Il casato dei Baroni Tortorici affonda le radici nella seconda metà del 1500 e che
l’assunzione del titolo “Barone di Rincione”, appartenuto ai Giarrizzo fino al
1897 avvenne per non inflazionare il titolo.
Lino Guarnaccia nel suo volumetto LA CHIESA MATRICE DI PIETRAPERZIA ha il grande merito diavere aggiunto un altro tassello alla nostra conoscenza, e per questo lo ringraziamo. Lui afferma testualmente che la baronia di Rincione, nel 1897 con atto pubblico, passò ai Tortorici. Ed è vero. Però, allora, non ribadì, a chiare lettere, che i Tortorici erano già Baroni di Vignagrande e solo, dopo la stipula di quell’atto pubblico, cominciarono a fregiarsi anche dell’altro titolo dichiarandosi Baroni di Vignagrande e di Rincione o viceversa. I
titolati di vecchio stampo allacciavano rapporti di parentela tra di loro, come
si evidenzia scartabellando tra le genealogie delle famiglie dei Baroni
Giarrizzo e Tortorici di Pietraperzia, Trigona di P. Armerina, Furitano di
Misilmeri e Grimaldi di Enna. Al lettore, per rendersene conto, basta scorrere
un qualsiasi loro albero genealogico o, visionare, un antico atto funerario o
certificato di matrimonio, facilmente reperibile nell’archivio della Parrocchia
Santa Maria Maggiore di Pietraperzia, come quello che qui si riporta, e
constatare quanti rapporti di parentela s’incrociano. Per quello che ora
interessa per dimostrare inequivocabilmente che il blasonato Tortorici già
esisteva nel 1828, molto prima del 1897, basta leggere l’atto di matrimonio di seguito
allegato.
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Traslitterazione
Si pretende
contrarre matrimonio tra Don Michele figlio del Barone Don Antonino Furitano e
della Baronessa Donna Antonina Sciarrino di Misilmeri, con Donna Candida figlia
del Barone Don Michele Tortorici e della fu Baronessa Donna Lucia Giarrizzo di
questa città.
Pietraperzia 14
Settembre 1828
In
questo atto di matrimonio si constatano i rapporti di parentela fra tre casati:
Michele Furitano (sarà Sindaco di
Pietraperzia nel 1860) sposa Candida
Tortorici e la mamma di Candida Tortorici era la Baronessa Donna Lucia Giarrizzo.
La
famiglia Giarrizzo arriva al 1897senza eredi. L’unica era Antonietta Giarrizzo, andata in sposa al Barone Grimaldi di Enna.
Antonietta Giarrizzo, letterata e poetessa, nata il 22 Ottobre del 1811, non si
sa se alla data della cessione del titolo fosse ancora in vita.
Il
Barone Michele di Michele nacque nel 1878 e s’incontra la prima volta al
capezzale del padre, Barone Michele
Tortorici di Giuseppe, il 20 Marzo del 1904 quando resta orfano. Il defunto
Barone era Consigliere Comunale ed il Sindaco, Stefano Di Blasi allora in carica, e tutto il Consiglio lo vollero
al posto del padre e così, il Barone Michele di Michele diventa Consigliere
Comunale. Il 23 Dicembre dello stesso anno 1904, appena venticinquenne, venne
eletto Sindaco e il primo Febbraio del 1905 sposò Rosa Nicoletti, figlia del Cav. Uff. Giuseppe Nicoletti, già Sindaco. Rimase in carica fino al 22
Dicembre del 1909.
Dopo
di lui e fino all’elezione a Sindaco dell’Avv. Giuseppe Milazzo del 25 Maggio 1921 s’alternarono dieci Sindaci
tra i quali si ricordano:
Mendola Cav.
Rosario
Sindaco dal 27/04/1912 al 18/07/1914, nonno della Farmacista Dottoressa
Cristina Mendola;
Perdicaro Dott.
Vincenzo
Sindaco dal 18/07/1914 al 26/08/1917, nonno della Professoressa Concettina
Perdicaro;
Ragusa Sig.
Rosario Sindaco
dal 26/08/1917 al 09/11/1919, poi Presidente del sodalizio “Regina Margherita”.
Furono
gli anni più duri della sopravvivenza dei nostri antenati. La partecipazione
alla guerra del 15/18, come tutti ancora oggi la ricordano, lasciò strascichi dolorosi.
