Visualizzazione post con etichetta Salvatore Marotta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Salvatore Marotta. Mostra tutti i post

10 marzo 2024

LA SICILIA DEGLI DEI. UNA GUIDA MITOLOGICA - Le recensioni di Salvatore Marotta

LA SICILIA DEGLI DEI
UNA GUIDA MITOLOGICA
Giulio Guidorizzi, Silvia Romani,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2022.


Viaggio nella Sicilia da leggere


La Sicilia è da sempre culla di storia, cultura, sapori, tradizioni, ma è anche la terra per eccellenza intrisa di miti e leggende. Si può dire che non ci sia luogo in Sicilia che non abbia alla sua origine un mito o una storia leggendaria da raccontare. Gli autori di questo bel volume pubblicato da Raffaello Cortina Editore, Giulio Guidorizzi e Silvia Romani avevano già pubblicato per lo stesso editore due libri: "In viaggio con gli dei. Guida mitologica della Grecia" e "Il mare degli dei. Guida mitologica alle isole della Grecia"; era dunque inevitabile una guida mitologica alla più grande isola del Mediterraneo che di miti ne ha da vendere. Ma il titolo non tragga il lettore in inganno perché non di soli miti si parla essendo il mito intimamente legato alla storia. Grazie a questa guida potremo meglio conoscere e apprezzare con uno sguardo nuovo il significato di luoghi, paesaggi, monumenti e reperti e godere di un'esperienza di viaggio più consapevole. Gli autori attraversano la Sicilia sulle tracce dei miti e delle storie in un viaggio che parte dalle "terre di vento e di fuoco", le Eolie, dove un re leggendario di nome Liparo diede il nome a Lipari. Per i Greci era il luogo dove aveva sede il signore dei venti, Eolo, dove un giorno approdò Ulisse con i suoi uomini dopo essere sfuggiti ai massi del Ciclope Polifemo. Ci spostiamo a Messina dove troviamo Scilla e Cariddi, un mostro dalle tante teste e un gorgo che avviluppa e poi espelle. Ci avviciniamo a Taormina e alla riviera dei Ciclopi. Goethe definì il teatro di Taormina "Il più grande capolavoro dell'arte e della natura". Abitata in origine dai Siculi, i Greci si stanziarono sulla costa, a Naxos, che fu la prima colonia fondata nel 734 a.C. Siamo sulla riviera dei Ciclopi e la leggenda di Aci e Galatea ci spiega perché nove località iniziano con il nome di Aci. Poi c'è Catania, ricca di fascino e mistero, con il suo Liotru, la fontana dell'elefante simbolo della città e con la leggenda di via Crociferi; a Santalfio, sulle pendici orientali dell'Etna, troviamo "il castagno dei cento cavalli", un albero maestoso, probabilmente l'albero più antico d'Europa. Saliamo sull'Etna dove vive un gigante mostruoso, Tifone, ma anche il dio fabbro Efesto forgia nel fuoco i metalli in compagnia dei Ciclopi. Seguiamo la vicenda storica di Siracusa, "Atene di Sicilia", una delle città più potenti dell'antichità, patria del grande scienziato Archimede, che con i suoi marchingegni difese la città dall'assedio dei Romani. Ortigia è da sempre il cuore di Siracusa, terra di ninfe, di risorgive, di acque come il fiume Ciane che alla foce incontra l'Anapo e in questo modo i due fiumi rinnovano la promessa nuziale. Un'altra ninfa, Aretusa, era stata trasformata in fonte da Artemide e insieme a Ciane sta a guardia del porto di Siracusa. Come non accennare al magnifico teatro, dove tra maggio e luglio ogni anno migliaia di spettatori assistono alle rappresentazioni del dramma antico e allora sì che si percepisce concretamente che gli dei non hanno mai abbandonato la Sicilia e che il mito si fa storia. E i tesori custoditi nel museo archeologico Paolo Orsi...soltanto la Venere Landolina merita da sola una visita. Certo, il capitolo dedicato a Siracusa è il più corposo di tutto il libro perché non si finirebbe mai di parlare di questa città e dei suoi tesori archeologici ed artistici, delle sue mille storie. "Siracusa è il posto - scrivono gli autori- in cui due amici si possono dare un appuntamento davanti al tempio di Apollo, come a Londra se lo darebbero a Piccadilly Circus o a Parigi a Place de la Concorde". Nell'entroterra, a Enna, principale sede del culto di Demetra/Cerere dove c'era il santuario più venerato della dea, e dove sulle sponde del mitico lago di Pergusa, Ade, il re dei morti, rapì Persefone/Proserpina/Kore. A lei è dedicata l'Università di Enna, ancora una volta il mito si fa storia e vive nell’attualità della più importante realizzazione culturale della nostra provincia. Si può andare oltre senza nominare i mosaici di Piazza Armerina e il museo di Aidone dove ha fatto ritorno la bellissima dea di Morgantina? Qui si scopre un giallo internazionale di furti di opere d'arte che coinvolsero illustri personaggi e collezionisti. Agrigento con la sua Valle dei templi o Selinunte con il suo parco archeologico più grande d'Europa e tanti altri luoghi famosi o meno che tralasciamo per motivi di spazio. Il viaggio si conclude a Palermo, Panormos, la città "tutta porto". Un accenno soltanto al suo genio protettore, il famoso "Genio di Palermo" sulla cui origine e identità non si sa nulla di preciso ma che viene raffigurato ovunque. Nella fontana di Villa Giulia il Genio mostra tutta la sua imponenza e magnificenza:" la statua, realizzata in marmo bianco di Carrara nel 1778 da Ignazio Marabitti, raffigura un sovrano possente con un cane ai suoi piedi a rappresentare la fedeltà. Un'aquila spalanca le ali al suo fianco; alle sue spalle da una roccia pende una cornucopia simbolo di buona fortuna e di abbondanza; in un ramo stringe un serpente che gli si avvita in spire lungo tutto il corpo". Pensiamo che gli autori siano nel giusto nell'accostare il Genio a Saturno, il signore dell'Età dell'oro, la cui iconografia non era molto diversa da quella del Genio di Palermo e stava a simboleggiare un tempo felice in cui la terra offriva i suoi frutti e non c'erano le malattie e la morte. In questo senso il Genio è il ricordo di un'età favolosa e la speranza di un ritorno agli antichi splendori.
In conclusione non possiamo che raccomandare la lettura di questo splendido volume, peraltro riccamente illustrato da disegni e fotografie, a tutti gli amici sinceramente innamorati della Sicilia.



