerdote Pietro Nicoletti, Cappellano Sacramentale, ho battezzato un bambino, trovato oggi nella ruota di questo ospedale, a cui è stato imposto nome Giuseppe Jummo. Madrina fu Maria Cancemi, la stessa Rotaria”.

Antonnina Comunale, figlia di Gaetano e Giuseppa Madonia, nacque il 3 Dicembre del 1817, seconda di quattro figli, morì a 85 anni. il 9 Dicembre del 1902, dopo vere lavorato ininterrottamente alle dipendenze del comune fino alla vigilia della sua dipartita. Ebbe 3 figli tra cui Rosaria.

Rosaria Comunale, nacque il primo Luglio del 1844 da Antonina Comunale e da padre ignoto, sposò il 3 Novembre 1876 Filippo Russano ed ebbe due figli Giovanna e Filippo. Morì il 19 marzo 1925.

Giovanna Russano nacque il 22 Ottobre 1877, alla morte della mamma aveva già compito 48 anni e ritenuta idonea venne subito assunta dal comune con la qualifica di Rotara, restò in servizio fino alla soppressione dell’istituzione.

La ruota fu abolita nel 1923 e sostituita con il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini.
A Pietraperzia la Ruota, ubicata in Discesa Carmine, accanto all’ex ospedale Rosina Di Natale, continuò a funzionare anche dopo il 1931.

