La fonte principale a cui far riferimento riguardo la storia
di Pietraperzia è quella di Fra’ Dionigi Bongiovanni nato a
Pietraperzia nel 1744. Divenne sacerdote nell’Ordine dei Frati Minori Riformati
di S. Francesco, oltre che insegnante e predicatore. Egli fu anche il primo
storico locale ad aver tentato di risalire alle origini della sua patria,
seppur ricorrendo ad ipotesi azzardate laddove mancassero documenti e fonti
scritte. L’opera si propone di far conoscere la storia del ritrovamento
dell’icona della Madonna della Cava dipinta su parete, divenuta poi Santa
Patrona del paese, ma in essa non mancano riferimenti dettagliati alla
descrizione di Pietraperzia e dei suoi abitanti, contenuti nel primo capitolo
del testo.
Le origini di Pietraperzia risalgono intorno al 300 a.C. a
partire dal sito di Caulonia
nell’entroterra siciliano, esteso per tutta la contrada Ranfallo (o Granfallo)
fino al territorio La Guardia; eppure,
osservando i ruderi della Rocca, non sembra assurdo affermare che su questi sia
esistito un villaggio primitivo neolitico. Lo storico che per primo ne parlò fu
Strabone, secondo cui la Caulonia di Sicilia fu fondata dagli abitanti di
Caulonia di Calabria, esiliati in Sicilia da Dionigi il Vecchio, tiranno di
Siracusa.
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Sito Rocche |
L’antichità del luogo è testimoniata dal ritrovamento di
alcune monete nei pressi del Castello; nel 1955 infatti venne rinvenuta una
moneta risalente al periodo cartaginese, in particolare un Esadramma
siculo-punico del 350 a.C. Ma questa non fu l’unica, poiché nel 1970 fu
ritrovato un Tetradramma d’argento risalente al periodo di Dionisi il Vecchio
(396 a.C.); un altro esemplare di questa moneta è visibile al Museo numismatico
di Londra, sul cui verso è riportata la testa di Eracle ricoperta da una pelle
di leone, sul retro invece è raffigurata una figura femminile che indossa un
doppio mantello, con il braccio destro alzato e il sinistro appoggiato ad una
colonna; sulle due facciate della moneta si può leggere Petri e Petrinos. Lo storico locale Lino Guarnaccia inoltre asserisce
di aver visto una moneta d’argento, esattamente un Tetradramma, risalente al
periodo del tiranno Gerone II (270-216 a. C.), di cui però non conosce il luogo
di ritrovamento.
Anche numerosi siti preistorici testimoniano oggi l’antichità
di Pietraperzia, come il sito Satanà, a
due miglia da Pietraperzia, di cui ha scritto lo storico Diodoro Siculo; di
esso sono ancora presenti medaglie, mattoni, pietre intagliate e costruzioni
antiche; poco distante vi è anche il sito detto Rònze; non molto lontano da Caulonia vi era la città subalterna Calata Pilegio, dove ancor oggi sono
presenti grotte artificiali. In contrada
Raggadesi è stato ritrovato un vasto sepolcro, che testimonia l’antica
presenza di un casale. Nella tenuta Petra
dell’Uomo furono ritrovate numerosissime testimonianze dell’antichità del
luogo; ma il sito archeologico più
importante è quello di Cuddaro di Crasto:
«Età preistorica,
si parla di età del Rame tardo (2600 – 2400 a.C.). Alcuni frammenti di questa
età, nella loro sottospecie della cultura preistorica siciliana, […] sono stati
scoperti nell’area archeologica. Si presentano a superficie rossa,
lucidata e creata con un impasto grezzo e grossolano. Poi ecco l’età del Bronzo
antico (2300–1450 a.C.) […] E’ una cultura preistorica che si caratterizza per
l’uso di tombe a forno senza pozzetto verticale, normalmente situate alle
pendici di zone collinari […] A Tornambè – Fastuchera le caratteristiche della facies castellucciana sono perfettamente
individuabili nei frammenti trovati nell’area. Tombe a grotticella bucano
diverse pareti di roccia, ricreando un’atmosfera sacra, tipica di ogni luogo
legato ai defunti. Vi sono diverse teorie circa questa costruzione. Si parla
dell’opera dei Siculi che durante il XV secolo a.C. cacciarono gli indigeni
Sicani. Si ipotizza anche che la costruzione sia stata voluta da Dionisio I,
Tiranno di Siracusa, durante la guerra greco-cartaginese, volendo creare uno
sbarramento tra la Sicilia per l’appunto greca e quella legata all’epicrazia
cartaginese».
Non mancano neanche i resti di un’antica piramide, che doveva sicuramente far
parte di un villaggio siculo-sicano, come testimoniano nelle vicinanze i resti
di abitazioni neolitiche.
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Sito Cuddaru di Crastu |
Successivamente, durante la Prima Guerra Punica, i Romani
distrussero Caulonia poiché non si era sottomessa al loro dominio «così ebbero fine
le glorie di sì nobil Città, perdutandone oggidì l’amplo sito, le pietre
intagliate, quadrate, i mattoni doppj, ed un gran numero di grotte ritagliate
nelle vive Pietre»; soltanto a questo punto la vicenda di Caulonia si intrecciò con
quella di Pietraperzia.
