Visualizzazione post con etichetta Racconti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Racconti. Mostra tutti i post

19 novembre 2018

La strega. Ragionevoli dubbi di Alessia Borriello



Quando la vidi per la prima volta aveva gli occhi gialli. Era bassa in modo buffo, le gambe piccole zampettavano ossesse e lasciavano intravvedere il loro movimento. Ma spuntavano solo con le punte delle scarpine, dopo le onde di una gonna che sembrava un mantello. La gonna la copriva dalle spalle ai piedi, ma non si capiva dove iniziava. Si vedevano solo le scarpine finali. Il vestito assumeva una forma sferica, nell’insieme. Come una palla divinatoria. Ma lei, quando si muoveva, sembrava un astuto animale della fattoria. Andava dove trovava cibo.
Mi guardava spesso.

La prima volta che parlò disse cose che non capii. Non capivo perché mai fosse sincera. Impiegai cinque anni a comprendere che, infatti, era retorica. Quella retorica fu fondata in Grecia nel V secolo a.C. Vide in Gorgia il suo esponente più convincente. Da allora nessuna arma più pericolosa fu mai sperimentata. Lei la sapeva usare divinamente, nascostamente. Come quando muoveva le scarpine.

Diceva cose buffe, come lei, a cui era buffo credere. Era questo il pericolo: iniziarle a crederle, per gioco; finire col convincersi che quel che diceva era bello.
Era strana.

“Siete ragionevolmente certi che quel che fate è completamente inutile?”
Ma che buffa retorica.
Fu così che iniziai cinque anni di liceo classico.

Ogni giorno mi tuffavo in una stanza piena di luci e suoni distanti. Non voglio parlarne. La ricordo con questa distanza, e mi scotta, mi scotta il cuore. Parlare del liceo classico è impossibile, sadico. Ma anche il giorno allora era vissuto come distante da sé stesso. Quella distanza era riempita continuamente dalla sua voce, che diceva cose che nessuno avrebbe mai dovuto capire veramente. Oggi la distanza che pongo rispetto a quei giorni è mediata ancora da lei, dal suo ricordo, da ciò che ho capito di quella sua misteriosa figura, che è riuscita a manovrare il mio rapporto con la realtà. Per gioco o per magia. Che sono la stessa cosa.

Era magica. Entrava in classe con un andamento irriproducibile, e fingeva di entrare a casa sua. Dopo mezz’ora sembrava ridestarsi, ma la sua confidenza non era cessata. Eppure, quella non era improvvisazione. Ogni sua parola era già stata decretata molti anni prima, ma sembrava sempre sibillina e nuova.
Usava schemi formulari. Ripeteva gruppi di parole. Quando ripeteva un certo gruppo, lo studente poteva etichettare la situazione in cui si trovava. Ogni avvenimento era catalogato con le parole che lei gli dava.
“Siete ragionevolmente certi che…?” significava che stava per dire una cosa non del tutto ovvia; ma che lo poteva sembrare. Che poteva essere resa semplice. Bisognava seguire il suo ragionamento. Mi immaginavo sopra la sua testa un filo. Lei era così bassa perché aveva bisogno dello spazio anche per quel filo. C’era qualcuno a manovrarla. C’era qualcosa. Un segreto, un mistero.

Sapeva quando stava per piovere. Lo sentiva nelle ossa. Sapeva quali autori sarebbero stati sorteggiati per la versione scritta alla maturità. Sentiva anche loro nelle ossa.
Immaginavo le sue ossa come lunghi e tortuosi canali, pieni di buchi, annunciatori meteorologici, autori latini, che si aggrovigliavano sotto il suo vestito.
Era una strega. Fumava sempre, e si muoveva nella nube del suo fumo. Fumava come una turca e si vedeva dai denti, ma la voce, profonda, saliva dalla pancia, e non era roca. Era morbida, stregata.

Alessia Borriello