12 febbraio 2024

RACCONTI DI MINIERA - Le Recensioni di Salvatore Marotta

Racconti di miniera
Storie vere di gente di zolfara

Mario e Laura Zurli
edizioni Lussografica 2008.


"Racconti di miniera", il libro di Mario e Laura Zurli, ha il merito di rievocare e ricostruire la memoria di una civiltà scomparsa, quella della zolfara. Mario Zurli, umbro di origine e nisseno di adozione, racconta i fatti personalmente vissuti in tanti anni di lavoro come funzionario tecnico amministrativo nelle diverse miniere di zolfo fra le province di Caltanissetta, Enna ed Agrigento, dov'erano racchiusi i giacimenti zolfiferi più ricchi del mondo. Nella prima parte del libro si traccia una storia delle zolfare siciliane, una storia durata 250 anni e conclusa soltanto nel 1985 quando vennero chiuse tutte le miniere di zolfo siciliane. Una storia lunga e tragica, fatta di sfruttamento e condizioni lavorative indicibili. Basti pensare ai famosi "carusi", ragazzini che lavoravano anche 12 ore al giorno trasportando sulle spalle un sacco carico di materiale scavato nelle gallerie dove il calore poteva arrivare a superare anche i 50 gradi. Una storia costellata di molti lutti e incidenti, come quello immane del 1881 dove perirono 65 minatori nella miniera Gessolungo in provincia di Caltanissetta, tra cui 19 "carusi". Gli autori fanno rivivere i drammi, le tensioni, le emozioni di quel mondo, come nel racconto "Tatò e Tatò", primo classificato al Premio letterario nazionale 1998 città di Cassino. Tatò e Tatò erano padre e figlio personalmente conosciuti da Mario Zurli. Un giorno furono trovati morti a causa dell'idrogeno solforato, un gas inodore mortale. Nel libro trovano spazio anche i racconti di vita paesana siciliana, per rendersi conto del contesto culturale e socioeconomico della Sicilia degli anni Cinquanta e oltre. Nelle zolfare trovarono lavoro migliaia di lavoratori siciliani, ma a quale prezzo e a quali condizioni! Quel mondo, quelle sofferenze per molto tempo sono finiti nell'oblio, ma è giusto conoscerle perché rappresentano, come scrive la professoressa Fiorella Falci nella prefazione "una tragedia esistenziale e collettiva che ha costretto per due secoli un intero popolo a danzare ogni giorno con la morte: e questo spiega tanto di noi, oggi, le nostre paure e il nostro coraggio, la viltà e il gusto della sfida, la nobiltà e la miseria che si risvegliano ancora nella nostra esperienza contemporanea senza dichiarare la loro origine, ma come una forza primigenia, di cui possiamo ritrovare e comprendere la radice, anche attraverso queste pagine".



08 gennaio 2024

PICCOLA PRETURA (IN NOME DELLA LEGGE) - Le Recensioni di Salvatore Marotta

PICCOLA PRETURA (IN NOME DELLA LEGGE).
Giuseppe Guido Loschiavo
Aulino editore, Sciacca 2019.

 

