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15 ottobre 2023

RICORDO DI MARIA GIORDANO

 


RICORDO DI MARIA GIORDANO 

 

                                                        LA NASCITA

Quella domenica, era un 29 Giugno, fu la nonna paterna a dare l’annuncio della mia nascita all’amica della mamma che la chiamava per andare a messa, com’era nelle loro abitudini. Si sapeva che il lieto evento era imminente ma fu ugualmente una sorpresa perché si verificò con un certo anticipo. L’amica, nostra vicina di casa, disse che avevo scelto un giorno particolare, il giorno della festa dei santi Pietro e Paolo. Ed è grazie a tale particolarità che, con maggiore facilità, ogni anno parecchi sono quelli che si ricordano, il ventinove di giugno, di farmi gli auguri per il mio compleanno. Mi fu dato il nome di Maria Cava che era quello della nonna paterna: le usanze erano quelle e bisognava rispettarle, del resto quale più bel nome di Maria? L’aggiunta di Cava al nome Maria, (il suo significato è “della Cava”) è una peculiarità del nostro paese, dove ha grande rilevanza ed è abbastanza diffuso; il nome di Maria Cava non si riscontra fuori da Pietraperzia, almeno credo. Il motivo di tale particolarità è legato a un evento miracoloso, citato anche nella Storia di Pietraperzia di Fra’ Dionigi, che si verificò quasi otto secoli fa, intorno al 1223 presso una località di campagna non molto distante dal paese. Tale località, nota per la presenza nella zona di cave di pietra per costruzione e di sabbia, prima chiamata Runzi, fu denominata Cava in seguito al ritrovamento, dopo vari tentativi di scavo, di un’immagine della Madonna col Bambino, per opera di un giovane sordomuto trapanese cui la Madonna era apparsa in sogno. Si tramanda che il muto all’atto di scoprire l’immagine, ricevendo miracolosamente la parola, si sia messo a gridare “Viva Maria SS della Cava”. La lastra di pietra su cui è dipinta la Madonna mentre allatta il Bambino troneggia, fin dall’epoca del ritrovamento, sull’altare del piccolo santuario fatto erigere sul luogo e meta di pellegrinaggi da parte dei pietrini. A Pietraperzia, che proclamò la Madonna della Cava sua patrona, si sviluppò una grandissima devozione alla Madonna che si esprime nelle più varie forme interessando singole persone, famiglie, organizzazioni di categorie e sodalizi, in ogni periodo dell’anno. Tra le forme più suggestive vanno ricordati i pellegrinaggi del mese di maggio, organizzati nei giorni di sabato (da cui I Sabati della Madonna) dalle varie categorie di lavoratori La festa ricorre il 15 Agosto giorno dell’Assunta giornata nella quale la devozione dei pietrini riveste la forma più solenne. 



