L’entusiasmo
acceso dalla serata “Incontro con l’Autore” fa fatica a scemare nell’animo
dei protagonisti, degli organizzatori e della folla di uditori, pertanto è
doveroso un ultimo atto: tirar fuori dagli scaffali polverosi un personaggio verghiano, conditio
sine qua non perché lo scrittore torni a sonnecchiare ripiegato tra
una pagina e l’altra, in attesa del prossimo famelico lettore.
L’arduo
compito tocca proprio a gnà Pina, la Lupa, forse
il più contorto dei personaggi usciti dalla sua penna. La novella, inclusa
nella raccolta Vita dei campi pubblicata nel 1880, tocca probabilmente gli echi
più alti del pessimismo verghiano: una donna avulsa dalla morale e dal
perbenismo femminile della stantia Sicilia, vive totalmente immersa nella
passione e nelle pulsioni del suo corpo, seducendo il genero Nanni e tradendo
la figlia Maricchia. Una vinta, nell’ottica secondo cui i vinti siano le
ostriche che si distaccano dallo scoglio, coloro che infrangono le darwiniane
e immutabili leggi, coloro che non si adeguano al loro status sociale e
naturale (la donna martire dedita al sacrificio, come molte figure femminili
presenti nei Malavoglia),
per questa ragione essa soccomberà alla follia incontenibile di Nanni. Eppure neanche
coloro che sembrano seguire il vademecum verghiano sono esenti dalla fiumana:
Il genero è tormentato dai sensi di colpa e si macchia di omicidio, Maricchia
subisce un duplice tradimento ed è sempre descritta come remissiva e piagnucolante,
una lupacchiotta.
D’altro
canto la Lupa, nella gravitas che caratterizza il finale, va incontro al suo
assassino fiera e superba, consapevole del suo destino ma non per questo
turbata, tiene in mano dei papaveri rossi simbolo dell’accecante passione che
l’ha divorata in vita, ma rosso è anche il colore del sangue che da lì a poco
si verserà, sembra quasi rivelarci il mistero dello yin e dello yang, dell’Eros
e del Thanatos. Può definirsi una vinta colei che fino alla fine dei suoi
giorni vive con una tale fierezza, cosciente di aver vissuto in simbiosi con la
sua essenza più intima? Già la contraddittorietà del personaggio ci viene
annunciata nell’incipit, secondo cui: “Era alta, magra, aveva soltanto un seno
fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se
avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e
delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano”.
La verità
è una sola: la verità non esiste. D’altronde Verga era siciliano, come
Pirandello, come Sciascia, come noi che aneliamo certezze in una terra che, per
sua natura, non può darne.
Buonanotte
Verga, puoi tornare ad appisolarti, se vuoi.
Anna Marotta