Giovanni Culmone




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28 marzo 2018

Trovatelli e Ruota di Pietraperzia: I "proietti" - 2^ Parte




A Pietraperzia è tuttora possibile monitorare il fenomeno dei proietti inclusi nell'elenco dei battezzati dei libri della Parrocchia Santa Maria Maggiore dal 1600 al 1950. Senza contare i neonati, privi di paternità certa, l’elenco degli abbandoni, molto elevato, evidenzia lo spaccato di miseria sociale di quegli anni oscuri. Il fenomeno, già molto antico, era diventato abominevole e disumano fin dal 1600. Alle sfortunate mamme, a volte vittime di stupri e di abbandoni, esposte alla riprovazione sociale e spesso ingiustamente ritenute responsabili di colpe non loro, venivano additate come “donna libera”, “meretrice” e altro d’irripetibile. Ai pochi bambini, ritrovati per caso e forse strappati temporaneamente alla morte, venivano appiccicati nomignoli spregiativi e denigratori: “bastardello”, “figlio dello Spirito Santo.
I trovatelli, proietti, esposti o come dir si voglia, i più fortunati registrati senza un cognome, diventavano esseri privi di dignità e di identità umana, abbandonati ai capricci della natura e consegnati all’oblio del tempo; era impossibile, come lo è ancora oggi, seguire il tracciato della loro vita per conoscerne il vissuto. Della maggior parte di loro e della stragrande maggioranza, venuta alla luce e mai registrata, nessuno saprà più niente. La magnanimità di alcuni, e ce ne sono stati tanti nel passato, disposti a farsi carico, per tutta la vita, di uno di questi derelitti, trovato per caso, non ha affrontato e tantomeno risolto l’antico e problematico fenomeno dell’abbandono. Nacque allora l’idea della “Ruota”, non come semplice attrezzo per recuperare nascituri, ma come struttura sociale finalizzata al recupero immediato dei proietti e poi alla loro crescita e al loro inserimento nel tessuto sociale.
Nel 1751 il viceré borbonico, Duca Laviefuille, sollecitato dai parroci dell’isola, cominciò ad interessarsi dei proietti. Tanti anni dopo, con la circolare del Marchese Fogliani pare che si abbia avuto voglia di affrontare definitivamente l’annoso e mai risolto problema. Il provvedimento incontrò non poche difficoltà applicative, specie nei piccoli comuni e si trascinò fino alla fine del secolo.
Tra il 1753 ed il 1768 la frequenza di bambini abbandonati e ritrovati ancora vivi diventa più frequente. In quegli anni era Parroco l’Arcipresbitero Don Michele Ramistella, da cui dipendeva il Santuario Madonna della Cava ed erano gli anni in cui le autorità centrali stavano intensificando gli sforzi per istituire la “Ruota dei proietti”. Qualcuno, a conoscenza del progetto e interessato a ridurre la piaga dell’abbandono, avrà illustrato favorevolmente la proposta della istituenda “Ruota”. Persone interessate, intuendo che a breve le proprie creature sarebbero potuto diventare ospiti della “Ruota”, si adoperarono ad abbandonarli in luoghi ritenuti sicuri e di facile ritrovamento, per evitare probabili attacchi di cani randagi o altri animali selvatici.
Dall'elenco dei battezzati, da cui questo lavoro trae tutte le informazioni, non si rileva, in quegli anni, l’esistenza di una sola organizzazione pubblica che si facesse carico del problema dei proietti. Solo madrine e/o padrini, presenti al rito del battesimo, solo rari  volontari disposti all'adozione, avrebbero potuto assumersi tale pesante onere per tutta la vita. Per i neonati abbandonati, senza fortuna d’incontrare persone motivate all'adozione, c’era la più totale indifferenza.
Sarebbe interessante capire perché degli 86 trovatelli registrati nell’arco di 26 anni, tra il 21 marzo 1756 e il 4 dicembre 1782, solamente 5 siano stati affidati ad una fantomatica ruota.
Con l'annessione del Regno di Napoli al Regno Italico (1806-1815) ad opera di Napoleone, la Ruota nel meridione, venne ufficialmente istituita in numerosi paesi del Sud per la tutela pubblica dell'infanzia abbandonata.
In realtà ruote degli esposti erano presenti a Catania, Messina, Napoli anche prima del 1800. In alcune grandi città o in centri abitativi più grossi esistevano dei brefotrofi che accoglievano anche bambini arrivati da lontano, portati da uomini prezzolati, ma pochi riuscivano a superare lo stress del trasporto. Contenuti in ceste di vimini, a volte portati a spalla, esposti alle intemperie, alimentati solo occasionalmente e in modo assolutamente incongruo, in condizioni igieniche spaventose, spesso eliminati per strada o gettati nei fossi come oggetti fastidiosi e ingombranti; quei pochi che sopravvivevano fino al brefotrofio spesso morivano poco dopo perché giunti in condizioni estreme.
La mortalità dei bambini abbandonati era altissima alla fine dell'ottocento; si stima che ne morissero all'incirca la metà nel primo anno di vita e un'altra metà prima del compimento del settimo anno.
Le ragioni di questo alto tasso di mortalità, in linea con quello di altri paesi europei, erano legate principalmente a due ordini di fattori: il periodo trascorso al freddo e la malnutrizione, oltre alle malattie infettive contratte nei luoghi di degenza.
La "Ruota" lasciava comunque i piccoli "esposti" al freddo anche se per un periodo di tempo minore rispetto ai tanti neonati lasciati davanti alle chiese; proprio da questa "esposizione" nacque il cognome Esposito che era dato a molti di questi infelici. E se nel napoletano era Esposito il cognome più adoperato per questi bambini, nel Lazio si utilizzava soprattutto Proietti derivante da "proietto" cioè gettato via.
In altre parti d'Italia, altri cognomi segnavano i bambini abbandonati: Colombo a Milano, Innocenti a Firenze, Della Scala a Siena e poi Trovato, Del Frate, in altre località.
Colei che per prima accoglieva il neonato, prestando le prime cure e scegliendo, nella maggior parte dei casi, il nome di battesimo, era la “pia ricevitrice”, una donna, spesso una suora, (a Pietraperzia era una donna con esperienza pluriennale di mamma) che aveva il compito, al suonare della campanella esterna, di prelevare i trovatelli dalla ruota.


Giovanni Culmone






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