04 marzo 2024

VIAGGIO NELLA SICILIA DA LEGGERE - Le recensioni di Salvatore Marotta

Il colpo di spugna.
Trattativa Stato-Mafia:
il processo che non si doveva fare"

Nino Di Matteo, Saverio Lodato,
Edizioni Fuoriscena 2024.


"Il colpo di spugna. Trattativa Stato - Mafia: il processo che non si doveva fare" è un libro intervista del magistrato Nino Di Matteo, attualmente alla Direzione nazionale antimafia e all'epoca Pm di punta del processo Stato -Mafia, assieme a Saverio Lodato, giornalista e scrittore tra i più esperti di mafia, antimafia e Sicilia. Il libro si oppone al vero e proprio "colpo di spugna" sulla trattativa in seguito al verdetto assolutorio della Cassazione. Di Matteo dice che le sentenze si rispettano ma si possono criticare e il magistrato esercita il diritto di critica senza timori reverenziali e senza peli sulla lingua accusando la sentenza della Cassazione:" Poche pagine pretendono di smontare la valenza probatoria di fatti emersi in anni e anni di lavoro". E ancora:" Con un vero colpo di spugna la Cassazione spazza via tutto, anche fatti che in realtà neppure considera, preferendo semplicemente ignorarli". L'intervista ripercorre questi fatti in modo puntuale, il libro risulta un vero vademecum sull'intera vicenda processuale. Ma cosa s'intende per "trattativa Stato-Mafia"? S'intende l'aver instaurato un canale di comunicazione da parte degli ufficiali del ROS dei carabinieri Subranni, Mori e De Donno, grazie a Vito Ciancimino, con i capi di Cosa Nostra "volto a sollecitare eventuali richieste per far cessare la strategia omicidiaria e stragista". In sostanza, mi alleo con Provenzano per fermare Riina. Ebbene, questo patto scellerato tra uomini dello Stato e la mafia ci fu altrimenti non si spiegherebbe la mancata cattura di Provenzano e la protezione della sua latitanza e soprattutto non si spiegherebbe la scandalosa mancata perquisizione del covo di Totò Riina consentendo ai mafiosi di portar via i segreti del capo mafia e centinaia di documenti scottanti compresa, con ogni probabilità, la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino. Che la trattativa non sia stata "fuffa dell'antimafia "lo ha stabilito la sentenza di primo grado che dopo cinque anni di processo, il 20 aprile 2018, la Corte presieduta da Alfredo Montalto " riconosceva in pieno la fondatezza dell'ipotesi di accusa e condannava Bagarella a 28 anni di reclusione, Cinà, Dell'Utri, Mori e Subranni alla pena di 12 anni, De Donno e Massimo Ciancimino (che rispondeva di calunnia in danno di Gianni De Gennaro) a 8 anni di carcere. Con una motivazione particolarmente analitica e approfondita la Corte spiegava, tra l'altro, che gli ufficiali del ROS dei carabinieri e Dell'Utri avevano svolto in tempi diversi - 1992 e 1993 Subranni, Mori e De Donno; 1994 Dell'Utri - il ruolo di istigatori e agevolatori, sollecitando i boss mafiosi a formulare e inoltrare le richieste di benefici in cambio della cessazione della strategia di violento attacco allo Stato". Tre anni dopo, però, la sentenza viene ribaltata i giudici d'appello assolvono Subranni, Mori e De Donno perché "il fatto non costituisce reato" e Dell'Utri " per non aver commesso il fatto". Intendiamoci, la sentenza d'appello non nega la trattativa ma spiega che essa, anche se "improvvida", fu fatta a fin di bene, per evitare altre stragi. Una cosa davvero inquietante. "E proprio per questa ragione - spiega Di Matteo- per evitare che diventasse definitiva una sentenza che, pur assolutoria nei loro confronti, sanciva verità così imbarazzanti, i carabinieri proponevano ricorso per Cassazione". E così si arriva alla sentenza della Cassazione che il 27.04.2023 assolve Mori, De Donno e Subranni non più perché "il fatto non costituisce reato " ma "per non aver commesso il fatto ". Le motivazioni della sentenza saranno espresse in 91 paginette a fronte delle 5237 pagine della sentenza di primo grado e delle 2971 pagine della Corte d'appello. Il colpo di spugna è stato dato sembra verificarsi quello che diceva Leonardo Sciascia:" Se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia dovrebbe suicidarsi".