Furono tutti contenti della mia nascita ed anche del fatto che fossi una bambina, così mi è stato detto, perché nella famiglia un maschietto c’era già, il mio fratellino Salvatore che aveva tre anni. Era stata la nonna Maria Cava ad aiutare la mamma a farmi nascere: la mamma in quei momenti voleva vicina la suocera che con la sua serenità le dava sicurezza. Forse la nonna aveva anche delle attitudini particolari se spesse volte veniva chiamata dalle sue vicine per essere assistite nel momento del parto. Ad assistere la mamma durante la mia nascita, assieme alla nonna, c’era donna Antonietta Attanasio la levatrice che prima di me aveva fatto nascere il mio fratellino e dopo di me mia sorella Ninetta. Michela invece, la mia ultima sorella, nata dopo la morte della nonna paterna, venne al mondo con l‘aiuto di donna Giovannina “la Nuda”, levatrice amica della nonna materna, nonna Nina. Donna Antonietta Attanasio era quasi una nostra parente avendo sposato un fratello della zia Angelina Attanasio moglie del prozio Michele Calì fratello di bisnonna Francesca. Seppi dalla mamma che donna Antonietta nell’imminenza di un parto veniva a dormire a casa nostra perché sapeva che ai primi sintomi noi eravamo pronti a nascere e che se fosse dovuta partire da casa sarebbe arrivata a parto avvenuto. Il parto quindi si svolse in modo spontaneo, tutto andò bene come la prima volta per la mamma, quando era nato mio fratello. Adesso c’ero anch’io; la nonna annunciò che era arrivata una bambina e grazie ai sonorissimi strilli che seguirono all’annuncio si capì che avevo dei bei polmoni. Mamma finalmente poté vedere il mio viso e fu molto felice; papà, sempre molto equilibrato nel manifestare i suoi sentimenti, non nascose il suo appagamento. Il corredino era pronto; la mamma si era molto adoperata a prepararlo aiutata da entrambe le nonne. Era costituito da camicine giacchettini, scarpette, cuffiette, completati e impreziositi da delicati ricami all’uncinetto che vi aveva applicato nonna Maria Cava, arte che aveva appreso dalla sua mamma, la bisnonna Francesca. Nonna Nina, molto abile nel taglio e cucito, si era invece occupata dei lunghi coprifasce completandoli con rifiniture in pizzo, il necessario per avvolgere i neonati, i grandi quadrati di stoffa piqué le lunghe fasce in damasco, lo stesso, riciclato, che era servito per il mio fratellino. Crescendo ebbi modo di ammirare parecchi capi dei corredini preparati per noi: mamma li custodì a lungo; il ritrovarli era occasione per ricordare e raccontare episodi dei primi momenti e dei primi anni della nostra vita e le persone che ci erano state vicine. Sentivo così la mamma confermare molti particolari su di essi e sugli eventi che seguirono, che la nonna materna mi aveva raccontato nei nostri quotidiani dialoghi: del primo bagnetto, del piumino soffice col quale mi aveva cosparso di borotalco, di come mi aveva essa stessa agghindato con il lungo coprifasce per presentarmi a tutti che volevano vedermi. Non sono in grado di dare alcun giudizio su come ci si può sentire dentro le fasce a fine giugno, so che mi era stata risparmiata la tortura della cuffietta per il troppo caldo. Non mi mancò invece quella dei forellini ai lobi delle orecchie: era d’obbligo, allora, che una bambina portasse gli orecchini. Durante tale operazione fui molto irrequieta, l’intervento non riuscì perfetto e ciò è ancora evidente, il forellino di un orecchio, infatti, è più alto di quello dell’altro. Non mi mancava più nulla per entrare in società. I nonni materni, nonna Nina e nonno Pasquale, non erano in paese il giorno della mia nascita perciò fu per essi una grande sorpresa al loro rientro da Marcatobianco trovarmi già nata. I nonni addirittura credevano di aver anticipato il ritorno dalla campagna rispetto al giorno previsto dell’evento, pensavano di poter essere vicini alla loro figlia in un momento così importante ma io ero stata più veloce. Il loro stupore si mutò subito in gioia, la nonna si sentì alleggerita di un grosso peso, essa sapeva, come diceva, che la figlia era in buone mani, la mamma stessa la tranquillizzò su questo. Come tutti i nonni, mi trovarono bellissima e di più il nonno che poco esternava i suoi entusiasmi, disse che ero una bambina speciale. Essendo ora, nonna anch’io capisco benissimo nonno Pasquale. Per la nonna paterna era un momento propizio, dopo il maschietto, la femminuccia la quale, cosa importante, portava il suo nome. La sua gioia si accentuava quando ero presentata ai parenti e agli amici che venivano a conoscermi e a felicitarsi, tutti concordi nell’affermare che somigliavo a papà: di lui il naso, gli occhi; per il resto ero il ritratto della nonna, il suo.



