13 marzo 2019

Una grande rimpatriata



Mentre dal trenino della linea Lanzo- Ciriè-Torino, che mi riporta a casa dall'aeroporto di Caselle dopo il soggiorno a Pietraperzia, vedo in lontananza la famosa Basilica che si erge sulla collina di Superga, ho la sensazione di non avere mai fatto questo viaggio. Eppure, anche se per lo spazio di un più lungo week-end, ero stato al mio paese, rivisto gli amici e i luoghi dei primi affetti. Pochi giorni volati come un lampo, ma ne ritornavo gratificato e arricchito. Com'è strano, pensavo: quando eravamo bambini e non vedevamo l’ora che arrivasse il giorno della realizzazione di una promessa fattaci, ci sembrava che il tempo non passasse mai; ora abbiamo l’impressione che una cosa, un progetto, un evento l’hai appena immaginati che sono già realizzati e passati… e la cosa ti lascia l’amaro in bocca. “Presto giunge e passa il dì festivo”. Man mano che gli anni avanzano ci si rende conto che nel troppo breve spazio di tempo che ci è concesso dobbiamo cercare di concentrare un ampio spazio di aspettativa e di speranza: vivere intensamente in una settimana la vita di un anno. Così è stato per questa grande rimpatriata. Programmata e organizzata da Giovanni Culmone l’idea era stata accolta con entusiasmo da tutti, quanti parecchi anni addietro eravamo stati compagni di giochi, di scuola, di collegio o di istituto scolastico, colleghi, …legati comunque da amicizia. Tutti avvertivamo il bisogno di rivederci, più volte ce l’eravamo detto nelle ricorrenti telefonate, aspettavamo che qualcuno di noi prendesse un’iniziativa stringente. Così quando ci arrivò la email o la telefonata di Giovanni l’invito suonò come una “proposta che non si poteva rifiutare”. L’adesione fu immediata in qualunque posto d’Italia ci trovassimo, nelle più vicine città della Sicilia, in Lombardia, in Piemonte o a Cividale del Friuli. Arrivammo alla spicciolata. Alcuni, considerando che la data programmata per l’incontro capitava pochi giorni dopo le feste pasquali, giunsero al paese prima del venerdì santo per partecipare alla processione di “Lu Signuri di li fasci” e alle altre, non meno suggestive, che completano le solenni celebrazioni della Pasqua pietrina; altri il giorno prima della data prevista, altri ancora lo stesso giorno per trascorrere anche solo poche ore con gli amici e ritornare la sera stessa al luogo di residenza; con alcuni, dei quali le circostanze non furono favorevoli alla partenza, condividemmo la delusione di rimandare ad altra occasione il piacere di rivederci.
“L’adunata generale” era prevista sul sagrato del Santuario della Madonna della Cava ma a causa del pomeriggio freddo e ventoso gli incontri avvennero per lo più all'interno del santuario e in sacrestia. Gaetano Milino, mano a mano che entravamo in chiesa, andava registrando i nostri nomi sul suo taccuino di reporter. Fu affettuoso ed emozionante l’abbraccio tra chi non si vedeva da più di cinquant'anni. In qualche caso il riconoscimento non fu immediato ma, superato il dubbio grazie all'accenno di un minimo indizio, fu motivo di un ulteriore più sentito abbraccio. La lontananza e il tempo se avevano in parte modificato qualche tratto del viso