12 febbraio 2024

RACCONTI DI MINIERA - Le Recensioni di Salvatore Marotta

Racconti di miniera
Storie vere di gente di zolfara

Mario e Laura Zurli
edizioni Lussografica 2008.


"Racconti di miniera", il libro di Mario e Laura Zurli, ha il merito di rievocare e ricostruire la memoria di una civiltà scomparsa, quella della zolfara. Mario Zurli, umbro di origine e nisseno di adozione, racconta i fatti personalmente vissuti in tanti anni di lavoro come funzionario tecnico amministrativo nelle diverse miniere di zolfo fra le province di Caltanissetta, Enna ed Agrigento, dov'erano racchiusi i giacimenti zolfiferi più ricchi del mondo. Nella prima parte del libro si traccia una storia delle zolfare siciliane, una storia durata 250 anni e conclusa soltanto nel 1985 quando vennero chiuse tutte le miniere di zolfo siciliane. Una storia lunga e tragica, fatta di sfruttamento e condizioni lavorative indicibili. Basti pensare ai famosi "carusi", ragazzini che lavoravano anche 12 ore al giorno trasportando sulle spalle un sacco carico di materiale scavato nelle gallerie dove il calore poteva arrivare a superare anche i 50 gradi. Una storia costellata di molti lutti e incidenti, come quello immane del 1881 dove perirono 65 minatori nella miniera Gessolungo in provincia di Caltanissetta, tra cui 19 "carusi". Gli autori fanno rivivere i drammi, le tensioni, le emozioni di quel mondo, come nel racconto "Tatò e Tatò", primo classificato al Premio letterario nazionale 1998 città di Cassino. Tatò e Tatò erano padre e figlio personalmente conosciuti da Mario Zurli. Un giorno furono trovati morti a causa dell'idrogeno solforato, un gas inodore mortale. Nel libro trovano spazio anche i racconti di vita paesana siciliana, per rendersi conto del contesto culturale e socioeconomico della Sicilia degli anni Cinquanta e oltre. Nelle zolfare trovarono lavoro migliaia di lavoratori siciliani, ma a quale prezzo e a quali condizioni! Quel mondo, quelle sofferenze per molto tempo sono finiti nell'oblio, ma è giusto conoscerle perché rappresentano, come scrive la professoressa Fiorella Falci nella prefazione "una tragedia esistenziale e collettiva che ha costretto per due secoli un intero popolo a danzare ogni giorno con la morte: e questo spiega tanto di noi, oggi, le nostre paure e il nostro coraggio, la viltà e il gusto della sfida, la nobiltà e la miseria che si risvegliano ancora nella nostra esperienza contemporanea senza dichiarare la loro origine, ma come una forza primigenia, di cui possiamo ritrovare e comprendere la radice, anche attraverso queste pagine".



08 gennaio 2024

PICCOLA PRETURA (IN NOME DELLA LEGGE) - Le Recensioni di Salvatore Marotta

PICCOLA PRETURA (IN NOME DELLA LEGGE).
Giuseppe Guido Loschiavo
Aulino editore, Sciacca 2019.

 