        PROBLEMATICHE MATRIMONIALI DI MARIA GIORDANO


Corteo matrimoniale - Foto d'epoca anni '50


 

PROBLEMATICHE MATRIMONIALI

- poesia di Maria Giordano -

Mentre scrivo mi sento divertita

nel ricordare eventi della vita:

un'usanza da tempo tramontata

che oggi può stupire, ma c'è stata.

Per me sono ricordi ancor precisi

di giovani che erano confusi

che giunta l'ora dell'innamoramento

più che gioia, per loro era un tormento.

Il giovane insisteva a far la corte

ma incerta restava la sua sorte.

Per fortuna la mamma lo capiva

e ne parlava alla nonna ed alla zia.

Si discuteva insieme della cosa

per decidere se chiederla in sposa.

Si faceva un'indagine accurata

sulla ragazza e sulla sua casata.

Se finalmente veniva accertato

che proprio con nessuno aveva parlato

si ripeteva in casa come un credo:

speriamo che abbia pure un bel corredo.

Allora si mandava l'ambasciata

tramite una persona conosciuta:

“per vostra figlia ho pronto già il marito,

un bel ragazzo, un ottimo partito”!

Subito si inventava un espediente

perché la gente non sapesse niente:

per la sua vita di sposa futura

s'inscenava una vendita di mula.

Mentre il giovane la bestia esaminava

lei dietro la persiana lo osservava.

(Ma la ragazza, non era al corrente

della proposta del suo pretendente?

Era informata all'ultimo momento

della ragione di tanto movimento?)

Il padre della giovane che era astuto,

ricevuto il segnale convenuto

concludeva l'affare in un minuto;

di sollievo tirava un gran sospiro

che mai si sentì così leggero.

Veniva già deciso in quel momento

la grande festa del fidanzamento;

per suggellarlo con tutto il parentato

anche il giorno del sì veniva annunciato.

Non è racconto della fantasia

il fatto avvenne vicino casa mia.

Di me non ho granché da raccontare

nessun cavallo ci fu da rimirare.

Mio marito conobbi da bambino,

da grandi bastò d'intesa un occhiolino.


(Estratto da: Via 4 Novembre e dintorni...c'era una volta Pietraperzia negli anni ‘40-‘60 del XX Secolo racconti e poesie di Salvatore e Maria Giordano).

 

03 ottobre 2021

VIA 4 NOVEMBRE E DINTORNI-C'ERA UNA VOLTA ANNI 40-60 - Recensione di Lina Viola


Il ritorno, dopo 25 anni, a Pietraperzia nell'agosto 2005, di Salvatore e Maria desta nel loro animo una grande commozione. I ricordi invadono le loro menti, emozioni che ogni sradicato rivive quando torna a ripercorrere quelle stesse vie nelle quali ha vissuto l’infanzia. La casa dove si è nati, i compagni di gioco nelle strade, gli amici, i vicini e tutti i ricordi legati agli anni della nostra formazione. Ricordi ed esperienze che rimangono indelebili.

La via IV Novembre di quegli anni per Maria e Salvatore, nei loro racconti, diventa il palcoscenico su cui diversi personaggi noti e meno noti appaiono attori e anche spettatori di ciò che accade nella vita di un piccolo mondo racchiuso in un pugno di case. La strada, luogo di incontro e di gioco per i bambini, con ancora le galline lasciate libere di razzolare starnazzanti e che a volte un destino avverso li faceva finire schiacciate dalle ruote di un carretto o addentate da qualche gatto o cane randagio affamato. Ma i ricordi dell'infanzia non tutti sono lieti; essi rivivono il periodo della guerra anche se ancora piccoli.