In quel periodo nessuna opera pubblica di rilievo fu realizzata. Per la
popolazione con un tenore di vita molto basso non c’erano ammortizzatori
sociali né assistenza sanitaria. I giovani che s’immolarono al fronte per la
patria lasciarono spesso vedove ed orfani senza alcun sostegno. Il governo
centrale era allo sbaraglio, non riusciva a dare risposte credibili. A
complicare la sopravvivenza ci fu la nascita del brigantaggio e la diffusione
dell’abigeato: si rubavano anche le galline.
L’avvento
del fascismo, percepito ufficialmente dopo il 2 Aprile del 1927, data di nomina
del primo Podestà, fu salutato dalla gente comune come un toccasana. Si avvertì
la frenata del brigantaggio e la scomparsa dei furti di bestiame. “Si poteva
dormire con la porta aperta”, ripeteva la gente. Andare al mulino per la macina
di una bisaccia di grano, diventò più sicuro, non si correva il rischio, come
prima, di essere privati del grano e della cavalcatura.
Eletto
Sindaco l’Avv. Giuseppe Milazzo nel
Settembre 1921 si approva il progetto della sistemazione della Sorgente S.
Giovanni e relativa conduttura fino al fonte canale.
Allora
l’acqua della sorgente scorreva a cielo aperto e arrivava al fonte canale,
abbeveratoio comunale, come tutte le sorgente di campagna: per facilitare il
riempimento delle brocche spesso vi si sistemava allo sbocco una foglia di
agave. Pensare ad una grossa vasca ottagonale per abbeverare gli animali da
soma, a diverse cannelle per riempire le brocche, ad una vasca più bassa per
dissetare gli ovini e ad altre due vasche a terra, concepite per lavare il
bucato, com’era nel progetto, sembrava una chimera. La realizzazione di
quest’opera pubblica segnò un salto di qualità della vita.
Ancora
in carica lo stesso Sindaco Avv. Giuseppe
Milazzo, si precisarono i provvedimenti per l’illuminazione elettrica.
Dalla
delibera del 9 Agosto del 1925 si legge… »... Indi il Presidente propone perché
in esecuzione a quanto venne stabilito nel verbale di verifica e consegna del
20 ottobre 1924 in riguardo alla maggiore illuminazione notturna, il Consiglio
nella odierna seduta, che è la prima dopo la sua costituzione in
cui si occupa della questione, deliberi, se intende averla in modo quasi
totale, così come risulta dal detto verbale, cioè con l’accensione di lampade
da 25 nei corsi Vittorio Emanuele, Garibaldi e Umberto I e completa in tutte le
altre strade, oppure intende averla per come stabilito nel contratto del maggio
1923 e con la forma di cui nel verbale del 20 ottobre 1924 per quanto riguarda
i Corsi Vittorio Emanuele e Umberto I».
Dopo
analoga discussione nel riguardo, il Consiglio con voti unanimi Delibera di
invitare la ditta Martorana e Compagni a fornire l’illuminazione elettrica
notturna secondo le condizioni stabilite nel contratto del 13 maggio 1923 e di
corrispondere fino all’approvazione della presente deliberazione il compenso di
L. 3.000 all’anno per la maggiore illuminazione notturna fornita a questo
Comune giusta quanto fu stabilito nel suddetto verbale di verifica e consegna.
Indi il Presidente invita il Consiglio a deliberare nel seguente…”
Da
una intervista fatta al testimone oculare, Rocco
Zappulla del 1905, morto poi a 98 anni, si apprese:
Tra
il 1919 e il 1920 arriva a Pietraperzia un certo Petrosino. Affitta un locale a piano terra, di modeste dimensioni,
ubicato allora di fronte la tettoia del mulino della Signora Martorana. Per i pietrini, di fronte “l’appinnata di la
màchina di Callararu”. Dov’era il locale preso in affitto, oggi insiste la casa
di Filippo La Monica.
“La
màchina di Callararu”, locale interrato e a piano terra occupava tutta l’area
dove oggi sorge il palazzo che ingloba la farmacia Cannata-Quartararo.