La riscoperta letteraria del romanzo autobiografico "Piccola pretura" del magistrato scrittore Giuseppe Guido Loschiavo si deve all'editore Aulino di Sciacca che nel 2019 ha curato la pubblicazione di una nuova edizione. Da questo romanzo, pubblicato nel 1948, fu tratto il famoso film di Pietro Germi "In nome della legge" (1949) abbastanza aderente al testo originale e che vinse tre Nastri d'argento. Loschiavo ambienta la vicenda del romanzo nel 1921 con chiaro riferimento alla sua esperienza di giovanissimo pretore a Barrafranca, nell'ennese. La trama. Il giovane pretore Guido Schiavi (chiaro il riferimento autobiografico) arriva nel paesino di Capodarso (in realtà Barrafranca) per assumere la direzione della locale pretura, lasciata dal suo predecessore "scappato" da quel luogo infido dopo appena tre mesi. Particolareggiata, nel romanzo, la descrizione del paese, dei vari quartieri e della popolazione "quasi tutta composta da braccianti agricoli e da zolfatai, ogni mattina e ogni sera percorreva a piedi da tre a cinque ore di strade per recarsi al lavoro e ritornare a casa". "In questo ambiente interessi particolari e generali, bizze ed odio, gelosie e rancori, femmine e bestie, formavano oggetto quotidiano di improvvise esplosioni di matta bestialità. Inesorabilmente nella notte dal sabato alla domenica venivano eseguite le sentenze della mafia. Così, di solito. Negli altri giorni la malavita spicciola e i banditi organizzati commettevano ruberie ed assasdinii". Da subito il pretore deve cercare di risolvere i primi omicidi, nel giorno stesso del suo arrivo, ma si scontrerà con l'assoluta omertà della popolazione. Da troppo tempo la "legge" viene riconosciuta nel capomafia massaro Turi Passalacqua e nel barone Lo Vasto. Le uniche persone in cui il pretore troverà conforto sono il maresciallo dei carabinieri, un giovane contadino di nome Paolino, e Teresa, la moglie del barone, per la quale Guido Schiavi prova subito un'attrazione (corrisposta). Quando il pretore cerca di far riaprire la miniera amministrata dal barone che ha lasciato nella disperazione duecento famiglie avviene un durissimo scontro con il signorotto del luogo, il quale cerca inutilmente di corrompere il pretore. Lo scontro con il barone gli costerà le rampogne del Procuratore "Perché si preoccupa tanto della causa civile della zolfara di Galati? Che interesse ha? Come si è permesso di recarsi in casa del Barone e insultarlo?" e anche un attentato dal quale per fortuna uscirà solo ferito. Avvilito e sfiduciato da tutte le ostilità subite il giovane pretore pensa di andarsene, ma la notizia dell'assassinio del fidato amico Paolino ad opera del mafioso Ciccio Messana per una vendetta privata (entrambi si contendevano una ragazza innamorata di Paolino) induce il pretore a restare e a compiere fino in fondo il proprio dovere, costi quel che costi. Guido Schiavi convoca la popolazione, nel libro l'incontro si svolge nel pretorio, nel film in piazza dopo aver fatto suonare le campane a martello. Il suo è un atto di accusa a tutto il paese, un vero e proprio "processo": "Voi, che invece di aiutarmi a svolgere il mio compito, mi avete considerato un nemico della vostra pigrizia. Voi, che avete creato mille ostacoli al mio lavoro, che mi avete osteggiato come e quando avete potuto, che mi avete disprezzato e ignorato, denunciandomi come un perturbatore della vostra comoda quiete. Voi tutti, uomini e donne, che vi siete lasciati avvilire dalla paura anche quando si trattava di scoprire e punire gli assassini dei vostri figli, che avete tentato di sopraffare la legge persino quando difendeva i vostri interessi". Il messaggio sembra essere capito dal capomafia Turi Passalacqua che ordina ai suoi scagnozzi di consegnare all'autorità legittima Ciccio Messana. Così il pretore arrestandolo può pronunciare la fatidica formula "In nome della legge". Occorre dire che il romanzo e il film rappresentano la prima opera letteraria e cinematografica che affronta per la prima volta il tema della mafia, primato erroneamente attribuito spesso a "Il giorno della civetta" di Sciascia. Certo, le parole usate nel romanzo con cui il pretore riconosce in Turi Passalacqua " il vero re del paese" sono oggettivamente infelici e hanno dato adito ad alcuni di criticare il messaggio trasmesso, come di una specie di "riconoscimento" del potere del capomafia, anche se, a volerla dire tutta, Passalacqua rappresenta la figura del "pentito" ante litteram. Così, infatti, fu descritto a Buscetta dai mafiosi che giudicavano il suo comportamento indegno di un "uomo d'onore".Noi crediamo che ogni cosa per essere davvero capita vada collocata nel periodo in cui viene prodotta e quando uscì il romanzo molti negavano addirittura l'esistenza della mafia! Nel film, invero, il messaggio è chiaro: il pretore guarda negli occhi Turi Passalacqua e ribadisce: "IN NOME DELLA LEGGE!".


20 novembre 2023

Miseria e nobiltà in Sicilia - Le Recensioni di Salvatorte Marotta

Miseria e nobiltà in Sicilia
Antonino Cangemi
Navarra editore, Palermo 2019.

 


