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06 marzo 2018

Fra’ Giuseppe d’Avola un beato a Pietraperzia nel convento di Santa Maria

Chiostro di S. Maria di Gesù – Pietraperzia 

A Pietraperzia visse un frate francescano che aveva il dono della profezia e per grazia di Dio compì miracoli e prodigiose guarigioni: il beato FRA' GIUSEPPE D'AVOLA.
Le notizie che riportiamo sono ricavate dal primo tomo del LEGENDARIO FRANCESCANO, redatto dai padri Benedetto Mazzara e Pietr’Antonio di Venezia (1721).

Ad Avola, dov'era nato, la cronaca racconta che fosse un bravo sarto. Con un brutto carattere, un indole altezzosa e superba e abile spadaccino. Prima che Alessandro Manzoni ci narrasse della conversione di fra’ Cristoforo, anche il nostro fra’ Giuseppe ebbe un duello, per questioni che non si conoscono ma immaginiamo dovute al suo cattivo carattere “capriccioso, ed inclinato alla violenza”, duello nel quale rimase ferito. Alla ferita seguì una subitanea conversione. Vendette e diede in elemosina tutti i suoi averi, iniziando una vita di penitenza. Per alcuni anni visse in grotte da eremita. Fu nella città di san Filippo (Agira), dove era venuto a vivere nella stessa grotta del santo, che incontrò i riformati francescani convincendolo ad entrare nell'ordine. Peregrinò tra i conventi di Agira e Piazza Armerina e infine nel convento di Santa Maria di Gesù a Pietraperzia, dove visse fino alla sua morte.
Per dominare la sua indole violenta, si sottoponeva a durissime penitenze corporali. Infliggendosi la privazione del sonno, si coricava mettendosi sulla sponda del letto, cadendo più volte in terra. Portava sempre un cilicio sotto il saio; accettava di sottoporsi a umiliazioni di ogni tipo, sempre pronto all'ubbidienza di chiunque nel convento: “procurava di esser dispregiato da tutti, e stimato pazzo”
Svolgeva i lavori più umili e si nutriva degli scarti, facendosi chiamare frate Asino.
Dedito all'orazione e alla contemplazione estatica fino alle lacrime, passava le notti in chiesa in preghiera. Durante il giorno girava di casa in casa, anche a Barrafranca, visitando infermi e moribondi.
Tra il popolo aveva fama di santità e per le sue preghiere molti tornavano guariti alla salute. Molte guarigioni con i nomi dei miracolati sono narrate nella citata Vita dei santi, beati e venerabili dei francescani.
Morì nel convento di Santa Maria il 15 gennaio del 1647. Alla sua morte stette tre giorni alla devozione di tutto il popolo, che gli tagliuzzò l’abito per averne una reliquia e portando via dalla sua celletta tutte le sue povere cose. Ai confrati rimase solo un cappuccio, ormai andato perduto. Ancora dopo tre giorni aveva le carni morbide come quelle di un “figliolino di due anni” e “rendea un odore mirabile”. Fu sepolto “sotto la fenestra della sagrestia nella parte dell’Epistola”.
Dopo la sua morte vi furono guarigioni prodigiose di infermi che baciando le sue reliquie guarivano all'istante. Tra le guarigioni, per l'intercessione del beato fra' Giuseppe, quella di un certo Luca Valero, (forse da Assoro?) che malato fece "voto" di costruire l'attuale chiesa di Santa Maria: una notte gli comparve   fra' Giuseppe dicendogli di iniziare la costruzione se voleva guarire. Iniziò dunque la costruzione e tornò a star bene. 
Dal “leggendario francescano” veniamo così a conoscere il nome di colui che diede inizio all'edificazione della chiesa di Santa Maria.
Dopo qualche anno, per avere interrotto i lavori, Luca Valero fu colpito da un’altra infermità. Il beato fra’ Giuseppe  tornò ad apparirgli in sogno “con riprendorlo aspramente”:  la nuova apparizione  lo convinse a riprendere la costruzione e guarì una seconda volta.
A distanza di qualche tempo dalla morte ci fu una ricognizione del corpo del beato, dove ancora sentirono “grande odore e soave fragranza” che si sparse per tutta la "Terra", facendo accorrere tutta la gente, stupendo tutti per il prodigio e facendo crescere la venerazione "alla di lui santità".
Sempre dal “leggendario” apprendiamo che nel convento dei francescani di Piazza Armerina, nel chiostro, si può vedere (ancora oggi?) “la sua effige al naturale”. 
Di questo taumaturgo vissuto e venerato a Pietraperzia, Barrafranca e nei paesi dell'interno dell'isola si è persa quasi completamente la memoria. Non so se questa amnesia fu dovuta alla soppressione degli ordini religiosi dopo l’unità d’Italia e alla conseguente partenza dei francescani da Pietraperzia, oppure più semplicemente è caduto nell'oblio dei pietrini, perché il clero di allora non ne coltivò la venerazione.
Fra Dionigi, nell'opera che ci ha lasciato lo cita sempre come beato, solo una volta col titolo di venerabile in una nota a piè di pagina. Nella nota riferisce di una Vita in istampa di fra Giuseppe (pag. 267 nell'edizione trascritta da Salvatore Di Lavore), oltre alla già citata opera di padre Pier Antonio da Venezia, anche in un opera del padre Pietro Tognoletto: il “Paradiso Serafico”.
Riporto la nota a piè di pagina dell'op. cit. di fra Dionigi e l'iscrizione sulla sua sepoltura con la traduzione dal latino del sac. Filippo Marotta.  
In questo Convento nell'Anno del Signore 1647, giorno 15 di Gennaio, Fra Giuseppe d’Avola Terziario, passò da questa vita (terrena) a vita eterna. Per molti anni dedito con gioia ai servizi del Convento, si distinse per pazienza e penitenza, con disinteresse di se stesso. Il suo corpo rimase insepolto per circa quattro giorni per soddisfare la devozione delle genti, poiché persona illustre, ristorava i presenti con straordinario profumo: sepolto, per di più di nascosto in un sepolcro particolare, se e quando fosse stato gradito a Dio, si sarebbe potuto estrarre (dal sepolcro) adeguatamente; per i miracoli in vita (fu) celebre dopo la morte. Sta il di lui Corpo in questa Chiesa (la chiesa non è l’attuale Santa Maria ma una precedente dedicata a Maria SS delle Grazie e sulla quale fu edificato il convento) in cassa di legno, posto nel muro dietro l’Altare Maggiore in Cornu Epistolae (a destra guardando l'altare) dopo aversi più volte da diversi luoghi traslato, in cui si legge la seguente trascrizione:
D.O.M
(a Dio Ottimo e Massimo)

Qui pastum, vestem, Orbem, sensus, segue negavit. Quique Gelu, Aestu, Fletu, Supplicium atque Catenas-contemptusque labores, stragem corporis omnem. Continuasque praeces, soliloquia, et omnia sancta percoluit; jacet hic de Ibla Tertinus Joseph

Colui (qui sepolto) che negò a se stesso il cibo, le vesti, il proprio paese, le passioni; e colui che col gelo, col forte caldo, col pianto (portò) il supplizio e le catene, i lavori disprezzati e ogni strazio del corpo, compì continue preghiere, lunghe meditazioni e ogni azione santa; qui giace Giuseppe d'Avola, terziario)

Ora i suoi resti sono in un loculo, nella chiesa di Santa Maria, sulla parete di sinistra prima di entrare in sacrestia.