per gentile concessione di Paolo Cortesi
http://www.paolo-cortesi.com/racconti.html
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La
notte prima dell’incontro con Kradar, Antonio non dormì.
Non
dormì mai, neppure in quello stordimento pesante che spegne la coscienza e che
sembra affondare la mente in un nero senza fine.
Restò
sveglio, fervoroso, con dozzine di pensieri incalzanti, strani, irrefrenabili e
imprevedibili, ma tutti – al loro inizio o al termine – convergevano sulla
stessa domanda:
“Cosa
vorrà da me?”
Questa
angosciosa interrogazione subito ne portava un’altra:
“Come
ha fatto a sapere di me?”
Come
poteva l’uomo più ricco d’Italia sapere dell’esistenza in vita di Antonio
Mosca, che faceva il fornaio a San Leo?
Filiberto
Kradar era un padrone; aveva fabbriche e negozi, aveva ville, cavalli, barche,
un teatro e vigneti.
Stava
a Milano, in un palazzo che sembrava una reggia e che era stato fotografato per
La settimana Incom.
A
San Leo era arrivata una gran macchina americana lucida e nera, con le gomme
bianche; nella piazzetta d’acciottolato ci stava appena. Si fermarono tutti a
guardarla; la gente scendeva dalla bicicletta e restava a cavalcioni; le donne
uscivano dalle botteghe e anche i negozianti interrompevano la spesa e
scostavano la tende di perline, restavano sulla soglia e guardavano senza
parlare.
L’autista,
col berretto a visiera, rimase in auto. Due signori vestiti di scuro uscirono;
richiusero le portiere con un botto che pochi conoscevano. Un bambino si mise a
piangere. I due entrarono nel forno di Antonio Mosca. Le donne che compravano
il pane erano attonite.
-Scusi,
signore- disse un uomo con le spalle larghe e i denti radi. Si accostò ad
Antonio che stava dietro al vetro del bancone di mattonelle bianche.
-Lei
è il signor Antonio Mosca?- gli domandò.
Mosca
non rispose, sbarrò gli occhi e restò con un filoncino in mano. Guardò
implorante le donne che fissavano lui.
-Scusi,
parlo col signor Mosca Antonio fu Guglielmo?-
-Sono
io. Cosa volete?- rantolò il fornaio.
-Devo
recapitarle un invito da parte del commendator Kradar.-
-Kradar?…Quello
che… Kradar quello ricco?-
-Il
commendator Kradar – ripeté l’uomo in nero – la prega di recarsi presso il suo
ufficio centrale di Milano.-
Antonio
non capiva. Non udiva le parole, ma un ronzio basso da cui si staccarono solo
due suoni: Kradar e Milano.
L’uomo
si rese conto del caos di Antonio, allora ripeté l’invito più lentamente,
sillabandolo come se parlasse a un bambino; poi chiese:
-Lei
può venire domani a Milano?-
-Ma
come ci vado a Milano?- fece Antonio.
-Se
preferisce la accompagneremo noi in automobile. Partiremo domattina alle otto.
Va bene?-
Antonio
taceva, sempre col filoncino in mano e gli occhi disperati.
-Naturalmente
le sarà rimborsata la giornata di lavoro persa e anche il disturbo. Lei sarà
ospite del commendatore per tutto.-
-Tutto…-
ripeté inconsapevolmente il fornaio, con la voce strozzata.
-Allora,
signor Mosca, va bene? Partenza domattina alle otto. La passeremo a prendere da
casa.-
-Ma
sapete dove abito?-
L’uomo
in nero per la prima volta sorrise. Disse:
-Via
San Gregorio dodici, vero?-
Antonio
annuì. Se non avesse sentito in mano la forma e il peso del filoncino di pasta
dura, avrebbe pensato di stare sognando.
Accompagnato
dai due uomini vestiti di scuro, Antonio aveva attraversato sale di marmi e
percorso corridoi lunghi e scintillanti. Da molte porte aperte, aveva visto
segretarie austere e uomini tristi. Aveva visto tanti quadri, e scritte, e
mappe di città, disegni colorati, ma nella sua mente frastornata tutto si era
mescolato e trasfigurato in una indistinta chiarità riverberante.