In un vecchio numero di Meridiani dedicato alla Sicilia, uno dei più belli in assoluto, lo scrittore Gesualdo Bufalino si chiedeva quale fosse "il segreto di gente tanto dispari" e metteva in risalto le numerose contraddizioni, anzi gli opposti, di una Sicilia che Bufalino definiva "terra degli eccessi". È assumendo questa panoramica che Antonino Cangemi ha scritto questo godibilissimo libro "Miseria e nobiltà in Sicilia" che reca come sottotitolo "Vite di aristocratici eccentrici e poveri talentuosi". Dalla rivolta dei Vespri fino alla seconda metà del Novecento, l'autore traccia il profilo di aristocratici e di poveri o poveracci che in ogni caso sono accomunati dall'essere eccentrici o talentuosi o entrambe le cose. "Nel raccontare le vite di uomini e donne comunque affascinanti - scrive Cangemi nell'Introduzione- si è tentato di trovare un equilibrio tra gli aspetti più esteriori, che ne mettono in risalto curiosità e suggestioni, e quelli interiori che, nel rispetto delle persone, danno rilievo ai tratti più intimamente umani. Almeno, ci si è mossi con questo proposito. Se raggiunto o meno, giudicheranno i lettori". A nostro avviso, pienamente raggiunto. Il primo ritratto degli aristocratici eccentrici riguarda il barone Pietro Pisani che nel 1824 venne nominato deputato all'Ospizio dei Matti di Palermo. Pisani denunciò subito le condizioni inaccettabili in cui erano ammassati i malati e il loro trattamento disumano e alle parole fece seguire i fatti. Debellato l'uso di catene e bastoni, si iniziò a dividere i malati per tipologie patologiche, si migliorò il vitto e iniziarono le prime pratiche ricreative; in seguito venne approvato un minuzioso regolamento riguardante sia gli aspetti organizzativi che il trattamento dell'alienazione mentale e fu ristrutturato l'edificio per rendere i locali più accoglienti, confortevoli, gradevoli e funzionali alla terapia. Nel giardino venne addirittura costruito un teatro. Col passare degli anni la Real Casa dei Matti di Palermo diventò famosa destando interesse e curiosità e furono in tanti a visitarla, nel 1827 arrivò il duca di Buckingham che rimase sbalordito dall'accoglienza degli stessi malati; le visite si intensificarono finché nel 1835 arrivò il visitatore più famoso, Alexandre Dumas che ne fece cenno ne "Il conte di Montecristo". Due anni dopo a Palermo scoppiò la peste e il 6 luglio 1837 il barone Pisani si spense e con lui finì anche la felice stagione della Real Casa dei Matti. Nello spazio di una recensione non possiamo nominare tutti, tra i tanti personaggi di cui si parla ricordiamo il principe Raniero Alliata di Pietratagliata, cultore di esoterismo e per questo soprannominato "il principe mago", ma Raniero Alliata viene ricordato per la sua passione e competenza per l'entomologia e per la sua eccezionale collezione di insetti che si può ammirare presso il museo regionale di Terrasini; Franca Florio, la "regina di Palermo", la donna più bella d'Europa, corteggiatissima e ammirata ,la cui fortuna fu legata al matrimonio con Ignazio Florio junior. Ma è possibile passare dall'estrema ricchezza alla tristezza delle ristrettezze economiche? Da Villa Igea ad una casa presa in affitto? Una favola amara quella toccata a Donna Franca e al marito rampollo di una famiglia che aveva ottenuto tutto e si ritrovò dopo tre generazioni al punto di partenza. In maniche di camicia. La galleria di personaggi è davvero ricca, ci sono i poeti Lucio Piccolo di Calanovella, cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, da qualche tempo riscoperto, Antonio Veneziano e quel famoso Petru Fudduni, autentico genio dell'improvvisazione poetica, famose sono rimaste le sue battute taglienti e le sfide a suon di versi con gli altri poeti che Fudduni vinceva regolarmente. La sua storia cammina tra leggenda e realtà, alla fine di un'esistenza turbolenta si dedicò ad un'opera su Santa Rosalia per la quale nutriva un'autentica venerazione. E ancora, apprendiamo la storia di Filippo Bentivegna e del suo "castello incantato", un museo a cielo aperto fatto di teste scolpite sulle pietre e negli alberi; e avete mai sentito parlare di Francesco Procopio dei Coltelli, inventore del gelato? Fu lui a fondare nel 1686 il caffè Le Procope, la prima gelateria di Parigi. A contendersi l'inventore del gelato sono Palermo e Aci Trezza, ognuno ne rivendica la paternità. Ma forse una via di mezzo c'è e potrebbe accontentare entrambi: Francesco Procopio sarebbe nato a Palermo e in seguito si sarebbe trasferito ad Aci Trezza. In questa galleria non potevano certo mancare i briganti e non poteva mancare il più famoso di essi: Antonino Di Blasi detto Testalonga di Pietraperzia. L'ultimo capitolo del libro è dedicato a lui. La banda Di Blasi, insieme agli uomini di Romano di Barrafranca e Guarnaccia di Regalbuto controllava buona parte del territorio siciliano. Nel ripercorrere sinteticamente la storia del bandito, della cattura della banda e quell'orribile fine che gli riservò il potere dell'epoca, l'autore cita la giovane studiosa pietrina Anna Marotta che al bandito ha dedicato una pregevole opera:"Il bandito Testalonga" . L'autore conclude citando la lotta senza quartiere tra il vicario Giuseppe Lanza di Trabia e Testalonga, ma mentre del vicario nessuno si ricorda, Testalonga è diventato protagonista di narrazioni di ogni genere. Insomma, alla fine ha vinto lui perché "U cavaddu bbonu si vidi a cursa longa".

Vizi e virtù, avventure e follie, creatività, estro, talento, miseria e nobiltà. Sono i personaggi che ci racconta Antonino Cangemi e nel farlo ci racconta l'anima della Sicilia.



22 ottobre 2023

L’INCUBO PASQUASIA. Veleni & Misteri – Le recensioni di Salvatrore Marotta

 



Maurizio Di Fazio,
L'incubo Pasquasia. Veleni & Misteri

Bonfirraro editore, 2013.