La riscoperta letteraria del romanzo autobiografico "Piccola pretura" del magistrato scrittore Giuseppe Guido Loschiavo si deve all'editore Aulino di Sciacca che nel 2019 ha curato la pubblicazione di una nuova edizione. Da questo romanzo, pubblicato nel 1948, fu tratto il famoso film di Pietro Germi "In nome della legge" (1949) abbastanza aderente al testo originale e che vinse tre Nastri d'argento. Loschiavo ambienta la vicenda del romanzo nel 1921 con chiaro riferimento alla sua esperienza di giovanissimo pretore a Barrafranca, nell'ennese. La trama. Il giovane pretore Guido Schiavi (chiaro il riferimento autobiografico) arriva nel paesino di Capodarso (in realtà Barrafranca) per assumere la direzione della locale pretura, lasciata dal suo predecessore "scappato" da quel luogo infido dopo appena tre mesi. Particolareggiata, nel romanzo, la descrizione del paese, dei vari quartieri e della popolazione "quasi tutta composta da braccianti agricoli e da zolfatai, ogni mattina e ogni sera percorreva a piedi da tre a cinque ore di strade per recarsi al lavoro e ritornare a casa". "In questo ambiente interessi particolari e generali, bizze ed odio, gelosie e rancori, femmine e bestie, formavano oggetto quotidiano di improvvise esplosioni di matta bestialità. Inesorabilmente nella notte dal sabato alla domenica venivano eseguite le sentenze della mafia. Così, di solito. Negli altri giorni la malavita spicciola e i banditi organizzati commettevano ruberie ed assasdinii". Da subito il pretore deve cercare di risolvere i primi omicidi, nel giorno stesso del suo arrivo, ma si scontrerà con l'assoluta omertà della popolazione. Da troppo tempo la "legge" viene riconosciuta nel capomafia massaro Turi Passalacqua e nel barone Lo Vasto. Le uniche persone in cui il pretore troverà conforto sono il maresciallo dei carabinieri, un giovane contadino di nome Paolino, e Teresa, la moglie del barone, per la quale Guido Schiavi prova subito un'attrazione (corrisposta). Quando il pretore cerca di far riaprire la miniera amministrata dal barone che ha lasciato nella disperazione duecento famiglie avviene un durissimo scontro con il signorotto del luogo, il quale cerca inutilmente di corrompere il pretore. Lo scontro con il barone gli costerà le rampogne del Procuratore "Perché si preoccupa tanto della causa civile della zolfara di Galati? Che interesse ha? Come si è permesso di recarsi in casa del Barone e insultarlo?" e anche un attentato dal quale per fortuna uscirà solo ferito. Avvilito e sfiduciato da tutte le ostilità subite il giovane pretore pensa di andarsene, ma la notizia dell'assassinio del fidato amico Paolino ad opera del mafioso Ciccio Messana per una vendetta privata (entrambi si contendevano una ragazza innamorata di Paolino) induce il pretore a restare e a compiere fino in fondo il proprio dovere, costi quel che costi. Guido Schiavi convoca la popolazione, nel libro l'incontro si svolge nel pretorio, nel film in piazza dopo aver fatto suonare le campane a martello. Il suo è un atto di accusa a tutto il paese, un vero e proprio "processo": "Voi, che invece di aiutarmi a svolgere il mio compito, mi avete considerato un nemico della vostra pigrizia. Voi, che avete creato mille ostacoli al mio lavoro, che mi avete osteggiato come e quando avete potuto, che mi avete disprezzato e ignorato, denunciandomi come un perturbatore della vostra comoda quiete. Voi tutti, uomini e donne, che vi siete lasciati avvilire dalla paura anche quando si trattava di scoprire e punire gli assassini dei vostri figli, che avete tentato di sopraffare la legge persino quando difendeva i vostri interessi". Il messaggio sembra essere capito dal capomafia Turi Passalacqua che ordina ai suoi scagnozzi di consegnare all'autorità legittima Ciccio Messana. Così il pretore arrestandolo può pronunciare la fatidica formula "In nome della legge". Occorre dire che il romanzo e il film rappresentano la prima opera letteraria e cinematografica che affronta per la prima volta il tema della mafia, primato erroneamente attribuito spesso a "Il giorno della civetta" di Sciascia. Certo, le parole usate nel romanzo con cui il pretore riconosce in Turi Passalacqua " il vero re del paese" sono oggettivamente infelici e hanno dato adito ad alcuni di criticare il messaggio trasmesso, come di una specie di "riconoscimento" del potere del capomafia, anche se, a volerla dire tutta, Passalacqua rappresenta la figura del "pentito" ante litteram. Così, infatti, fu descritto a Buscetta dai mafiosi che giudicavano il suo comportamento indegno di un "uomo d'onore".Noi crediamo che ogni cosa per essere davvero capita vada collocata nel periodo in cui viene prodotta e quando uscì il romanzo molti negavano addirittura l'esistenza della mafia! Nel film, invero, il messaggio è chiaro: il pretore guarda negli occhi Turi Passalacqua e ribadisce: "IN NOME DELLA LEGGE!".


20 novembre 2023

Miseria e nobiltà in Sicilia - Le Recensioni di Salvatorte Marotta

Miseria e nobiltà in Sicilia
Antonino Cangemi
Navarra editore, Palermo 2019.

 


