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10 luglio 2018

Testimonianze: 1943, SFOLLATI DI GUERRA "A LI MINNITI"




Quando anche l'Italia divenne campo di battaglia e, nell'imminenza dello sbarco degli alleati in Sicilia, le incursioni aeree si fecero più frequenti e intense, moltissima gente lasciò il paese per cercare rifugi più sicuri nelle campagne, anche chiedendo ospitalità presso conoscenti o parenti. Allora, a li Minniti, ci raggiunse la zia Lucietta con tutta la sua famiglia. Con l'arrivo dei nuovi sfollati raddoppiò il numero delle persone e, di conseguenza, il fabbisogno di generi alimentari per sfamare tante bocche.
Per maggior sicurezza avevamo abbandonato la casa colonica e ci eravamo rifugiati nelle grotte, tra le rocce dove avevamo sistemato materassi e pagliericci vari.
La bisnonna  Francesca non aveva voluto seguirci: più rischioso sarebbe stato per lei muoversi tra i sassi e salire sino alle grotte che restare nella casa. Durante quei terribili mesi di paura la bisnonna non perse la sua serenità continuando a badare alle galline, a raccogliere le uova, a preparare la cagliata con il latte della capra. Gli adulti andavano e venivano dalla casa per accudire agli animali e provvedere a tutte le esigenze della numerosa compagnia; noi bambini, invece, quasi mai ci allontanavamo dalle grotte. La cosa che maggiormente ci metteva paura era il rombo degli aerei: appena li sentivamo arrivare correvamo velocemente ai rifugi, se ce ne eravamo allontanati di qualche metro. Ancora tempo dopo la guerra gli stessi tuoni durante i temporali ci facevano tremare dallo spavento.
Niente successe a nessuno di noi, per fortuna, ma spesso assistemmo a bombardamenti su Caltanissetta: sentivamo il frastuono delle esplosioni e notavamo le grosse nuvole di polvere dalla parte del cimitero della città. Una bomba sola cadde a metà strada tra la nostra casa colonica e la rrobba di li Minniti, che probabilmente avevano voluto colpire. Noi sentimmo il fortissimo boato e il rumore dei vetri andati in frantumi. Grande fu lo spavento di mamma e di zia Mariuccia che, all'interno della casa, in quel momento stavano scaldando il forno per cuocere il pane.
Nonna trascorse quella giornata in grande agitazione: zio Biagio, partito il mattino presto per andare al mulino per macinare del grano, tardava a tornare. La paura della nonna era che avessero bombardato anche il mulino e che allo zio fosse capitata qualcosa di grave. Si tranquillizzò la sera tardi quando lo zio tornò con il suo carico di farina. Noi bambini fummo i primi a dirgli della bomba. Solo dopo qualche giorno gli uomini andarono a vedere il grosso cratere che l'ordigno aveva provocato.

Ruderi del mulino di Marcatobianco - Pietraperzia

Non passarono più di due settimane dalla caduta della bomba che osservammo sbalorditi, da una purtedda all'altra del tratto di strada che vedevamo dalla casa (circa un chilometro o poco più), i soldati anglo-americani provenienti da Caltanissetta avanzare in una fila interminabile verso Pietraperzia, con le divise di colori diversi, cachi, color petrolio, grigio-verde, e notammo le piccole jeep americane che sembrava dovessero capovolgersi da un momento all'altro da come si muovevano veloci, quasi saltellando sui sassi della strada.
Dopo alcuni giorni tornò papà: era arrivato a piedi; ce lo vedemmo comparire improvvisamente dalla parte della piana del Salso. Scoprimmo che durante un bombardamento era stato ferito alla gamba e al braccio sinistro, dove aveva ancora una scheggia conficcata che si sentiva toccandolo. Niente di ciò ci aveva fatto sapere prima. Aveva portato con sé un commilitone, un certo Palazzetti, marchigiano, che aveva preferito restare ancora in Sicilia e accettare l'ospitalità che papà gli aveva offerto piuttosto che avventurarsi in un pericoloso ritorno a casa.

Truppe Anglo-Americane nella provincia di Enna

Infatti i tedeschi opponevano una forte resistenza all'avanzata degli alleati in Italia. Notammo che papà e Palazzetti erano stati seguiti da un grosso cane dal pelo fulvo, che essi chiamavano Churchill (non avevamo ancora le conoscenze necessarie per capire il motivo dell'attribuzione al cane di tale nome). Palazzetti rimase a li Minniti alcuni mesi, aiutando nei lavori della campagna e della stalla, poi decise di partire; di lui non sapemmo più niente. Il cane rimase con noi a far la guardia alla casa colonica.
Tornati in paese, conoscenti, ci raccontarono che erano cadute parecchie bombe e che avevano distrutto delle case. Per diversi anni dopo la guerra restarono ancora i ruderi di una casa in piazza Vittorio Emanuele col tetto sfondato, fino a quando la Società Militari in Congedo non acquistò il locale e vi costruì la propria sede sociale. Qualche tempo dopo sapemmo anche della disgrazia che aveva colpito la famiglia Culmone: una bomba a mano inesplosa, che bambini tante volte avevano preso in mano e si erano lanciata per gioco, questa volta era scoppiata vicinissimo a Salvatore, figlio di don Rusariu Ddoca e della maestra Torrenti, e ne aveva provocato la morte.(1)

Maria e Salvatore Giordano


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(1)     Il tragico evento è ricordato da Giovanni Culmone in Pietraperzia anni '40-Reminiscenze, 1996, p.10. Lo stesso, in ibidem, pp.31-38, racconta le giornate di luglio 1943, a Pietraperzia, attraverso una serie di testimonianze.

tratto da: PIETRAPERZIA n° 3 Anno V  Luglio/Settembre 2008