Lo
fecero attendere in un salottino con gonfie poltrone azzurre. Su una parete
c’era la fotografia gigantesca del commendatore Kradar ritratto mentre baciava
la mano di papa Giovanni XXIII.
Sul
tavolino splendente come un largo cristallo c’erano riviste, bottiglie e
bicchieri, scatole di cioccolatini e portasigarette. Antonio osservava senza
comprendere.
L’uomo
in nero che lo aveva condotto là sfogliava un giornale; pareva fingere di
essere intento a qualcosa per non curarsi di lui.
Finalmente,
si accese una lucetta verde accanto alla porta e l’uomo in scuro balzò in
piedi, lasciò cadere il giornale sulla poltrona. Disse sottovoce:
-Prego,
mi segua.-
Poi,
fatti pochi passi verso una porta che stava all’estremità di un breve
corridoio:
-Parli
solo quando il commendatore le fa la domanda. Parli a voce bassa perché il
commendatore non sopporta le voci acute. Permette?- e si arrestò, facendo
fermare Antonio.
Dalla
tasca della giacca, l’uomo prese una boccetta di profumo e ne spruzzò qualche
goccia sul collo di Antonio.
-Scusi,
ma il commendatore ha un olfatto delicatissimo.-
Antonio
entrò in uno studio grande, dal soffitto alto decorato, con una grandiosa
vetrata dietro la scrivania di mogano alla quale sedeva Kradar.
Questi
era un uomo piccolo, calvo, grasso, con la faccia larga e lustra, gli occhiali
d’oro. Si alzò dalla poltrona e porse la mano ad Antonio, che sentì nella sua
delle dita piccole e grosse, un po’ fredde.
-Grazie,
signor Mosca, d’avere accettato il mio invito.-
-Grazie.-
mormorò Antonio.
Kradar
lo esaminò; ad Antonio parve che lui stesse confrontando l’uomo che vedeva con
quello che si era immaginato.
-Fatto
buon viaggio?- domandò il commendatore sorridendo.
-Sì
sì. Grazie.-
-Le
piace Milano? Eh? Visto che città?-
-Ma…
non saprei… ho visto poco…-
-Se
vuole, dopo la faccio accompagnare in un bel giretto turistico per tutta la
città. Vedrà che bella. Anche se San Leo deve essere un grazioso paese, vero?-
-Sì.-
-Dev’esserci
l’aria buona lassù, eh? Qui l’aria, certe volte, è un po’ sporchina, ma è
sporca di industria, di fabbrica, di opificio, cioè di lavoro. È il lavoro è
pane per tutti. Dico bene, sciur Antonio?-
-Sì
sì. È lavoro…-
-Dunque,
caro Antonio, lei ora vuole sapere perché l’ho fatta venire qua. Vero?-
-Sì.
Non so proprio cosa pensare, perché io…-
Kradar
mosse appena un dito delle mani che teneva giunte sulla scrivania. Antonio
zittì e il commendatore parlò più lentamente:
-Lei
ce l’ha un passatempo, Antonio?-
-Eh?
Come? Che cos’ho?-
-Lei,
dopo che ha lavorato al forno, che fa?-
-Io?
Io vado al caffè Turchini e vedo degli amici e magari giochiamo a carte.-
-Ecco.
Visto, Antonio? Il suo passatempo è giocare a carte con gli amici. Io ne ho un
altro, di passatempo. Io scavo dentro la gente.-
Antonio
pensò: “Questo è matto. Come faccio a tornare a casa da Milano?”
-Io
scavo nella vita delle persone.- riprese il commendatore, serio, quasi severo –
Vado fino in fondo, ne conosco tutto fin nei minimi dettagli. Scopro tutto di
loro, fin quello che loro stessi non sanno ancora o non ricordano più.-
-Vuol
dire che… ma che gente? Parenti? Amici? I suoi dipendenti?-
Il
commendatore sorrise.
-No.
Sa cosa faccio? Prendo a caso un elenco telefonico d’una provincia d’Italia.
