Per quanto si possa parlare di un Autore, per quanto si possano leggere e commentare le sue opere, si ha sempre la sensazione che gran parte del suo pensiero rimanga nell’abisso dell’inesprimibile, del non-detto. Questa pseudo-chiacchierata con Vitaliano vuole rubare all’ombra ancora un piccolo lembo del suo pensiero e offrire alla luce ancora una parte della sua concezione della Vita.
Sono in sala d’attesa nell’anticamera dei
cieli, circondata da una gran folla. Tutti chiedono di Vitaliano. Mentre
ripasso con lo sguardo ancora qualche appunto sulla sua vita col block notes
fra le mani, mi meraviglio che così tanta gente lo conosca. Scruto gli astanti:
sono giovani, perlopiù uomini fra i venti e i quarant’anni. Molti hanno un
aspetto curato e sicuro di sé, come predatori all’attacco saettano le donne
della sala con sguardi maliziosi; altri, al contrario, sono timidi e insicuri;
i loro sguardi sembrano creature spaurite che si aggirano per una radura senza
la protezione della madre né di una fronda che faccia loro ombra, ansiosi di
nascondersi dietro il primo cespuglio che si offra loro.
Le due categorie fanno gruppo ciascuna da una
parte diversa della sala. Un’immagine grottesca e curiosa: sembrava che un
capriccioso Mosè si fosse divertito a separarle come le acque del Mar Rosso, la
Baldanza da un lato e la Pavidità dall’altro.
Ad interrompere le mie riflessioni sul
curioso campionario umano, da dietro una porta, come un ronzio di una voce
irata, ma non di un iracondo per natura, bensì di qualcuno che, punzecchiato
oltremisura, perda d’improvviso la pazienza, e forzi perciò l’eleganza della
sua voce in un momentaneo e attoriale sfogo d’ira: «Ma insomma, basta con
queste richieste! Tutto credevo di essere ricordato dopo la morte, tranne che
come il mental coach per la conquista dell’altro sesso!
Selezionate, selezionate!».
Realizzo d’improvviso l’accaduto e mi si fa
chiaro il motivo della copiosa presenza maschile nella sala. Un uomo sbuca da
una porta a vetro, scruta con lo sguardo nella mia borsa la pila di libri
dell’autore e, indovinato il block notes fra le mie mani chiuse, mi invita ad
entrare.
B. Ah, una donna! (Tira un respiro di sollievo). Almeno
lei non mi farà richieste assurde su come diventare
il perfetto Don Giovanni!
V. (Chiudo la porta alle mie spalle e saluto con una punta di
timidezza. Dalla penombra affiorano due occhi, dietro le cui fessure intravedo
un abisso, penetranti e dolci, sovrastati da due sopracciglia perfette, scure e
nette che, dopo un attimo di distrazione, rimbalzano il mio sguardo sulle iridi
scure. E mi trovo occhi negli occhi con Vitaliano. Lui non disturba il mio
silenzio. Mentre lo osservo sul suo volto si sovrappongono più volti: quello
seducente di un arabo dall’incarnato e dalle iridi scure; quello elegante di un
normanno dai lineamenti quasi filiformi sul viso sottile e aggraziato; quello
caldo di un siciliano dalla fronte alta e i baffi scuri sulle labbra che, ora,
accennano un sorriso.)
B.
La gente crede che lo scrittore sia un prete sul pulpito, e invece è solo un fedele
che ha il coraggio di levare la sua preghiera più forte degli altri.
V.
Oggi non si solleva nemmeno più lo sguardo al cielo, perché non si hanno
preghiere da levare. O a volte si chiede qualcosa, ma non è ciò che si vorrebbe
realmente, presa in prestito com’è dal commerciante di sogni di turno. Così si
cercano, più che guide che dicano cosa fare, uomini che prima ancora suggeriscano
cosa desiderare.
B.
Non mi dica che gli uomini non desiderano più nemmeno le donne!
V.
La maggior parte crede di desiderarle, ma le concupisce soltanto, cosicché una
volta avutele, viste e toccate, non sa più che farsene e va alla ricerca di
emozioni sempre nuove, che diventano vecchie e consunte in un batter d’occhio.
B.
(Sorride con un respiro ruvido che sfrega in fondo alla gola come un archetto
sulle corde tese di un violino, senza voler minimamente celare una soddisfazione
in procinto d’esplodere.) E poi lo criticavano il povero Antonio!
“De-siderare”, signorina, dal latino DE- : rafforzativo e SIDERARE, da sidus,
sideris: stella. “Fissare attentamente le stelle”, tenere lo sguardo fisso su
qualcosa che è distante da noi, alto e quasi irraggiungibile e per ciò stesso affascinante,
che rinnova un desiderio e un’emozione costante.
