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11 febbraio 2021

Esercitazione. – Sull’idea di valore di un’opera d’arte di Salvatore Di Gregorio





Con il termine esercitazione il vocabolario Treccani indica quella attività svolta allo scopo di acquisire maggiore pratica in una disciplina o su un determinato argomento; esercitiamo il nostro fisico allo scopo di migliorarne le prestazioni ed esercitiamo l’intelletto al fine di elevarne la capacità di analisi e di ragionamento. Insomma, sotto ogni aspetto, è un continuo bisogno di esercitarsi per migliorarsi.

Il richiamo mi serve per dare una idea di queste quattro righe che vi sottopongo perché, mi pare, che il termine corrisponda abbastanza allo spirito con cui l’argomento trattato viene svolto; appunto una specie di esercitazione su un tema che ho trovato di una certa suggestione e sul quale, magari ragionandoci, riusciamo a migliorarne la comprensione.

Per introdurre l’argomento prendo a prestito due aneddoti riportati, il primo in una pubblicazione recente di Gianrico Carofiglio (il titolo del libro è Della gentilezza e del coraggio) e l’altro nelle Lezioni Americane di Italo Calvino (esattamente nella lezione che tratta della Rapidità).

La questione è la seguente: da cosa deriva il proprio valore un’opera artistica? Dalla difficoltà che è costata la sua realizzazione? Dal tempo impiegato per realizzarla? Dal talento, dalla fama dell’autore? Dal personale gradimento di ognuno? Da una combinazione di tutti quanti questi fattori e da altri ancora? E attraverso quali meccanismi si forma? Ritorniamo agli aneddoti.

Il primo (quello citato nel libro di Carofiglio) ha per protagonista Pablo Picasso il quale mentre sorseggia una bevanda al tavolo di un caffè parigino con l’aria distesa di chi si gode un ordinario (o artistico?) momento di ozio, è intendo a schizzare qualcosa con una matita su un tovagliolo di carta.  

La scena è osservata da una donna seduta ad un tavolo vicino, la quale, appena si rende conto che il maestro ha completato il suo lavoro, si avvicina all’artista dichiarandosi interessata ad acquistare il disegno appena realizzato.

Picasso acconsente alla richiesta ma, con una certa meraviglia della donna, pretende per il suo lavoro un prezzo che le appare spropositato.

Ma come, osserva la signora, una cifra così alta per un disegno per il quale avete impiegato non più di un quarto d’ora, seduto al tavolo di un caffè.

Vi sbagliate signora, ribatte l’artista, per realizzarlo mi ci è voluta una vita intera.

L’altro episodio, quello riportato nello scritto di Calvino, racconta di un emerito artista orientale di nome Chuang-Tzu il quale eccelleva in molti campi ma in particolare, e sopra ogni altro, nell’arte grafica.

Il re, desiderando possedere un’opera da lui realizzata, gli commissiona il disegno di un granchio. Chuang -Tzu accetta l’incarico ma pone le sue condizioni: pretende che gli vengano concessi cinque anni di tempo e assegnati un sontuoso palazzo nel quale ritirarsi a lavorare e dodici servitori. Tutto quanto, naturalmente, a spese del re come ricompensa per la sua prestazione.

Il re acconsente alle sue richieste, ma allo scadere dei cinque anni Chuang-Tzu non ha ancora messo mano al suo lavoro e chiede altri cinque anni di tempo ed anche questi gli vengono accordati. Solo allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto che si fosse mai visto.

Come ci raccontano i due episodi il problema che ci eravamo posti all’inizio, circa il modo in cui si forma il valore di una opera d’arte?

Sostanzialmente ce lo rappresentano ponendosi nell’ottica dell’artista che ha realizzato  l’opera o che viene incaricato di realizzarla.

Qui è importante sottolineare che in entrambi i casi si tratta di artisti sommi ed affermati e, per entrambi, le circostanze e le situazioni nelle quali l’opera prende corpo possono essere anche le più ordinarie o istantanee.

Ma, e qui sta il senso della risposta di Picasso alla donna, la scintilla che produce nell’animo dell’artista il momento magico della creatività (al di là delle circostanze in cui si manifesta) è innescata da una lunga combustione; una combustione lunga quanto la vita dell’artista medesimo, alimentata da tutto il patrimonio di esperienze, abilità, sensibilità, formatesi in altri tempi e in altri luoghi e sedimentate dentro la sua anima.

Tutto questo, questo mondo di sentimenti, esperienze ed abilità, ne fa l’artista unico che egli è.  