Apro a caso. Butto un dito: trovo l’uomo ed è quello il mio oggetto di studio.-
-E
lei ha fatto così anche con me?-
-Sì,
Antonio. Ho trovato a caso Mosca Antonio panettiere di San Leo.-
-E
poi?-
-Ho
mandato i miei collaboratori a fare ricerche su di lei.-
-Ma
io non ho visto nessuno. Non ho parlato con nessuno e nessuno mi ha detto
niente.-
-Infatti.
Io faccio svolgere ricerche segrete e minuziosissime. Io so tutto di lei. Tutto
tutto.-
Aprì
un cassetto della scrivania; ne estrasse un fascicolo grosso come una scatola
da scarpe che posò sul tavolo.
-Guardi.
Qui dentro c’è tutto lei, Antonio. Dalla nascita, anzi da prima, perché ci sono
i suoi genitori. E c’è tutta la sua vita. Ma proprio tutta. Le cose belle e le
cose brutte.-
Kradar
sembrò avere un’espressione soddisfatta. Antonio guardò il fascicolo e domandò:
-Ma
perché lo fa?-
-Gliel’ho
detto: è il mio passatempo. Grazie a dio ho i mezzi per permettermelo. E non
bado a spese, sa? Pensi che per avere le confidenze di certi suoi amici ho
dovuto spendere fino a trecentomila lire.-
-E
cosa le hanno raccontato di me?-
-Tutto,
le dico. Tutto. Fin da quando marinava la scuola. Fin da quando era garzone del
fornaio Bortoli. Poi il fidanzamento con la Rosa, che poverina morì di
peritonite. Poi il servizio militare, a Caserta. Poi il matrimonio con la
Antonietta. Pensi: conosco persino quella storia poco piacevole di debiti, ma
non gliela voglio ricordare.-
-Debiti?-
fece Antonio.
-Col
farmacista Carli, che le prestò seimila lire. Poi litigaste.-
-Ah
sì sì. Carli. Roba vecchia.-
-Già.
Vede, Antonio, io sono il suo miglior biografo.-
-Cosa
vuol dire?-
-Che
potrei scrivere la sua vita tutta intera.-
-Ma
cosa può interessare a un gran signore la vita di un disgraziato come me?-
-Gliel’ho
detto: è il mio passatempo. C’è gente che legge i romanzi, ma sono solo storie
inventate. Io sono uno che bada al sodo; a me piacciono le storie vere. Mi
piace conoscere tutto di persone che stanno a centinaia di chilometri da me. Io
pesco un nome, e di quel nome voglio scoprire tutta l’esistenza. Nessuno ha
segreti per me, se voglio sapere tutto. Io pago quello che c’è da pagare ma
vado fino dove non arrivano nemmeno i carabinieri: scopro le magagne segrete, i
peccati grandi e piccoli, le cose belle e quelle vergognose. I miei romanzi
sono persone in carne e ossa. Siete voi.-
Antonio
vide gli occhi stretti e fermi di quell’uomo; non gli piacquero.
-E
lei fa venire a Milano tutti quelli che studia?- domandò.
-No.
Ho chiamato solo lei, da quando ho questo passatempo, e sono anni…-
-Perché
io?-
Il
commendatore premette un pulsante e si aprì in silenzio una porta a scomparsa.
Apparve un cameriere che accennò ad un inchino.
-Vuole
niente, Antonio? Un caffè? Un brandy?-
-No
no. Grazie.-
Kradar
mosse la mano e il cameriere sparì.
-Vede,
Antonio, io in tutti questi anni ho sempre trovato quello che cercavo. Non ci
sono mai stati segreti per me. Pensi che una volta mi sono fatto raccontare da
un prete quello che un tale gli aveva detto in confessione. Mi è costato due
milioncini tondi, ma ho saputo quello che volevo sapere. Capito?-
-Sì.-
-Le
dico che non ho mai dovuto tenermi una curiosità, Padri, madri, figli, mogli e
mariti, fratelli, tutti insomma mi hanno detto tutto di tutti. Io chiedevo il
prezzo e loro dicevano. Così ho saputo segreti che nemmeno può immaginare. Per
me non è questione di soldi, che grazie a dio non mi mancano. Per me è una
missione, un puntiglio; lo chiami come vuole. Io non sopporto di avere zone
vuote nei miei fascicoli. Se mi occupo di uno, io devo sapere tutto di lui,
come se fossi la sua coscienza. E in particolare voglio sapere quello che
nessun altro potrà sapere mai. Glielo ripeto: è il mio passatempo e ci spendo
quello che voglio. In fondo, c’è gente che spende i soldi alle partite, o per
il giardinaggio; non trova?-
-Sì.-
-Ecco.
