11 settembre 2021

ANTONIETTA, UN RACCONTO TRA MODICA E PIETRAPERZIA - 1^ parte

 


In quei lunghi pomeriggi di un settembre ancora ostinatamente caldo, trovava quiete cullandosi sulla sedia a dondolo che, amorevolmente, il marito le aveva sistemato sulla grande terrazza che dominava la piatta e ordinata campagna modicana, così diversa da quella aspra e gibbosa dei luoghi dove aveva vissuto gli anni felici dell'infanzia e dell'adolescenza.

Le procurava piacere riandare a quei giorni, la famiglia e la grande casa con gli alti magazzini al piano terreno ricolmi di grano, il suo paese nel cuore della Sicilia.

Il padre, commerciante benestante, grossista di grano e mandorle, che per lei, la piccola arrivata dopo i maschi, nutriva un’autentica predilezione che non si preoccupava di nascondere.

Don Rosario

Lei era affascinata da quel padre, austero con tutti tranne che con lei, alto, bello, autorevole, elegante, con i pollici sempre nei taschini del panciotto, don Rusà (Rosario). Lo ricorda con lo sguardo severo e vigile quando, proprio sul finire dell'estate, organizzava il lavoro dei mezzadri per la raccolta e la successiva lavorazione delle mandorle. Il lavoro che consisteva nel liberare il frutto dal guscio per ottenere la ndrita, avveniva intorno ad una lunga tavolata all'ombra del grande noce al centro del cortile nel casale di campagna. A lei che partecipava con i cuginetti, fino al calare del sole, sembrava un grande gioco. Ricordava la soddisfazione del padre nel prendersi cura della vigna e conservava nelle narici il profumo dolce del succo dell'uva appena spremuta con la pressa che aveva spedito da Roma lo zio ufficiale dell'esercito.

La mamma, discreta e frugale, che entrava in ansia quando arrivavano i telegrammi dell'agente di Catania che comunicava le oscillazioni dei valori di mercato della ndrita, le mandorle sgusciate, al punto che il marito la invitò con fermezza a non leggerli.

I fratelli che delusero le attese del padre per la precoce indisponibilità a proseguire negli studi, ma che rivelarono talenti diversi da quelli auspicati che li portarono presto lontani da casa.

Giuliano, il grande, aveva frequentato da piccolo la sartoria di un lontano parente mostrando vera passione per quell'arte al punto che il fratello del padre, l'ufficiale, lo portò con sé a Roma dove intraprese una fortunata carriera di sarto alla moda. La sua sartoria era frequentata da esponenti della buona società romana e da qualche importante gerarca dell'allora regime fascista. Tutti gli anni, al cambiare delle stagioni, arrivavano da Roma per il padre paltò e vestiti.

Il piccolo, Emilio, spirito guascone, refrattario ad ogni disciplina, si rese protagonista, insieme ad un suo compare, di scherzi feroci ai danni di malcapitati, che a quanto pare li meritavano, e che furono a lungo argomento spassoso nelle chiacchiere dei paesani. Ancora minorenne scappò da casa per andare a combattere come volontario in qualcuna delle guerre di Mussolini in Africa, lasciando nella costernazione la madre.

E poi arrivò lui, da un'altra parte della Sicilia, veniva per contrattare con il padre l'acquisto di una importante partita di grano o qualcosa del genere.

Se Rosario avesse immaginato lo scompiglio che l'arrivo di quel giovane dinoccolato modicano avrebbe prodotto nella famiglia, avrebbe evitato di invitarlo a cena e presentargli Antonietta.

Fu amore, come si dice, a prima vista e quando, dopo solo qualche settimana, il commerciante tornò per dichiarare le proprie intenzioni all'esterrefatto don Rosario, facendo seguire il consistente elenco dei beni di cui disponeva nella, poi non così lontana, Modica, l'adesione della giovanissima Antonietta fu entusiasta ed immediata.

Andò a vivere in quella casa grande e bella con quel terrazzo che si affacciava su una campagna piatta e ordinata, così diversa da quella aspra e gibbosa della sua terra natale, ma in fondo altrettanto bella.

Armando Laurella





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