Il libro di Maurizio Di Fazio ricostruisce la storia della miniera di Pasquasia dagli inizi della sua attività nel 1959 fino alla chiusura avvenuta nel 1992 e ne segue le vicende fino alla data di pubblicazione del libro nel 2013. Una storia lunga, complessa e piena di misteri mai definitivamente chiariti. La miniera di Pasquasia, in provincia di Enna, ha rappresentato per decenni una delle principali fonti di occupazione per le province di Enna e Caltanissetta. Nel 1992 la miniera chiude inspiegabilmente nonostante la società gestore, l'Italkali, fosse la terza fornitrice mondiale di sali potassici e avesse ancora davanti molti anni (almeno trenta) di potenziale attività. Fatte le debite proporzioni è come se a Torino avesse chiuso la Fiat. Ma il 1992 è anche l'anno in cui il mafioso Leonardo Messina si pente e inizia a collaborare con la giustizia. Dalle sue dichiarazioni scatterà "l'Operazione Leopardo" con centinaia di arresti in tutta Italia. Messina, che ha lavorato come caposquadra nella miniera di Pasquasia, racconta anche che all'interno di essa sono stati stoccati rifiuti radioattivi. Da allora i veleni e i misteri di Pasquasia non sono mai stati chiariti. Certo, l'incidenza notevole nella popolazione ennese di malattie tumorali in una provincia priva di industrie e di fonti inquinanti ha rafforzato in molti la convinzione che rifiuti pericolosi siano stati occultati nelle viscere della miniera. Ancora oggi c'è chi è convinto che la miniera sia stata chiusa per farne un deposito di scorie nucleari e chi invece ritiene semplicemente che la sua chiusura abbia avvantaggiato i colossi francesi e tedeschi. Nel 2008 fu istituita da parte della Provincia Regionale di Enna una commissione d'inchiesta su Pasquasia presieduta dal consigliere provinciale barrese Giuseppe Regalbuto, purtroppo morto prematuramente qualche anno fa. Il giovane politico barrese diede un grande impulso ai lavori della Commissione e ne fece un cavallo di battaglia, avvalendosi della collaborazione, tra gli altri, del fisico nucleare Fulvio Frisone, il quale non ha rilevato nel sito la presenza di radioattività. Anche il presidente della commissione Regalbuto, dalla documentazione in suo possesso e considerata "la mancata resistenza alle indagini da parte della commissione da me presieduta e per ultimo l'inizio della bonifica confermano l'assenza di scorie nucleari" come lo stesso ha affermato in un'intervista rilasciata all'autore del libro. La commissione chiuse la sua attività dopo due anni di intenso lavoro ed ebbe sicuramente il merito di aver riacceso i riflettori sul problema Pasquasia determinando l'iter per la bonifica del sito. Infatti il sito una volta chiuso versava da anni in uno stato di totale abbandono con tonnellate di amianto ammassate in superficie che ne facevano una "bomba ecologica". Anche la questione della bonifica è stata tutt'altro che lineare e trasparente, anzi esattamente il contrario! Nel 2016 l'area è stata sequestrata da parte della magistratura che ha emesso provvedimenti giudiziari nei confronti della ditta che doveva occuparsi della bonifica per questioni di tangenti e diverse irregolarità tanto da far dire agli inquirenti che a Pasquasia più che una bonifica era in atto un vero e proprio sacco. Nel 2020 c'è stato il dissequestro e solo di recente è potuto ripartire da parte della Regione siciliana l'iter per un nuovo affidamento per poter finalmente bonificare l'area. Sarà la volta buona? Ce lo auguriamo insieme alla possibilità che la miniera possa in futuro riaprire visto che sarebbe redditizio non solo mettere in commercio i sali potassici, ma ancor più vantaggioso si presenterebbe la commercializzazione del magnesio metallico. Questo comporterebbe secondo gli studi un impiego di mano d'opera che va da mille a oltre duemila posti di lavoro.




07 settembre 2018

IL BANDITO TESTALONGA. LA RESISTENZA DI UN VINTO.


Un libro di ANNA MAROTTA, 
Giambra Editori,
prima edizione giugno 2018.