Il
Petrosino collocò, in quel locale,
un motore a scoppio, residuato bellico, e una dinamo da accoppiare al motore
con lo scopo di generare corrente elettrica. Sfruttando amicizie locali,
ottenne dal Comune un contratto per la fornitura di corrente elettrica, sufficiente
ad illuminare, con cento lampade da 25 Watt, il Corso Vittorio Emanuele, la via
Umberto e la via Garibaldi. Alla scadenza del termine fissato per contratto, il
Petrosino, non potendo onorare il contratto, fu obbligato a cederlo alla Martorana. Si dice che, il meccanico
del mulino, abbia sabotato il motore del Petrosino,
inserendo una bulletta (na taccia)
all’interno del cilindro, mentre era aperto per manutenzione!
Per
la Signora Martorana, fu un regalo
inaspettato. Il suo impianto, da qualche tempo produceva corrente elettrica,
per opera del valente meccanico, Giovanni Pastorello, conosciuto nel campo dei
geni, che era riuscito ad ammodernare il tutto, da meccanico ad elettrico: col
motore a gas povero, anziché dare movimento alle macine, attraverso una serie
di giunti cardanici, riuscì a produrre corrente elettrica necessaria a muovere
l’impianto. Per onorare il contratto col Comune non si frapposero problemi di
rilievo: di giorno azionava il mulino per la macina del grano di notte forniva
corrente elettrica per illuminare le strade.
La
Principessa di Deliella sottolineò
l’evento col regalare alla Chiesa Madre l’impianto d’illuminazione interna che
fece realizzare da maestranze fatte arrivare da Palermo.
A
proposito dell’inaugurazione dell’illuminazione elettrica nella Chiesa Madre la
notte di Natale del 1925, Michele Ciulla scrive: «a un certu pųntu di la Mįssa
lu parrįnu Cųccu si mįsi a-ccantari ccu la vųci forti e –qquannu dįssi Gloria in eccelsissi la chjisa sbampà.
Mamma mia cchi-llųstru! Si putiva scarįri na ǥuglia nterra. Ncapu l’artaru unni
cc’era lu Bamminiḍḍu cc’era u-llųstru ca pariva lu sųli».
Sembra
essere cominciata per Pietraperzia l’era dell’evoluzione e della trasformazione
del vecchio in meglio: nel Febbraio 1926 si avvia la pratica per la
pavimentazione del Corso Vittorio Emanuele.
Il
2 Aprile del 1927 il Barone Michele Tortorici fu nominato Podestà. La gente
comune non percepisce niente dell’avvento fascista, avverte solo il cambiamento
formale: il Sindaco di ieri si chiama oggi Podestà. Lo accetta ben volentieri
per la generosità da sempre dimostrata, per i suoi precedenti di amministratore
e ora si aspetta grandi miglioramenti.
Con
Deliberazione n. 7 del 20 Aprile del 1927 «si accetta la proposta dell’Ing.
Vincenzo Nicoletti, notificata al Comune con lettera del 25-05-1926, che
individuava, come unica sorgente (sei litri al secondo) capace di alimentare il
paese, quella dell’ex feudo Sciortabinello territorio di Castrogiovanni e di
approntare il progetto esecutivo per la realizzazione della rete idrica e
fognaria in tutte le strade del Comune».
Tra
i mesi di gennaio e dicembre del 1928 vengono deliberate numerose opere.
La
pavimentazione del Corso (oggi Piazza) Vittorio Emanuele con mutuo a lungo
termine concesso dalla Cassa Rurale Maria SS. del Rosario.
L’acquisto
di n. 7 “candelabri” da sistemare nel Corso Vittorio Emanuele.
La
nascita della Villa Comunale, Parco della Rimembranza e Campo Sportivo, terreno
acquistato ai Sig. Crisafi Vincenzo e Di Lavore Liborio in contrada Canale
Tonnovecchio. Nella deliberazione si legge che il pagamento del terreno doveva
avvenire con le somme recuperate dalla vendita delle case di proprietà del
comune site tra le vie Castello, Bottino e la nuova via dietro le scuole
femminile (plesso Carmine).
In
successive delibere si legge che per la realizzazione della recinzione, del
cancello, della sistemazione interna e della messa a dimora delle piante fu
promossa una sottoscrizione volontaria e molti cittadini prestarono
gratuitamente la loro opera.