Secondo Padre Dionigi, Pietraperzia (o meglio Petra di
Sicilia) nacque da Caulonia, tesi sostenuta anche da storici come Filippo
Cluverio e il Marchese di Villabianca, quest’ultimo in particolare affermò che
Pietraperzia fu quella risorta dopo la distruzione dei Romani.
La prova che lo dimostrerebbe risale al 1756, anno in cui si
formò nel Convento dei frati Minori Riformati di S. Maria di Gesù un’Accademia
letteraria, riservata a coloro che si occupavano di arti umanistiche e scienza.
L’Accademia prese il nome di Radunanza
dei Pastori di Caulonia e i componenti assunsero i nomi delle Ville e delle
più antiche Contrade di Pietraperzia, visibili in patenti stampate.
La Terra di Pietraperzia si deve probabilmente indentificare
con la Petra nominata da Cicerone delle Verrine.
L’antica città fu grande produttrice di grano, oggetto infatti delle ruberie
del pretore Verre, preso di mira da Cicerone. Essa era ubicata in contrada
Rocche-Lammersa, dove ancora oggi sono visibili i ruderi di un vasto
insediamento umano. Le sue origini risalgono ad un periodo compreso tra l’VIII
secolo d.C. e la dominazione araba, ma l’etimologia del nome Petra, divenuta
poi Pietraperzia, appare ancor oggi incerta. Potrebbe far riferimento a
Petronio, duce di Caulonia, o alla Ninfa Petrea, ma l’ipotesi più valida
sembrerebbe convergere nella derivazione araba, con particolare riferimento
alla Petra nel regno dei Nabatei, situata fra Damasco e Medina, anche se ancor
oggi non esiste nulla di certo.
La Petra Nabatea era «una città scavata nella roccia, case e
templi compresi; sovente su più piani anche in punti molto alti e poco
accessibili, nelle pareti di una stretta e lunga valle. Un vero e proprio canyon da dove il viaggiatore non poteva
fare a meno di passare»[5]. Da questo e altri
luoghi spesso si allontanavano uomini e mercanzie per raggiungere le sponde
opposte, come la Sicilia e la Sardegna.
Gli emigranti arabi che si ritrovarono nell’entroterra
siciliano, nostalgici e consapevoli di non poter più far ritorno nel proprio
luogo di origine, attratti da quella flora selvaggia delle Rocche così simile
alla loro terra natia, scelsero questa località come luogo di accoglienza,
chiamandola Petra.
A sostenere questa tesi vi sono diversi dati, come il poter
ancora ammirare le troneggianti rovine oggi presenti sul luogo con
caratteristiche identiche alla Petra del tempo, l’accertamento della presenza
di quel tipo di flussi migratori e l’abitudine per gli emigranti di chiamare
località in cui stabilirsi con nomi familiari, basti pensare alle molte città
sudamericane con nomi di origine europea.
Per quanto riguarda il passaggio da Petra a Pietraperzia,
secondo Padre Dionigi il termine sarebbe anche attestato dallo storico Claudio
Tolomeo e Brezio, i quali riportano Petra-partia,
piuttosto che percia.
Così Rosario Nicoletti analizza l’aggettivo partia:
E’ per
noi interessante poiché il termine ‘partia’ deriva dal verbo latino ‘partio’
che significa divido, spartisco. Lo stesso significato che ha nella nostra
parlata la parola ‘pàrtiri’ che oltre a partire, nel senso di mettersi in
cammino, significa anche dividere, spartire, spaccare.
Con espressione molto più
vicina alla realtà del fenomeno naturale verificatosi, lo storico Claudio
Tolomeo denominò la roccia che, oggi, appare bucata, non ‘perciata’ ma ‘partia’:
alla latina.[6]
Un’altra ipotesi risale al periodo normanno, relativamente al
racconto dello storico e geografo Muhammad Al Idrisi, nella cui analisi delle
località siciliane riporta il termine Petra con l’aggiunta dell’aggettivo perciata o percia, nella cui parlata siciliana dell’epoca, ma anche in quella
odierna, significa perforata. Idrisi
fece riferimento al gruppo di modeste case che, in forma di borgo medievale,
cominciarono a sorgere accanto al Castello. Visitando anche i resti dell’antica
Petra, non poté far a meno di notare come su tale sito vi fosse un’imponente
roccia bucata: Petra Perciata, tradotta in arabo con Agar al matqub (Agar: pietra; Matqub: foro o incisura).
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Storico e geografo Muhammad Al Idrisi |
A prescindere dalle varie ipotesi formulate, la lingua araba
ha lasciato un’impronta indissolubile sulla parlata siciliana, di cui ancora
oggi sono visibili i segni. Col passare del tempo il sostantivo e l’aggettivo,
per il naturale processo di semplificazione che travolge ogni lingua, si
fusero, cosicché in italiano Petra divenne Pietra, mentre Percia divenne
Perzia, da qui il termine Pietraperzia, in siciliano Petrapirzia.
Estratto dalla Tesi di laurea di Anna Marotta, Il bandito Antonino di Blasi alias
Testalonga (1728-1767).