Lo sfollamento del paese verso le campagne, in posti ritenuti più sicuri. La vita a li Minniti raccontati con occhi di bambini. Le bombe sganciate dagli aerei alleati che traumatizzarono Maria e che per molti anni il rumore dei tuoni le susciteranno paura, riportandola al triste ricordo dei bombardamenti. Vivo e malinconico il ricordo di quelle famiglie a cui erano stati tolte i loro uomini; figli, padri, sposi. Uomini tolti dalle campagne e mandati in guerra. In essi rimaneva solo disperazione e speranza del loro ritorno a casa, sani, scampati alla morte. Commovente è la storia di Pasqualino, il cuginetto, che a sette anni, dopo il ritorno dalla prigionia, conosce il padre.

Ho trovato interessante leggere di due indimenticabili personalità di Pietraperzia: il dottor Vitale e il commediografo Giarrizzo.

Il primo, medico valente e all’occorrenza anche ginecologo, apprezzato da tutti, uomo colto dedito agli studi letterari e matematico insigne. Il commediografo, forse poco conosciuto perché non avendo più un teatro, le sue opere teatrali che meriterebbero di essere riscoperte, non sono state più rappresentate.

Il libro è costituito da tre parti; i brevi e numerosi racconti risalenti a vicende e famiglie tra la via IV Novembre e corso Umberto I, da allora conosciuta e chiamata da tutti la Strataranni. Una raccolta di racconti ricchi di avvenimenti legati a persone care agli autori, tra questi l’insediamento delle Salesiane a Pietraperzia. Le voci narranti che si alternano sono quelle di Maria e Salvatore. La descrizione dei racconti, spesso minuziosa e ricca di testimonianze sulla vita di quegli anni, rendono piacevole la lettura che a quella generazione far rivivere le esperienze proprie di ogni emigrato. I racconti sono ricchi di espressioni dialettali, che rafforzano l'appartenenza identitaria a Pietraperzia. Il libro si chiude con una raccolta di poesie tra queste la strepitosa e notissima “Littra a lu me pajisi” struggente per ogni emigrato che la legge o la rilegge.

Lina Viola

Il libro può essere scaricato gratuitamente da questo link:

VIA 4 NOVEMBRE E DINTORNI-C'ERA UNA VOLTA ANNI 40-60 - Di Salvatore e Maria Giordano



14 maggio 2021

Il dottor Vincenzo Vitale un uomo geniale e virtuoso





Il dottor Vincenzo Vitale nacque a Pietraperzia il 14 maggio 1861 da don Rocco Vitale di professione “aromatario” e da Angela Maria Tortorici.

La raccolta di poesie di Angela Vitale “Sentieri di vita e di amore in un cammino di fede e di speranza”, a cura di Giuseppe Ragusa, contiene una lirica (quasi prosa) inedita intitolata “A mio Padre. E’ un ritratto biografico che la figlia Angela fa del proprio padre Vincenzo Vitale. La poetessa descrive così la figura del padre: ha gli occhi verdi e profondi (che), sotto le folte ciglia nere, eran pur severi”, “la bella testa leonina e la fronte spaziosa”, era di “mente immaginosa, (e di) parola arguta”, disprezzava “agi e ricchezze”, disdegnava e rifiutava “una vita vana”, ma non “l'amore per tutto ciò ch'è bello, grande, potente, sublime!” 