Ed è il valore di questo patrimonio che Picasso vuole che venga riconosciuto anche alla sua realizzazione apparentemente più estemporanea, istantanea e semplice; e si tratta di un valore molto più alto del prodotto del momento: il percorso creativo che porta alla realizzazione dell’opera vale, in questo caso, e per il suo autore, molto più dell’opera stessa.  

Anche Chuang-Tzu mostra di avere in testa idee simili.

Lui è l’artista sommo; il più grande del suo tempo. Sa bene che esaudire la richiesta del re è per lui impegno che gli richiede qualche minuto del suo tempo, ma non intende svilire il suo talento in un negozio così modesto ed ordinario.

Il valore che vuole riconosciuto per il suo lavoro trascende i pochi minuti a lui necessari per disegnare un granchio (sia pure il granchio più perfetto che si sia mai visto) ma deve ripagare al di là dell’opera commissionata, il talento che in essa egli trasfonde e che, per l’artista, vale bene dieci anni di vita agiata a spese del re.

Quindi, nei due casi, è l’artista che indica il corrispettivo che ritiene adeguato ad esprimere il valore della sua opera.

Ma mentre per Chuang-Tzu sappiamo come va a finire (con il committente che accetta le condizioni poste dall’artista) nulla sappiamo sul negozio messo in piedi tra Picasso e la signora del tavolo accanto.

Potrebbe essere che la donna, dopo la iniziale meraviglia, abbia accettato la valutazione che del lavoro ha proposto il pittore; potrebbe essere invece che, ritenendola eccessiva, la donna abbia rinunciato al proposito di acquistare l’opera.

Nel primo caso il valore che l’artista ha attribuito alla sua opera diventa un valore condiviso e ciò consente di realizzare lo scambio tra artista e committente.

Se invece le cose non sono andate così e la signora ha controproposto a quella dell’artista, una propria valutazione, allora a quell’opera si associano due diversi valori: quello attribuito ad essa dall’autore e quello proposto dal potenziale acquirente.

Se ognuno rimane fermo nella sua proposta non si forma un valore condiviso e non si realizza lo scambio: l’artista si tiene la sua opera e la signora si tiene i suoi soldi

Potrebbe essere che abbia assistito alla scena un altro signore il quale, rispetto alla donna, sia disposto a riconoscere all’opera un valore più elevato ma non quello preteso da Picasso: una valutazione ulteriore e sarebbe la terza.

Adesso si può immaginare che attorno al tavolo di quel bar, ogni passante o avventore abbia prima sostato incuriosito e poi fatto una sua offerta tirando fuori la propria personale valutazione dell’opera secondo il suo gusto e secondo la sua competenza.

Di fronte alle tante valutazioni che si materializzano (compresa quella dell’esperto d’arte che passava di li) che fine fa il nostro problema di partenza? Se nel tempo, nello spazio, nella sensibilità di ciascuno si formano innumerevoli, cangianti valori, ha senso cercare il valore (non tutti i valori che le circostanze rendono possibili) di quell’opera d’arte?

Sembra un vero paradosso! Ma il paradosso, in realtà, nasce da un equivoco che è intenzionalmente inserito nel ragionamento, ossia l’idea che il valore dell’opera sia coincidente con il suo prezzo. Ed è questa corrispondenza ad essere, in effetti, arbitraria.

La dottrina economica ha discettato per secoli sulla differenza tra valore e prezzo e sui differenti meccanismi che li determinano; fior di pensatori se ne sono occupati, ma naturalmente l’oggetto di questa esercitazione non è né la teoria del valore né la storia del pensiero economico; qui interessa giungere ad un elemento di giudizio sulle considerazioni dei nostri due artisti circa il valore della loro creazione.

Ne possiamo trarre qualche considerazione? Una, in qualche modo fascinosa, la potremmo riassumere così. Il mercato dell’arte stabilisce i prezzi delle opere e dunque le condizioni che ne consentono lo scambio e la circolazione; il prezzo muta nel tempo e nello spazio in ragione dell’apprezzamento del mercato e della volubilità delle sue regole; ma il valore dell’opera, quello che esprime la unicità di quella creazione e della sensibilità artistica di chi l’ha concepita e realizzata, quel valore si forma in una profondità di esperienze, di sentimenti e di visioni dove il mercato non può arrivare. A volte l’artista risale da quelle profondità e viene a patti con il mercato; altre volte gli è concesso il privilegio di poterne fare a meno.

E questo i nostri due artisti mostrano di averlo ben chiaro.

 

Salvatore Di Gregorio