V.
Meravigliosa etimologia, signor Brancati, ma prima o poi Antonio doveva
“raggiungerla” quella donna!
B.
E cosa vuol dire “raggiungere una donna”? Congiungersi con lei? Tanti uomini
portano a letto le donne, vi fanno perfino dei figli, ma non le hanno mai raggiunte.
V.
(Sgrano gli occhi in segno di stupita approvazione, poi dalle mie sopracciglia
aggrottate trapela una profonda delusione). Ma fare l’amore è meraviglioso!
(L’esclamazione perde un po’ di foga nelle sue ultime lettere, mescolata com'è
ad una punta di imbarazzo). Nobile, profondo sentimento l’amore, che ci fa gioire
fin nei meandri dell’anima, e ci eleva. Ma rimarrebbe solo una contorsione del
cuore, uno spasimo della mente se non si “facesse” concreto... fare l’amore...
è l’amore che si fa odore dolce su per le narici, si fa pelle sotto le dita, si
fa suono negli orecchi e sapore dell’altro sulla lingua e...
B.
...e sensazione di vederlo in persona, l’Amore, nell’immagine della donna che
ami. (Esita).
Lei
crede che Dante sarebbe riuscito ad amare così a lungo e con quell’intensità
Beatrice, se l'avesse sfiorata anche solo una volta?
V.
Ma Dante aveva nove anni al suo primo incontro con Beatrice! E la seconda volta
in cui la incontra, dopo quasi dieci anni, lei gli nega persino il saluto. Non
era amore quello! L’amore diventa tale solo se ricambiato, prima d’allora è
solo ossessione, venerazione o contemplazione. Anche un’opera d’arte ci rapisce
con la sua bellezza e ci eleva, ci rivela grandi verità. Che differenza c’è allora
fra una donna e un quadro?
B.
(Sospira). Vecchio dilemma. Ha colto nel segno, signorina. Era come quadri in un
museo che ci piaceva ammirare le donne. Giovanni Percolla, Muscarà,
Scannapieco... i marciapiedi di via Etnea erano per loro le pareti del Louvre,
del Musée d’Orsay. Guardavamo quei visi dolci, quelle gambe e quelle rotondità
coperte dalle vesti come Veneri del Rinascimento, e le donne a Viareggio come
fossero le bagnanti di Renoir...
V.
(La mia bocca si curva in un sorriso d’assenso). Se tutto quello che ci circonda
fosse rimasto solo un’idea nella mente di Dio, nulla esisterebbe. Un’idea, infondo,
è nulla.
B.
Lei crede in Dio, dunque. La invidio.
V.
Non so se Dio esista. Ma mi piacerebbe che fosse così. Anche lei cercava Dio.
Quel viaggiatore dello sleeping n. 7, i tormenti di Ermenegildo inginocchiato
in chiesa accanto ad Antonio... ecco, posso rileggerle un suo passo?
B.
(Sfila Il bell'Antonio dalle mie mani, e prima ancora che io gli
indichi quale riga leggere), esordisce:
È
possibile che le parole cielo, paradiso, giustizia divina, pace eterna non corrispondano
a nulla di reale? Loro non corrispondono a nulla, proprio loro che sono le
parole più belle della nostra vita? È possibile che il nome Gesù Cristo, ecco
lo ripeto: Ge-sù Cri-sto, sia il nome di un povero morto e a pronunziarlo non
si fa voltare nessuno né in questo né in un altro mondo? Ecco, lo ripeto ancora:
Gesù Cristo, Ge-sù Cri-sto, il nome di un matto dunque, vissuto duemila anni
fa, che si figurava in buona fede di versare sangue e morire solo per una sua
generosa accondiscendenza alla debolezza umana, e di lasciare in piedi i soldati
che lo fustigavano e le torri della città che assisteva al suo supplizio, solo
frenando a stento la sua onnipotenza? Gesù Cristo, un pietoso allucinato con la
testa sempre arrovesciata a guardare il cielo, di cui in realtà ignorava la
forma, la composizione e la luce, ma che egli credeva ormai la sua reggia,
vedendovi nel mezzo un suo trono dorato alla destra di un assai curioso Padre…
E dunque la sera di giovedì, quando pregò nell'orto ripetendo nel modo più
tenero questa parola “Padre”, dall'altra parte non c'era nessuno ad ascoltarlo?