Come dimostrano i dati del mercato editoriale italiano degli ultimi anni, i piccoli e medi editori crescono dimostrando serietà e vivacità culturale, certamente salutari in un panorama spesso viziato dal conformismo. E proprio da questi editori coraggiosi ci arrivano autentiche perle come questo libro di Anna Marotta dedicato al famoso bandito
Testalonga. Il saggio nasce come Tesi di laurea dal titolo "Il bandito Antonino di Blasi alias Testalonga" (1728-1767), a conclusione del corso di laurea in Filologia Moderna, conseguito nel 2016 con il massimo dei voti e la lode presso l'Università degli Studi di Catania. Il valore aggiunto del libro consiste nell'aver coniugato il rigore delle fonti con lo stile narrativo. Lo storico/detective dovrà dipanare un'intricata matassa, dove non solo storia e leggenda sono intimamente intrecciati, ma dove il confine tra legge e fuorilegge risulta, come vedremo, assai labile.
Per prima cosa, l'Autrice descrive il contesto storico, politico e sociale nel quale il protagonista, anzi, i protagonisti si trovarono a vivere ed operare: il bandito Testalonga, il suo "antagonista", il viceré Fogliani, i nobili, il popolo e colui che nel libro viene chiamato "l'alter ego" del bandito, che "nel tormentato inseguimento tra guardia e ladro , si scontrò con qualcosa più grande di lui che non avrebbe mai immaginato", il principe di Trabia Don Giuseppe Lanza, nominato Vicario dal viceré con l'incarico di catturare Antonino di Blasi e la sua banda.
Nella Sicilia del Settecento si susseguono ben quattro dominazioni: quella spagnola, sabauda, austriaca e infine borbonica, ma per i siciliani cambiava poco o nulla essendo semplici pedine nelle mani dei potenti e succubi di un sistema dove imperavano i privilegi e gli abusi nobiliari e l'oppressione tributaria e dove anche la natura faceva la sua parte con catastrofi, epidemie e carestie di raccolti, come la crisi del grano del 1763. Sono proprio gli anni in cui il di Blasi si diede alla macchia. Intanto, una precisazione terminologica e storica: banditismo e brigantaggio sono due fenomeni diversi, anche se spesso vengono confusi. Tra il Cinquecento e il Settecento venivano chiamati "banditi" coloro che erano colpiti dal bando, cioè da un decreto di espulsione dalla comunità; il brigantaggio fu fenomeno successivo e più complesso, che interessò migliaia di persone che non possono essere sbrigativamente e sommariamente liquidate come "delinquenti", ma che ebbe il carattere di una vera "insorgenza", dapprima contro i francesi e il giacobinismo e che esplose soprattutto dopo il 1860 contro uno Stato che evidentemente in troppi percepivano come oppressore e invasore. Contro banditi e briganti il potere rispose con una repressione cieca e selvaggia, fatta di torture, esecuzioni sommarie, teste mozzate e corpi smembrati. Una triste pagina di storia che solo di recente è stata raccontata anche "dalla parte dei vinti". L'altra faccia di questa feroce repressione era rappresentata dal compromesso, dallo scendere a patti con i malviventi da parte di molti settori "altolocati" della società.
Antonino di Blasi nacque il 19 febbraio 1728 a Pietraperzia. Ultimo di sette figli, crebbe in un ambiente povero e privo d'istruzione. A soli 15 anni sposò Antonia Anzaldo che di anni ne aveva addirittura undici. Non sappiamo esattamente che lavoro facesse il giovane sposo, comunque per un certo tempo cercò di sbarcare il lunario. Poeti, romanzieri e cantastorie hanno tramandato il momento in cui Antonino si diede alla macchia. Lo fece dopo aver ucciso il bargello (nome con il quale si indicava il capitano militare addetto all'ordine), perché questo gli aveva assassinato la madre. Una "romantica leggenda" come la definisce Anna Marotta, che non trova riscontri oggettivi poiché si è potuto appurare dall'archivio della Chiesa Madre di Pietraperzia che la madre morì quando Antonino aveva tra i tre e i quattro anni. L'idealizzazione del bandito come una specie di Robin Hood che rubava ai ricchi per dare ai poveri, anche se priva di prove che ne dimostrino la veridicità, risponde pienamente all'anima di un popolo assetato di riscatto e di giustizia. "La leggenda - scrive Marotta - diventa uno specchio riflettente di quei difficili anni, anche perché i bargelli, così come i gabelloti e i campieri, rappresentavano gli emissari dei "nobili" feudatari e loro erano i fautori delle peggiori barbarie a danno del popolo" Plausibile è la notizia secondo cui Antonino di Blasi scontò tre anni di carcere ad Agrigento per aver rubato un bue. Rimesso in libertà incrociò il suo destino con quello dei compagni di (s)ventura Giovanni Guarnaccia di Pietraperzia e Antonio Romano di Barrafranca. Insieme organizzarono una temibile e numerosa banda i cui primi movimenti sono attestati, come si evince dal fondo Trabia presso l'archivio di Stato di Palermo, a partire dal 1766. Il primo luglio di quell'anno l'Avv. Fiscale Don Giuseppe Iurato scrive al viceré Fogliani mettendolo in guardia sulle malefatte della banda ed invocando i necessari provvedimenti. Viene subito promulgato un bando con cui si mette una taglia di cento onze sui tre principali capi della banda: Testalonga, Guarnaccia e Romano. Da questo momento non sono più semplici ladri, ma "abbanniati", banditi. L'attività principale della banda consisteva nell'assaltare le masserie ed estorcere ai benestanti il denaro con cui Testalonga creò una fitta rete di complicità, anche ad alti livelli, tanto da dimorare tranquillamente presso nobili ed ecclesiastici. Alla banda viene attribuito un solo omicidio, quello del Tenente dei barrigelli di Butera, ma non imputabile al Testalonga. In seguito al bando, il Guarnaccia si separò dal resto della banda seguito da tre compagni, ma nel mese di ottobre vennero catturati a Regalbuto e il 10 novembre furono impiccati a Palermo nella Piazza della Marina. Testalonga, Romano e gli altri, per nulla intimoriti, continuarono le proprie scorribande assaltando feudi e masserie. Ed ecco entrare in scena Don Giuseppe Lanza Principe di Trabia che, come abbiamo già detto, viene nominato Vicario Generale Viceregio. Una volta ricevuto l'incarico dal vicerè, egli organizzò il suo quartier generale a Mussomeli e promulgò subito un bando nel quale si fissava la taglia per ciascun bandito. Deciso a stroncare l'attività della banda, il Vicario inviò corpi armati a perlustrare campagne e grotte e non esitò ad assumere come spie e capitani elementi della malavita. Dai suoi informatori e dalle numerose lettere anonime ricevute, Don Giuseppe Lanza compilò una lista dei complici e protettori del Testalonga, ai quali intimò di consegnare il bandito vivo o morto. Siamo all'epilogo della storia. Il 18 febbraio 1767 Testalonga e il suo fedele compagno Romano, in seguito ad un conflitto a fuoco, vennero catturati in una grotta nei pressi di Castrogiovanni (l'attuale Enna), traditi proprio dai principali protettori, i baroni fratelli Trigona di Piazza. Di Blasi e Romano, insieme ad altri componenti della banda, vennero portati a Mussomeli, torturati e condannati alla forca, sentenza eseguita il 7 marzo 1767. L'indomani i corpi vennero squartati e le teste tagliate, quella del di Blasi portata come trofeo a Palermo, la testa di Romano venne esposta a Barrafranca. Un potere corrotto a tutti i livelli si accanisce in modo barbaro sui cadaveri, ma nessuno dei numerosi protettori, prima additati dal Vicario, venne punito, anzi, intascarono riconoscimenti e ricompense. E allora, la domanda che più volte emerge scorrendo le pagine del volume, risulta pienamente legittima:" CHI SONO I VERI BANDITI?".
Anna Marotta ha compiuto un lavoro straordinario, da vera storica/detective ha consultato le carte con pazienza certosina (un intero capitolo è dedicato agli Archivi) restituendoci nella sua interezza la figura del bandito Testalonga e la sua epoca. Un libro che non può mancare nella biblioteca di ogni studioso o semplice appassionato della nostra storia.