non avevano affievolito, anzi rinforzato, il reciproco affetto. La Santa Messa, celebrata da monsignore G. Bongiovanni, anche lui uno di noi, fu seguita con raccoglimento e partecipazione. Letta per tutti da Giovanni Culmone, con grande commozione facemmo nostra la preghiera alla Madonna della Cava, del compianto Angelo Giadone, in cui non mancava il ricordo degli amici che ci hanno preceduto nella casa del Signore. Attraverso la strada tra gli uliveti raggiungemmo, dopo la Messa, la villa di Lillo Speciale dove, a gruppetti intercambiabili, proseguivano tra gli “amici di sempre” i racconti vicendevoli di eventi della vita e la presentazione delle signore di alcune delle quali se ne erano, molti anni prima, conosciuti i nomi dai biglietti di partecipazione al matrimonio. Mentre i padroni di casa si prodigavano a servire stuzzichini, tartine, brut dolci e strasecchi, aperitivi vari e grappe invecchiate, Filippo Viola ci divertiva raccontandoci episodi curiosi del tipico ambiente popolare palermitano che trasformava in vere e proprie barzellette. Filippo ci ricordava anche che cu veni a lu pajisi e nun-parla pirzisi, cci perdi la facci e cci appizza li spisi”. Lasciata Villa Speciale la compagnia si trasferì al Belvedere, nella parte alta del paese dove un ampio spazio, una volta sede di sterpaglie e dirupi, era stato trasformato in passeggiata panoramica che amplia e valorizza l’area turistica del Castello. Il Belvedere si affaccia, infatti, sulla Riserva Naturale della Valle dell’Imera (territori di Caltanissetta Enna e Pietraperzia) tra le più importanti della Sicilia, e ne consente una splendida vista. Il freddo qui era più intenso che nella Pietraperzia Bassa. Solo un’occhiata rapida potemmo rivolgere verso le luci accese di Caltanissetta per rifugiarci all'interno del locale ristorante dove eravamo attesi per la cena conviviale. Per il gruppo della storica rimpatriata il menu appositamente preparato prevedeva pietanze delle tradizioni culinarie pietrine; sensazioni di tempi passati evocavano soprattutto i primi piatti: cavati ccu li finucchjiddi rizzi e la ricotta frisca, pasta ccu li favi nuveddi…   Il vento nordico che spirava all'esterno non era avvertito all'interno dove il calore della gioia di stare insieme era palpabile. Nel corso della cena Gino Palascino volle informarci su come, durante uno dei suoi mandati di sindaco, era sorto il Belvedere. Interpretando, con una certa forzatura, come larvata disponibilità al finanziamento alcune parole del ministro dei LLPP dell’epoca, Prandini, in visita a Pietraperzia, egli era riuscito ad ottenerne una esplicita promessa, poi mantenuta, che aveva consentito la realizzazione dell’opera. Gianni Culmone, entusiasta per la riuscita della sua iniziativa, ringraziava tutti e per rimarcare il carattere di piena “pirzisità” dell’evento invitava gli autori, Filippo Viola e Salvatore Giordano, a recitare le due poesie in dialetto “Lu torcicuddu” e “Littra a lu me pajisi”. Ci si salutò all'interno del locale, alcuni dovevano fare ritorno in serata al luogo di residenza, Catania, Enna, Caltanissetta, tra tutti la promessa di non far trascorrere più tanto tempo al prossimo incontro. 