Nella facoltà di medicina, frequentata a Roma, Vincenzo fu “alunno di Durante e Baccelli[1]. Invitato a specializzarsi presso l'università di Berlino dal professor Virchow [2] il dottor Vincenzo Vitale nel 1886 vi studiò le celule e la “Patologia cellulare” teoria da Virchow formulata. “Per tre volte” fu assegnato a Vincenzo Vitale il premio della “Fondazione Rolli”[3].
Essendo morto prematuramente il proprio padre, Vincenzo fu costretto, dalle necessità di famiglia, a ritornare a Pietraperzia. Il 21 novembre 1894 dove sposò Giuseppina Anzalone, figlia di don Ferdinando Anzalone e di Pietrina Pittari di Mistretta, dalla quale ebbe sette figli (cinque femmine e due maschi) generalmente laureati in lettere, scienze matematiche, ingegneria navale, in farmacia. Egli li educò ad un regime spartano fatto non di atteggiamenti amorosi, ma rigorosi (“senza baci e carezze, senza vezzi”) e trasfuse in loro “l'amore per l'opere grandi, l'amore per la poesia, l'arte, la scienza”.    Agli onori che la scienza medica poteva procurargli, egli, “uomo genuino e saggio”, preferì con grande “abnegazione e coraggio” chiudersi “nel romito angolo del tuo spirito come una pianta ancor viva alle radici che altrove si trapianta.” A Pietraperzia accoglieva i suoi pazienti (“poveri sofferenti”) in una “grande stanza semplice, pura, francescana”, che utilizzava come studio medico; vi era lì un tavolo di noce su cui teneva la storia di Tito Livio che leggeva nei momenti di riposo lavorativo. Anche a tarda età, non lesinava di andare a trovare “la povera gente” nei loro “tuguri” per “lenirne gli affanni”.

La sua attività medica la visse come “l'opera … d'apostolo”, come una “missione di bene” da compire nel silenzio, “senza compenso al tuo sacrificio immenso”. Non si lamentava della pesantezza dell'età e non camminava curvo, ma era legato fortemente alla vita (“entusiasta”). Il pensiero della morte lo rendeva “taciturno e pensoso”. “Quel popolo che t'era intorno e al qual, giorno per giorno, elargisti senza misura il dono del tuo ingegno e della tua vasta cultura, era rustico e ingenuo, e “forse”, al momento della sua morte, “non comprese … l'amico che aveva perduto”. Vincenzo Vitale fu colto dalla morte il 6 ottobre 1949 nella sua casa di Via Tortorici Cremona n. 79 all'età di 88 anni.




                                                   
 STUDI E OPERE  

Nell'ambiente pietrino, il dottor VINCENZO VITALE, era però un misconosciuto poiché i suoi lavori sia nel campo della medicina che della matematica hanno trovato collocazione e giusto riconoscimento solo negli studi e nei lavori di altri pensatori. Basti pensare che già da semplice studente universitario ricevette per tre anni consecutivi TRE PREMI ROLLI, in seguito a sue ricerche su particolari aspetti della medicina. Laureatosi con lode in medicina e chirurgia a Roma il 14 luglio 1886, fu invitato da un illustre medico tedesco, il professor Virchow , a specializzarsi nella sua clinica di Berlino. Quivi trascorse due anni. La passione del dottor Vitale per la matematica e per la fisica fece di lui un pensatore che può essere definito il pioniere e l'antesignano di alcune proprietà dei triangoliNella sua opera “ANALOGIE E RELAZIONI fra Perpendicolari, Mediane, Bisettrici, Radiali, Lati ed Angoli del Triangolo”, gli studiosi e appassionati di geometria potranno notare le novità apportate a questa branca della matematica dal Vitale. Quest'uomo, nel campo delle figure piane, diede un apporto tale che va al di là delle conoscenze acquisite dagli studenti delle scuole medie superiori. Qualche autore di libri di geometria ha fatto riferimento al lavoro del dottor Vitale, inserendo in detti testi le trovate geniali di questo medico che sono state di valido ausilio agli studenti. Le figure piane, i triangoli ad esempio, hanno alcune proprietà che prima del dottor Vitale non erano conosciute. Il dottor Vitale soleva ripetere in vita che nessuna scienza sembra più utile, più bella e più facile della matematica. Un altro lavoro che ha lasciato il dottor Vitale è: “ FORZA UNIVERSALE” in cui, partendo dalla forza di gravità dei corpi, che egli estendeva ai fenomeni dei corpi celesti, affermava che tali fenomeni non sono disgiunti da quelli della terra, ma ripetono le medesime cause e producono gli stessi effetti e sottostanno alle stesse leggi di gravità. Riporta egli, scientificamente, tanti esempi sulla caduta e sul lancio dei corpi, sulla forza, sul gioco delle acque, sul movimento delle molecole e sulla forza di attrazione. Egli arriva a spiegare, con i suoi esempi convincenti, che il moto di attrazione e di spinta dei corpi ha origine in una causa sola: la forza di attrazione. In sostanza egli non esprime vane teorie, ma afferma che sono fenomeni che si svolgono ogni momento sotto i nostri occhi. Con questo lavoro il Vitale dà un apporto notevole alla conoscenza dei fenomeni fisici. Concludiamo con un'affermazione del Vitale: “Nelle forze fisiche non si erano mai ravvisate che semplici agenti di moto, fattori meccanici; la gravità era rimasta oscura, ed in me veramente, quando compresi che l'azione di essa non si poteva circoscrivere dentro i limiti di un certo meccanismo si affacciò netta l'idea di una forza superiore, di una forza vitale e, quando intravidi le intime e necessarie relazioni di esse con le forze fisiche, e di queste con quelle della vita, compresi che tutte erano una sola forza, la forza universale: la vita.”