In
contemporanea alla Villa Comunale e al Campo sportivo doveva essere realizzato
il Boschetto Littorio su terreno comunale sito all’incrocio della via per Riesi
e la strada vicinale per Vallone dell’Oro e Cerumbelle.
Tra
i mesi di novembre e dicembre sempre de 1928 si approva il progetto per
l’alimentazione idrica dell’abitato (condotta esterna, costruzione serbatoi,
distribuzione interna). Si approva anche il progetto delle fognature
nell’abitato.
A
maggio del 1929 si approva l’installazione dell’Impianto telefonico
nell’Ufficio Municipale.
A
dicembre del 1930 si decide l’apertura della strada attaccata al teatro
comunale (oggi via Monfalcone) e la concessione dell’appalto fu affidata a Adamo Calogero fu Luciano per £.
20.684.
Si fa notare che la delibera per
l’apertura della strada attaccata al teatro comunale fu firmata dal Commissario
Prefettizio Salvatore Ardizzone. Si
temevano interessi privati da parte di qualche consigliere Comunale abitante in
quel quartiere.
A
gennaio del 1931 si decise la ricostruzione del prospetto del teatro comunale:
Direttore dei lavori: Geom. Vincenzo
Tortorici.
Le
pietre della facciata del teatro comunale furono lavorate dallo scalpellino
Cavagrotte di Barrafranca; i mascheroni delle chiavi delle volte dei tre
portoni d’ingresso, furono ideati dello scultore pietrino Di Romano, copiate e scolpite su pietra da Matteo Di Natale (testimonianza resa il 04-09-2002 dal perito
elettrotecnico Michele Ciulla).
Nel
disegno di Michele Ciulla, l’angolo
della Piazzetta di S. Maria, spicca il prospetto del vecchio teatro e,
all’estrema sinistra di chi guarda, s’intravede un squarcio delle case attaccate
al teatro. Le case furono abbattute, ed oggi vi scorre la via Monfalcone.
Leggendo la Deliberazione n. 2 del 07/10/1931 con cui si approvano i lavori di
sistemazione del teatro comunale, si apprende che, “dopo decenni di forzata
chiusura” i pietrini potranno vedere con gioia il teatro riportato al vecchio
splendore.
Facendo
pochi calcoli si capisce che: il teatro non era agibile dal 1910 circa; i
lavori di restauro cominciarono abbondantemente dopo la delibera della
concessione dell’appalto e furono ultimati e consegnati, alla fine del 1938.
Poi ci furono gli eventi bellici del 1939 e la guerra mondiale. E dulcis in
fundo, come si suol dire, la bomba sganciata dagli Americani il 14 Luglio 1943
che danneggiò lo spigolo del teatro, tra via Monfalcone e Piazza V. Emanuele.
Da allora il teatro restò chiuso e, dopo il 1946, la decisione irrevocabile
degli amministratori di abbattere i palchetti interni e realizzare una sala
cinematografica con possibilità di essere adibita all’occorrenza a teatro.
Nella
seconda metà del 1900 s’è parlato sempre di restauro e si sono approntati e
finanziati progetti con quali risultati? Ma qual era il teatro gioiello di cui
la gente sempre ne parla? Quello che si vede nel disegno di Ciulla o quello che
si ammira nella fotografia del 1939?
Per
dare maggiore risalto alla trasformazione del sito e potenziare il valore
architettonico dell’opera si mostrano a confronto il disegno di Michele Ciulla, unico documento finora
reperito, e fotografia del prospetto appena realizzato.
L’elencazione
delle delibere può continuare ma chiudiamo con la n. 31 del 19-02-1938, a firma
del Barone Michele Tortorici di
Michele, l’ultima del mandato a Podestà, con la quale si approvava la
contrattazione del mutuo con la Cassa DD. e PP. di £. 455.580 per le opere
della rete idrica interna. Il Barone Michele
Tortorici resta uno dei Sindaci più famosi che ha segnato la storia della
nostra cittadina. È entrato nella leggenda e tutto quello che di buono s’è
realizzato a Pietraperzia nella prima metà del 1900, la gente
comune l’attribuisce al Barone Tortorici che fu onorato da quattro mandati,
detiene il primato di Primo Cittadino più giovane, almeno fino al 2012, Governò
per 4567 giorni.
Giovanni Culmone