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01 novembre 2018

Il prequel di “The Game”: Il saggio “I barbari” di Alessandro Baricco



Alessandro Baricco, I barbari


Nel saggio I barbari, Baricco scorre prima di tutto il filo di una metafora. È questa l’abilità dello scrittore che si presta come saggista. Prima di attorcigliarsi in ogni tecnicismo, che, forse, non gli compete fino in fondo. Prima di farlo, lo scrittore svolge il filo di questa metafora, da cui si fa guidare.

Ma occorre, in una recensione, spiegare prima l'argomento canonico scelto per il suo saggio. Il libro di Baricco illustra alcune delle più significative mutazioni che ci ha portato in consegna il nostro mondo contemporaneo della rivoluzione digitale (quello contemporaneo alla scrittura del libro: 2006). Baricco illustra il nuovo volto di alcuni ambiti della nostra vita: i libri, la musica. Ma anche: il vino, il calcio. Le melodie che fischietta un postino camminando per strada, nel consegnare la posta.

Ma, insieme al saggio di Baricco, dobbiamo smottare fino al livello metaforico, scelto dallo scrittore per raccontare il suo argomento. Si tratta della metafora dell’invasione della nostra civiltà da parte di sconosciuti barbari. I barbari sono le nuove generazioni a partire dagli anni ’60 – ’70. L’ultimo capitolo si conclude con il resoconto del loro assalto alla Grande Muraglia Cinese. Nella sua visione, ci sono ingegneri che stanno innalzando il Grande Muro. Ne sono preposti alla manutenzione.

Intanto, i barbari lo hanno già valicato da tempo. Non solo perché per loro non c’è confine che tenga: ma per loro quel confine non esiste. La ragione d’essere dei civili è quella di edificare un muro che tuttavia sussiste solo nel momento in cui lo si vuole difendere. E a nessuno che venga in mente di navigare la corrente della mutazione. Il flusso portato dai barbari.

Barbaròs in greco significa esattamente barbaro, nella sua corrispondenza di significato e significante: e cioè significa proprio “bar bar”. I greci, colti e civili, usavano questo termine per riprodurre con un termine onomatopeico e canzonatorio il modo di parlare di questi incivili. Costoro non conoscevano il greco, ma parlavano un’altra lingua, e sembrava che barbagliassero. “bar bar”: era ciò che i Greci sentivano. Ma altro e di più era ciò che i barbari dicevano, se si stava ad ascoltarli. Un giorno, nel II sec. a.C, i barbari furono i Romani. I Greci civili furono conquistati dai barbari incivili, che diedero inizio ad una civiltà più grande della loro. In quella novità, la Grecia era una provincia. Il suo modo per salvarsi fu quello d’abbandonarsi all’impero, di divulgare una cultura, le proprie scoperte, il significato che aveva estirpato dal mondo prima di decadere dolcemente.

Baricco, nella sua metafora, vuole dirci anche questo, evocando proprio il termine: barbari; certo, insieme ad una compresenza di altre implicazioni. È questa la natura propria della metafora, lo strumento più provocatorio che Baricco avrebbe potuto usare per un saggio, che trascina con sé molte implicazioni attorno ad un oggetto preposto come indagine specifica.

Eppure, anche la provocazione di Baricco è da “barbaro”. E questo Baricco lo sa. Ne fa uso consapevole.

I barbari sono le mutazioni della società digitale, gli attori e i pionieri che le hanno apportate. La civiltà è, in antitesi, l’assetto antropologico e culturale precedente.

Un’altra metafora: la civiltà è un animale. I barbari sono un pesce. Il segno di una mutazione può essere letto solo alla luce di questa scoperta. Perché l’evoluzione non sia letta come degenerazione. Perché l’inizio di una branchia non sia considerato come la malattia d’una zampa. Ma solo l’inizio di un pesce.

Ed è così che, in una cauta spirale di metafore, Baricco procede ad illustrare le tappe fondamentali che hanno condotto alla trasformazione della società borghese consegnata in eredità dalla cultura ottocentesca. Google, cinema, fotografia. Commercializzazione spinta: di vino, di calcio, di libri, di musica.

Baricco dimostra grande apertura mentale e scarsa tendenza all’apocalisse. Il modo più sfrontato che ha per farlo è paragonare questa incompresa mutazione di oggi a grandi, già riconosciuti cambiamenti epocali del passato. Baricco trova molte similitudini fra l’allargamento dell’odierno pubblico editoriale e la mutazione di prospettive che il romanzo abbracciò in pieno Ottocento, quando scelse di rivolgersi a tutto il mondo borghese. Nel farlo, Baricco dimette ogni giudizio di qualità sull’odierna mutazione, preponendosi di valutarne solo la direzione. Poi, traccia la fisionomia dei barbari. È questo ciò che più gli preme: il loro volto. Lo disegna seguendo il filo della mutazione, la traccia di un cambiamento.

Per questo, fra le sue epigrafi, non può mancare Walter Benjamin. La sua voce si fa sentire lungo l’intero corso del libro. L’eclettico studioso tedesco di XX secolo, prima che per la sua erudizione, viene evocato per la sua maestria nell’arte di riconoscere i cambiamenti e di intravvederne la direzione. Di dedicarsi a diversi aspetti della realtà, congiungerne i tasselli, ricostruirne la fisionomia. Maestro, insomma, nell’arte di fiutare la direzione del presente verso il futuro.

I barbari, dunque, è un saggio sulle mutazioni della civiltà e del mondo del libro. È un saggio sull'arrivo dei barbari. Il saggio-romanzo, nella sua struttura esplicita, fornisce dapprima una mappatura per comprendere il loro saccheggio. Poi, un tracciato del loro volto. Infine, l'invito a comprendere la loro strategia. E la proposta d’una soluzione ragionevole: abbandonare il senso dell'apocalisse, osservare il disegno della mutazione.

Alessia Borriello
@Alessia Borriel5