Altre opere del dottor Vincenzo Vitale:

- Relazione tra le linee interne ed esterne dei triangoli;

- Scritti ed appunti di fisica, medicina e matematica, rimasti inediti e incompiuti.

Purtroppo nella biblioteca comunale di Pietraperzia non è presente alcuna opera del dottor Vincenzo Vitale.

 

 

“Mettile dei libri in mano e falla leggere, falla leggere quella bambina”.

Il dott. Vincenzo Vitale, esperto in medicina generale ed in chirurgia, appassionato di matematica e fisica, era anche specializzato in ginecologia e, nel ruolo di ginecologo, egli aiutò a nascere molti bambini del nostro paese. 

All’epoca i parti avvenivano generalmente in casa, parti spontanei per cui tante volte era sufficiente l’assistenza della levatrice se non l’aiuto di una persona della famiglia o di una vicina particolarmente esperta, ma nei casi più difficili, quando neanche l’ostetrica era in grado di affrontare la complicazione imprevista, si chiamava il dott. Vitale ed egli interveniva con urgenza: «Currimmu ca masculu jè», diceva. Aveva sperimentato, infatti, che erano i maschietti a presentare le maggiori difficoltà a venire al mondo. Altra espressione tipica del dottore era la risposta al parente di una persona colpita improvvisamente da qualche malore, che sollecitava il suo intervento: «Vossì s’allibberta duttù ca ma matri sta mmurinnu.» E il dottore, sicuro del soccorso che poteva dare la medicina ma anche consapevole dei limiti di essa di fronte all’ineluttabilità, «Figliju mì - rispondeva- si nun gnè l’urtima arrivammu ‘ntimpu» (Faccia presto dottore, mia madre sta morendo”. “Figlio mio, se non è l’ultima, se non è il colpo definitivo, arriviamo in tempo”)Meta della uscite del dottore, quando non erano visite ad ammalati, era la “Società Operaia Regina Margherita” in Piazza Vittorio Emanuele, dove era atteso per la consueta lettura del giornale quotidiano. 
Come in un rito il dottore, attorniato da un buon numero di soci, eseguiva la rassegna stampa accompagnando la lettura delle notizie con spiegazioni e commenti e fornendo i chiarimenti che gli venivano chiesti. Quando i minuscoli caratteri di stampa rappresentarono un problema per i suoi occhi, e il leggere ad alta voce lo stancava, il dottore fu sostituito da Giuseppe Maddalena, lo storico di cose pietrine, che leggeva in maniera spedita e corretta ed aveva una voce chiara e tonante. Così il dottore metteva al servizio dei soci del sodalizio non solo la sua competenza professionale ma la sua cultura nel senso più ampio. Nei liberi discorsi tra loro e a casa con i familiari gli ascoltatori riportavano le novità udite dove “l’ha ditto lu dutturi Vitali” equivaleva a zittire ogni opposizione. Il dottore amava i giovani e, riguardo ad essi, aveva idee molto chiare. I giovani costituivano l’avvenire delle famiglie e del paese, attori dello sviluppo futuro, ma niente debolezze e divagazioni per loro; le distrazioni toglievano ore allo studio, che doveva essere serio, rigoroso e continuo. Questo era il criterio che ispirava i suoi rapporti con i giovani: la stessa serietà, lo stesso rigore con i quali aveva educato i figli. Lo stabile di casa Vitale, in via Tortorici Cremona,  comprendeva anche un secondo piano dove abitava, all’epoca, la famiglia di una delle figlie del dottore, Elena, che aveva sposato il farmacista dottor Salvatore Mendola. I coniugi Mendola-Vitale avevano due figli, Salvatore, chiamato Rino, e Cristina i quali purtroppo rimasero, ancora giovani, orfani del padre e donna Elena, conseguita la laurea in farmacia, proseguì l’attività del marito. La Farmacia Mendola, situata in via La Masa, passata successivamente dalla madre alla dott.ssa Cristina, costituisce ancora una della farmacie storiche del nostro paese.