Salvatore Marotta



26 aprile 2018




Il vecchio ulivo e l'uccello del paradiso

Lucia Miccichè

Curatore: V. Calì
Illustratore: N. Speciale
Editore: Edizioni del Poggio



È risaputo che uno dei modi di esporre e tramandare verità sapienziali e spirituali è rappresentato dalla fiaba e, in genere, dalla letteratura fantastica (basti pensare a Tolkien e al famosissimo Il Signore Degli Anelli).
Dietro parole arcane, figure emblematiche, allegorie e metafore, si dis-vela il significato potente e primordiale dei simboli, capace di ricondurci al Centro dell'Essere, a ritrovare il Santo Graal che è...l'Amore! Ed è quello che succede nel libro della nostra giovane Autrice. Soffermiamoci brevemente sui protagonisti: un Vecchio Ulivo (la voce narrante) e l'Uccello del Paradiso (la figura mistica). Quando il vecchio ulivo conosce quell'incantevole Creatura del cielo gli affida un'importante missione: andare alla ricerca del più grande mistero della vita e del mondo intero: l'Amore! Nella Tradizione, la figura dell'Albero è tra le più mistiche e sacrali, insieme a quella della Montagna. L'Albero rappresenta l'unione tra la Terra e il Cielo. Tradizioni e religioni differenti hanno avuto alberi sacri, Alberi della Vita, Alberi del Bene e del Male, del Paradiso, della Luce, della Saggezza, dell'Immortalità, ecc...
L'Albero fu ricollegato al mito dell'AXIS MUNDI, l'Asse del Mondo. Anche l'Uccello è altamente simbolico, basti pensare alla Fenice, simbolo d'immortalità; o alla tradizione dei Nativi Americani con l'Uccello di Tuono, simbolo di Potenza, Nutrimento, Trasformazione o Messaggero Divino, a seconda delle tribù native. Altro elemento simbolico è rappresentato dalla LINGUA DEGLI UCCELLI. Ne parla un'autorità indiscussa in fatto di Simboli e Dottrine Tradizionali come René Guénon nel suo SIMBOLI DELLA SCIENZA SACRA, dove si legge che "gli uccelli sono presi di frequente come simbolo degli Angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori". Il terzo elemento simbolico che vogliamo considerare è rappresentato dal VIAGGIO INIZIATICO. L'Uccello del Paradiso, al pari di altri viaggiatori mitici, dovrà compiere un Viaggio dove affronterà diversi pericoli e incontrerà personaggi emblematici, ognuno dei quali segnerà il suo percorso verso la Consapevolezza: il Fanciullo Natalino, il Monaco, il Governatore, il Musicista, la Bella Danzatrice Marinedda, il Poeta, il Cieco...Ogni viaggio implica il Ritorno e l'Uccello del Paradiso alla fine ritorna dal Vecchio Ulivo. " Domandai dell'Amore al più Piccolo ed esso mi diede la Speranza, domandai dell'Amore al più Devoto ed esso non aveva più spazio per me, allora chiesi al più Forte ed egli mi diede disperazione, mi rifugiai nella Musica ed ella mi istruì note nuove, così mi rivolsi alla Bellezza ed ella mi indicò la strada del cuore, così trovai la Poesia ed ella mi diede il modo per farlo intendere, ma ancora non comprendevo la risposta al grande mistero, così infine fu lui a trovarmi".
Ed è proprio il Cieco, il più Fragile, a condurlo nella dimora dell'Amore perché..." Non tutto è visibile agli occhi del mondo...A volte il Segreto è osservare ad occhi chiusi..."
Con questa bellissima massima sapienziale possiamo concludere queste note. Il libro è adatto a tutti, grandi e piccini. Come leggiamo in una bella recensione di Paolo Cortesi :"Si tratta di una storia che ha più livelli di comprensione: per i bambini, è una fiaba avvincente e dolcissima; per gli adulti è una allegoria sempre valida; per gli studiosi di filosofia esoterica è un viaggio di maturazione nella consapevolezza" (Nexus New Times nr.127 aprile/maggio 2017).
La storia è ambientata nel villaggio medievale di Pietraperzia, che nella fiaba viene chiamata "Terra di Pietra". Arricchiscono il volume le illustrazioni di Nicolò Speciale, dove si riconoscono i luoghi più belli e suggestivi di Pietraperzia.

Salvatore Marotta

Lo scrittore Paolo Cortesi ha voluto dedicare a Lucia (pubblicata  in Nexus New Times) una recensione a "Il vecchio ulivo e l'uccello del paradiso". Per leggerlo trascritto su Anobii Clicca qui.