E quando, sulla croce, promise al ladrone convertito di portarlo in cielo con
sé, povero ladrone, come dovette bestemmiare quando s'accorse che alla penombra
dell'agonia succedeva un buio sempre più fitto e senza speranza!… E dunque per
noi uomini, ci chiamiamo Ermenegildo Fasanaro o Gesù Cristo di Nazaret, non c'è
che buio e ignoranza? E, se andiamo a scuola, una rassegnata filosofia che si accontenta
di chiamare “verità” le nostre disgraziate domande senza risposta?
(L’interrogativo
rimane sospeso come un equilibrista sul filo teso nel tendone di un circo.
Silenzio)
V.
Beh! Dio o D’io? In ogni d-io c’è un “io”, caro Brancati. Dio è il mondo visto
dalla mia prospettiva, il significato che do a quello che mi circonda. Dio è
nient’altro che quel senso.
B.
Ecco, io credevo che fosse l’Amore il senso. È per questo che Antonio non
sfiorò la sua Barbara: non voleva che lei fosse parte di tutto il resto... della
materia che degrada e sfiorisce, della carne che invecchia e marcisce...
V.
Quella Bellezza... quella che nei suoi romanzi lei scrive con la “B” maiuscola.
B.
Esatto. Non sarebbe bastato l’acme di un orgasmo della carne per raggiungerla.
Così gli diedero dell’ “impotente”.
V.
Chi ama la Bellezza pura si sente sempre un po’ impotente: possiamo ammirarla
in un dipinto, scorgerla in una statua, annidarla in una riflessione filosofica,
corteggiarla in un’alba, in un uomo, in un tramonto, ma non abbiamo mai la sensazione
di raggiungerla veramente.
B.
Questo è l’essere umano: tensione, attenzione, intenzione... tutto è un tendere,
insomma. Abbiamo sempre bisogno di tendere le braccia al di sopra di noi per
rimanere in piedi, per ergerci sulle cose e sul mondo.
V.
E ora che è qui? In questo Oltretomba su cui gli uomini fantasticano a dismisura...
l’Iperuranio, il luogo della pace, della salvezza, il coacervo indifferenziato
delle idee, dei sogni e dei pensieri... sente di aver finalmente sfiorato ciò
che ha inseguito per tutta la vita?
B.
(Solleva le sopracciglia come un bambino cui si scopre una bugia, poi disegna
fulminea con lo sguardo una linea obliqua e posa i suoi occhi sul pavimento).
Ora che sono qui... mi mancano i gelati di Palermo, la zuppa di pesce
della Zì' Teresa a Napoli, la bistecca di Salvini a Firenze, il silenzio del
Canal Grande, l'aria fresca dei fiumi dell'Alto Adige, le vasche da bagno
dell'Hôtel Coccumela a Sorrento…
V.
(Adesso sono io a soffiare il mio sorriso dentro un sospiro mesto) Tutto
quello che faceva trasalire il petto di gioia a Marietta in quel suo
ultimo romanzo...
B.
Ecco, ora che sono da questa parte dico: siate come lei... sentite le vibrazioni
della Vita in ogni corda dei vostri sensi; non perdetevi nell'eccesso
della razionalità. Quello che si registra nella mente è solo lo spartito... ma
la Vita è musica. Ecco, da scrittore mi sono sentito come un musicista che
compone senza aver mai sfiorato il tasto di un pianoforte, la corda di un violino...
V.
(Distolgo lo sguardo dal suo viso per lasciarlo solo con la sua Nostalgia, con
discrezione, come uno che, costretto nello stesso luogo con due amanti, voglia
lasciarli indisturbati. I miei occhi sono catturati dalla luce di una finestra
alle sue spalle, da cui un azzurro turchino irradia forte la luce solare. Il
cielo è terso al punto tale che i vetri sembrano non reggerne il peso cromatico
e, dissoltisi, brillino in minutissime schegge danzanti insieme al pulviscolo
luminoso. Una risata ovattata d’improvviso vi fa da melodia. Allungo la vista e
nella nebbia luminosa pian piano si materializzano due figure. Riconosco
Antonio, dal volto olivastro, affumicato potentemente dalla barba, ma
delicatissimo e quasi unto di lacrime al di sotto degli occhi, bello, proprio
come Vitaliano l’aveva descritto. Scompigliati dopo la giravolta, i capelli
neri di Barbara, attraversano il viso di lui come una nube passeggera e scura
il sole di primavera. Antonio prende il viso di lei fra le mani e con gli occhi
raggianti di felicità stringe le labbra sulle sue. Un bacio impetuoso, lungo e
profondo come uno che si tuffa da uno scoglio e viene inghiottito dal blu...
riemerge e apre gli occhi. L’abbraccio che segue è così stretto che vedo le due
sagome diventare un tutt'uno, fra loro, con l’azzurro, con la luce).