Io spendo per il mio passatempo, che se vogliamo è anche una cosa seria, perché
mi interesso delle persone, mi avvicino alle loro piccole storie di umili, è
una cosa bella, no?-
-Sì.-
-Questo
glielo dico perché sia chiaro che non è questione di soldi. Quello che lei mi
chiede, io lo pago.-
-Ma
cosa vuole?- esclamò Antonio, che non badò a tenere bassa la voce.
-Antonio,
io ho saputo che nel 1951, nel… - il commendatore prese un foglio
dall’incartamento sulla scrivania; lesse – nel marzo del 1951 sua moglie ha
abortito. Però non ho potuto sapere niente sulla causa di quest’aborto. Ecco,
Antonio, io vorrei sapere perché sua moglie ha abortito. Cos’è successo? Una
disgrazia o un aborto procurato? Un figlio della colpa? Mi manca solo questo
tassello in tutta la sua storia. E io non ci posso restare con questa
curiosità. Mi racconti di questo aborto, mi dica tutto. Mi dica quanto le devo
per il disturbo, perché forse le farà dispiacere ricordare quella faccenda. Ma
lei sa che i soldi non sono un problema.-
Antonio
guardò la testa dell’uomo che stava seduto davanti a lui. Il cranio calvo e
lucido aveva l’aspetto dell’uovo di un uccello tropicale, con pomfi rossastri e
chiazze quasi ocra.
La
luce attraversava la cartilagine delle orecchie ed il colore che così avevano
ricordava ad Antonio carni di conigli spellati.
Antonio
fece:
-Ma…-
e sembrava un verso di animale, nemmeno una parola uscita dalla bocca d’un
uomo.
Kradar
sorrideva e aspettava.
Antonio
fece ancora:
-Ma
io… io…-
Il
commendatore sorrideva sempre, ma qualcosa nella sua faccia rivelava una certa
stizza: “così perdono la pazienza i ricchi”, pensò Antonio che fissava gli
occhi fermi dell’altro, le tre grinze parallele che segnavano la fronte come
tre crepe in un muro.
-Allora,
Antonio?- esclamò Kradar quasi festoso, ma si sentiva che non era abituato ad
aspettare così a lungo – Cosa c’è? Non ricorda? O pensa alla cifra?…- e rise a
bocca aperta, spingendosi all’indietro, avvolto dall’enorme schienale di cuoio
morbido della poltrona.
-Ma
io…vede, non saprei… Cosa devo dire?-
Il
commendatore balzò in avanti, forse spinto dal molleggio segreto della grossa
poltrona; rise ma non c’era nulla di lieto o amichevole in lui:
-Ohilà,
signor Antonio! Ma è così che lei vende il pane a San Leo? Eh? Così poco… così
poco sveglio, diciamo? Via, sciur Antonio! Non ha capito? Devo ripetere la
domanda?-
-No
no. Quella l’ho capita. È che…-
Kradar
aveva adesso un mezzo ghigno; non tentava neppure più di sembrare sorridente.
-Allora?-
incalzava – Allora? Via, diciamola questa cifra. Si vergogna? Guardi che siamo
solo io e lei. E non lo saprà mica nessuno!-
Antonio
alzò un po’ lo sguardo e vide la faccia del commendatore; i suoi occhi erano
come quelli dei serpenti tropicali che aveva visto in un film di Tarzan. Erano
mostruosi, perché erano occhi che avevano guardato solo bestie spaventate,
bestie che cercavano di fuggire e vivere.
Antonio
trovò il coraggio di alzarsi.
Kradar
lo osservò basito, come se il panettiere avesse preso fuoco all’istante, lì
davanti a lui.
-Mi
lasci stare.- disse Antonio, aveva la voce stanca, sembrava un vecchio – Non
voglio niente. Mi lasci stare. Buongiorno.-
Kradar
non disse nulla. Rimase a guardare l’uomo che usciva dalla stanza. Lo guardava
con occhi terrorizzati.
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