“Boccamurata” è il terzo romanzo della cosiddetta
trilogia, come l’autrice stessa l’ha definita. Una trilogia, per la verità,
senza punti in comune con i romanzi precedenti: “La Mennulara” e “La zia
marchesa”. Ma trilogia la dobbiamo chiamare. Pur diversi per personaggi,
ambienti sociali, situazioni ma così simili per le passioni, la sensualità
prepotente degli “attori” che Simonetta Agnello Hornby mette in scena,
costruiti con la solita e riconoscibilissima maestria, la “parlata siciliana”,
i paesaggi sempre descritti da suscitare nostalgia ai siciliani che ne sono
lontani.
Toccante per me lo sguardo su un peschereccio che
si osserva da lontano "navigava orizzontale, come una foglia trasportata dalla
corrente".
Il romanzo si apre con una tranquilla e
tradizionale riunione familiare: il compleanno del nonno Tito attorniato da figli
e nipoti. Mariola, la moglie, che imbandisce la tavola con tutti i suoi piatti
preferiti.
Un quadretto
famigliare perfetto; Tito soddisfatto, osserva divertito da patriarca
autorevole. Chiama figli e nipoti con i nomignoli che ha dato a ognuno di loro:
capellini, rigatoni, spaghetti... nomignoli, che senza nessuna fantasia,
affibbia loro per essere il proprietario del grande pastificio ereditato dal
padre. Ma il personaggio sulla quale s’innerverà il racconto è la zia Rachele.
Custode attenta
della casa, è per Tito, da sempre, un punto di riferimento imprescindibile.
Tito che non ha conosciuto la madre è stato cresciuto ed educato da questa zia,
che ancora adesso lo guida e lo consiglia sulle decisioni importanti che
riguardano la famiglia e il pastificio.
Questo
rassicurante interno famigliare è solo apparente, nasconde invidie e
tradimenti. Lo stesso Tito vive un grande dolore, il tormento di non avere
conosciuto la madre.
Nel clima sereno
della festa il nipote Titino, il preferito, per un compito assegnatogli a scuola gli chiede di aiutarlo a fare la "La ricostruzione dell'albero genealogico
della sua famiglia".
Questa richiesta riapre
la grande ferita, riportandolo al suo difficile passato. Alle sofferenze e alle
difficoltà vissute nell'infanzia e poi nella sua adolescenza. Quello che lui sa
è quello che il padre, Gaspare, gli aveva sempre raccontato. Di essere il frutto
di un amore con una donna sposata e che da questa relazione clandestina, per
salvare l’onore della donna amata, l’aveva cresciuto nella sua casa e affidato
alle cure della sorella, la zia Rachele.
La scrittrice ricostruisce lungo tutto
il romanzo la personalità di Tito della sua complicata famiglia è di sua “zia”
Rachele che aveva rinunciato a sposarsi e dedicarsi completamente all'educazione di Tito.
La spasmodica ricerca della verità
sulle sue origini, che scoprirà cinquant'anni dopo, con l'incontro di Dante, figlio di una ex compagna di scuola di Rachele. Tito viene in possesso di un
pacco di lettere scambiate da Rachele con la mamma di Dante che gli riveleranno
quello che non avrebbe mai sospettato. Le lettere dell’allora giovane Rachele gli
sveleranno una verità sconvolgente.
Un tabù che lo porta a riconsiderare la figura di Rachele. Una
rivelazione che gli da finalmente la serenità cercata tutta la vita e che gli
farà dire di Rachele “la donna più trasgressiva che abbia mai conosciuto".
La zia è sempre vissuta con “la bocca murata” custode
del suo segreto e del destino di Tito.
Un romanzo che ho apprezzato per l’apparente
facilità di scrittura e che mi ha turbato per la scabrosa vicenda di Rachele.
Consigliatissimo.
Lina Viola
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