Salvatore Giordano





I nomi dei partecipanti alla rimpatriata :
Giuseppe Bonaffini, Antonino Calì, Rosaria Candolfo, Francesca Cilano, Giovanni Culmone, Diego Di Marco, Filippina Emma, Giuseppe Fallica, Filippo Falzone (alias Alberto Adamo), Totò Falzone, Maurizio Fiandaca, Lilia Filetto, Concetta Giglio,
Salvatore Giordano, Gisella Lamia, Antonietta Lipani, Costanza Messina, Filippo Messina, Enzo Paci, Vincenzo Paci, Luigino Palascino, Isabella Panevino, Ciccino Siciliano, Rosario Siciliano, Lillo Speciale, Filippo Viola, Pino Viola, Vincenzo Viola, Francesco Zappulla, Maria Zappulla, Salvatore Zappulla.
Il ringraziamento di Culmone agli amici è stato esteso “come se fossero presenti”, ai cappuccini:
Padre Gaudenzio, Padre Celestino e Padre Cosimo.




07 marzo 2019

La sarta di Maria Antonietta Memorie di Rose Bertin




Diventare “ministra della moda” di una regina non è cosa da tutti ma è quello che accadde a Rose Bertin. Nata il 2 luglio 1747 ad Abbeville, da una famiglia appartenente alla plebe, debuttò come una delle tante modiste di Parigi prima di essere notata dalla Regina di Francia e diventare la prima stilista della storia.
Spettatrice degli intrighi di corte e molto vicina alla regina di Francia, passata alla storia per diversi scandali primo fra tutti “l’affare della collana” che vide protagonisti Jeanne de Valois, insieme al conte di Cagliostro e al cardinale di Rohan ordire un piano ai suoi danni per ottenere denaro e potere. Questo episodio fu uno degli artefatti che portò alla Rivoluzione Francese che vide la disgraziata regina morire decapitata.
Rose Bertin lascia ai postumi queste memorie per difendere la persona di Maria Antonietta accusata di condurre una vita molto costosa anche per una regina. Siamo sempre stati abituati all’immagine di una Maria Antonietta trasfigurata nei film come ragazza viziata, dedita alla bella vita e incurante delle necessità del suo popolo.
Rose Bertin vuole portare alla luce un’altra immagine della regina, quella di madre dolce, familiare e ben consapevole delle sue responsabilità di regina, anche se il critico Giuseppe Scaraffia fa luce sul fatto che la sarta abbia volutamente omesso dei particolari nel suo racconto.
Siamo di fronte ad un romanzo che si legge anche in un solo giorno per il suo scorrere fluido e che in qualche modo ci regala un’immagine che forse in molti non conoscono della regina Maria Antonietta, quella di donna che si ritrova al centro di un mondo più grande di lei fatto di intrighi e sospirazioni.

Ilaria Matà






01 marzo 2019

PIETRAPERZIA NEL PALLONE


Non esisteva altro che il calcio: "LU PALLUNI". Il termine calcio non aveva ancora passato lo stretto, non c'era la TV e la radio si ascoltava poco. Parlo di fine anni 50. A quei tempi, la domenica, come tanti, andavo con mio padre a vedere la partita. Molti andavano al cinema. Il campo sportivo non era chiuso, non c'era la tribuna e non c'erano nemmeno gli spogliatoi.


Tutti i calciatori, si spogliavano sotto la tettoia d'ingresso “di lu consorziu", attuale Giaconia. L'arbitro con un fischio serrato, guidava le due formazioni al centro del campo. Non essendo recintato, uomini, donne e bambini, formavano un cordone a bordo campo si può dire che delimitavano il campo stesso. L'immancabile presenza dei carabinieri assicurava giocatori e spettatori da eventuali risse. Spesso, dentro e fuori dal campo, l'agonismo e il protagonismo sfociavano in risse furibonde, che a me, bambino incutevano paura. C'erano  anche momenti che si rideva molto, specialmente quando qualcuno non colpiva bene la palla o quando in molti ruzzolavano a terra in una mischia.
Pronti ... via. Ha inizio l'incontro... Ricordo bene, in mezzo agli altri, un giocatore dalla stazza fisica particolare. Non alto, non snello, anzi! Giocava titolare, nel ruolo di terzino destro, allora ogni giocatore aveva un RUOLO, oggi si gioca a ZONA... bbuhh!
Una volta iniziato l'incontro, il suo diretto avversario, che allora si definiva "ala sinistra", si può dire "ca nu si vidiva cchiú lustru ". Veniva braccato per tutto il tempo, tipo sorvegliato speciale, giocava d'anticipo e la cosa più impressionante, che stupiva tutti, era l'elevazione da terra quando colpiva di testa. Tirava più forte di testa che con i piedi. Parlo di Vincenzo Romano, "lu Villiri", che purtroppo non c'è più. Dopo anni ho avuto modo di conoscerlo meglio. Vincenzo Romano era un signore dentro e fuori dal campo.


Le cose della vita sono strane, anni fa, sono venuto in possesso di queste foto in cui è possibile vederlo in azione proprio mentre salta di testa, in posa con la squadra e col portiere Gaspare Celesti. Agile e preciso si stacca da terra e...


Enrico Tummino