Epilogo…6 ottobre 1949

“Era un ottobre ancora caldo quello del 1949 quando morì il dottore» racconta Maria. “Quella mattina la signorina Cecilia ci bussò alla parete come eravamo soliti quando avevamo bisogno gli uni degli altri per motivi urgenti. E, affacciatici ai rispettivi balconi, ci diede la notizia. Era triste ma ce la comunicò con un tono ed un’espressione di normalità: “Questa notte è morto papà”. Volli subito andare a stare vicina a lei, anche se avevo otto anni e mai avevo visto un morto. Era sola, la signorina Cecilia, e fu lei stessa che mi prese per mano e mi accompagnò nella camera del padre. Il dottore era composto sul suo lettino, vicino a quella scrivania di noce che non avrebbe mai più usata, accanto alla quale tante volte, piena di soggezione davanti a lui, l’avevo visto intento a scrivere o a studiare. Il dottore indossava il vestito nero elegante come quando usciva per andare alla Società Regina Margherita; aveva mantenuto la sua espressione severa, che ora mi parve più addolcita. Mi sembrava impossibile che non l’avrei più rivisto né sentito le sue parole rivolte a Cecilia, le volte che andavo a casa sua: “Mettile dei libri in mano”. E mi aspettavo che, improvvisamente, aprisse la bocca e si mettesse a parlare per ricordare ancora alla figlia: “Falla leggere, falla leggere quella bambina”.

(Estratto da “Nostalgia del paese” di Maria e Salvatore Giordano)

  



[1] Guido Baccelli (1830-1916), romano, professore di medicina e chirurgia operatoria, nonché uomo politico, più volte ministro della P.I. A lui si devono, tra l’altro, i Programmi didattici della Scuola elementare del 1894 e la promozione della costruzione del Policlinico Umberto I della capitale. Fu medico di casa reale ed archiatra.

Francesco Durante (1844-1934), di Letojanni (ME), professore di patologia speciale chirurgica e senatore del regno, cofondatore con Baccelli del Policlinico Umberto I.

[2]  Rudolf Virchow (polacco di nascita, 1821 - Berlino, 1902), professore di anatomia patologica dell’Università di Berlino, scienziato e uomo politico antibismarchiano. Noto per la sua teoria della “patologia cellulare”, punto di svolta nella storia della medicina. Candidato al Premio Nobel del 1902.  

[3] Il “Premio Rolli” era istituito dall’Università La Sapienza” di Roma sulla base di un lascito testamentario del medico e botanico romano Ettore Rolli (1818-1876) per premiare studenti particolarmente meritevoli, contribuire a far raggiungere i loro obiettivi e incentivarli all’ottenimento di risultati eccellenti.