Le procurava piacere riandare a
quei giorni, la famiglia e la grande casa con gli alti magazzini al piano
terreno ricolmi di grano, il suo paese nel cuore della Sicilia.
Il padre, commerciante
benestante, grossista di grano e mandorle, che per lei, la piccola arrivata
dopo i maschi, nutriva un’autentica predilezione che non si preoccupava di
nascondere.
Don Rosario |
Lei era affascinata da quel
padre, austero con tutti tranne che con lei, alto, bello, autorevole, elegante,
con i pollici sempre nei taschini del panciotto, don Rusà (Rosario). Lo
ricorda con lo sguardo severo e vigile quando, proprio sul finire dell'estate,
organizzava il lavoro dei mezzadri per la raccolta e la successiva lavorazione
delle mandorle. Il lavoro che consisteva nel liberare il frutto dal guscio per
ottenere la ndrita, avveniva intorno ad una lunga tavolata all'ombra del
grande noce al centro del cortile nel casale di campagna. A lei che partecipava
con i cuginetti, fino al calare del sole, sembrava un grande gioco. Ricordava
la soddisfazione del padre nel prendersi cura della vigna e conservava nelle
narici il profumo dolce del succo dell'uva appena spremuta con la pressa che
aveva spedito da Roma lo zio ufficiale dell'esercito.
La mamma, discreta e frugale, che
entrava in ansia quando arrivavano i telegrammi dell'agente di Catania che
comunicava le oscillazioni dei valori di mercato della ndrita, le
mandorle sgusciate, al punto che il marito la invitò con fermezza a non
leggerli.
I fratelli che delusero le attese
del padre per la precoce indisponibilità a proseguire negli studi, ma che
rivelarono talenti diversi da quelli auspicati che li portarono presto lontani
da casa.
Giuliano, il grande, aveva
frequentato da piccolo la sartoria di un lontano parente mostrando vera
passione per quell'arte al punto che il fratello del padre, l'ufficiale, lo
portò con sé a Roma dove intraprese una fortunata carriera di sarto alla moda.
La sua sartoria era frequentata da esponenti della buona società romana e da
qualche importante gerarca dell'allora regime fascista. Tutti gli anni, al
cambiare delle stagioni, arrivavano da Roma per il padre paltò e vestiti.
Il piccolo, Emilio, spirito
guascone, refrattario ad ogni disciplina, si rese protagonista, insieme ad un
suo compare, di scherzi feroci ai danni di malcapitati, che a quanto pare li
meritavano, e che furono a lungo argomento spassoso nelle chiacchiere dei
paesani. Ancora minorenne scappò da casa per andare a combattere come
volontario in qualcuna delle guerre di Mussolini in Africa, lasciando nella
costernazione la madre.
E poi arrivò lui, da un'altra
parte della Sicilia, veniva per contrattare con il padre l'acquisto di una
importante partita di grano o qualcosa del genere.
Se Rosario avesse immaginato lo
scompiglio che l'arrivo di quel giovane dinoccolato modicano avrebbe prodotto
nella famiglia, avrebbe evitato di invitarlo a cena e presentargli Antonietta.
Fu amore, come si dice, a prima
vista e quando, dopo solo qualche settimana, il commerciante tornò per
dichiarare le proprie intenzioni all'esterrefatto don Rosario, facendo seguire
il consistente elenco dei beni di cui disponeva nella, poi non così lontana,
Modica, l'adesione della giovanissima Antonietta fu entusiasta ed immediata.
Andò a vivere in quella casa
grande e bella con quel terrazzo che si affacciava su una campagna piatta e
ordinata, così diversa da quella aspra e gibbosa della sua terra natale, ma in
fondo altrettanto bella.
Armando Laurella
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