In un vecchio numero di Meridiani dedicato alla Sicilia, uno dei più belli in assoluto, lo scrittore Gesualdo Bufalino si chiedeva quale fosse "il segreto di gente tanto dispari" e metteva in risalto le numerose contraddizioni, anzi gli opposti, di una Sicilia che Bufalino definiva "terra degli eccessi". È assumendo questa panoramica che Antonino Cangemi ha scritto questo godibilissimo libro "Miseria e nobiltà in Sicilia" che reca come sottotitolo "Vite di aristocratici eccentrici e poveri talentuosi". Dalla rivolta dei Vespri fino alla seconda metà del Novecento, l'autore traccia il profilo di aristocratici e di poveri o poveracci che in ogni caso sono accomunati dall'essere eccentrici o talentuosi o entrambe le cose. "Nel raccontare le vite di uomini e donne comunque affascinanti - scrive Cangemi nell'Introduzione- si è tentato di trovare un equilibrio tra gli aspetti più esteriori, che ne mettono in risalto curiosità e suggestioni, e quelli interiori che, nel rispetto delle persone, danno rilievo ai tratti più intimamente umani. Almeno, ci si è mossi con questo proposito. Se raggiunto o meno, giudicheranno i lettori". A nostro avviso, pienamente raggiunto. Il primo ritratto degli aristocratici eccentrici riguarda il barone Pietro Pisani che nel 1824 venne nominato deputato all'Ospizio dei Matti di Palermo. Pisani denunciò subito le condizioni inaccettabili in cui erano ammassati i malati e il loro trattamento disumano e alle parole fece seguire i fatti. Debellato l'uso di catene e bastoni, si iniziò a dividere i malati per tipologie patologiche, si migliorò il vitto e iniziarono le prime pratiche ricreative; in seguito venne approvato un minuzioso regolamento riguardante sia gli aspetti organizzativi che il trattamento dell'alienazione mentale e fu ristrutturato l'edificio per rendere i locali più accoglienti, confortevoli, gradevoli e funzionali alla terapia. Nel giardino venne addirittura costruito un teatro. Col passare degli anni la Real Casa dei Matti di Palermo diventò famosa destando interesse e curiosità e furono in tanti a visitarla, nel 1827 arrivò il duca di Buckingham che rimase sbalordito dall'accoglienza degli stessi malati; le visite si intensificarono finché nel 1835 arrivò il visitatore più famoso, Alexandre Dumas che ne fece cenno ne "Il conte di Montecristo". Due anni dopo a Palermo scoppiò la peste e il 6 luglio 1837 il barone Pisani si spense e con lui finì anche la felice stagione della Real Casa dei Matti. Nello spazio di una recensione non possiamo nominare tutti, tra i tanti personaggi di cui si parla ricordiamo il principe Raniero Alliata di Pietratagliata, cultore di esoterismo e per questo soprannominato "il principe mago", ma Raniero Alliata viene ricordato per la sua passione e competenza per l'entomologia e per la sua eccezionale collezione di insetti che si può ammirare presso il museo regionale di Terrasini; Franca Florio, la "regina di Palermo", la donna più bella d'Europa, corteggiatissima e ammirata ,la cui fortuna fu legata al matrimonio con Ignazio Florio junior. Ma è possibile passare dall'estrema ricchezza alla tristezza delle ristrettezze economiche? Da Villa Igea ad una casa presa in affitto? Una favola amara quella toccata a Donna Franca e al marito rampollo di una famiglia che aveva ottenuto tutto e si ritrovò dopo tre generazioni al punto di partenza. In maniche di camicia. La galleria di personaggi è davvero ricca, ci sono i poeti Lucio Piccolo di Calanovella, cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, da qualche tempo riscoperto, Antonio Veneziano e quel famoso Petru Fudduni, autentico genio dell'improvvisazione poetica, famose sono rimaste le sue battute taglienti e le sfide a suon di versi con gli altri poeti che Fudduni vinceva regolarmente. La sua storia cammina tra leggenda e realtà, alla fine di un'esistenza turbolenta si dedicò ad un'opera su Santa Rosalia per la quale nutriva un'autentica venerazione. E ancora, apprendiamo la storia di Filippo Bentivegna e del suo "castello incantato", un museo a cielo aperto fatto di teste scolpite sulle pietre e negli alberi; e avete mai sentito parlare di Francesco Procopio dei Coltelli, inventore del gelato? Fu lui a fondare nel 1686 il caffè Le Procope, la prima gelateria di Parigi. A contendersi l'inventore del gelato sono Palermo e Aci Trezza, ognuno ne rivendica la paternità. Ma forse una via di mezzo c'è e potrebbe accontentare entrambi: Francesco Procopio sarebbe nato a Palermo e in seguito si sarebbe trasferito ad Aci Trezza. In questa galleria non potevano certo mancare i briganti e non poteva mancare il più famoso di essi: Antonino Di Blasi detto Testalonga di Pietraperzia. L'ultimo capitolo del libro è dedicato a lui. La banda Di Blasi, insieme agli uomini di Romano di Barrafranca e Guarnaccia di Regalbuto controllava buona parte del territorio siciliano. Nel ripercorrere sinteticamente la storia del bandito, della cattura della banda e quell'orribile fine che gli riservò il potere dell'epoca, l'autore cita la giovane studiosa pietrina Anna Marotta che al bandito ha dedicato una pregevole opera:"Il bandito Testalonga" . L'autore conclude citando la lotta senza quartiere tra il vicario Giuseppe Lanza di Trabia e Testalonga, ma mentre del vicario nessuno si ricorda, Testalonga è diventato protagonista di narrazioni di ogni genere. Insomma, alla fine ha vinto lui perché "U cavaddu bbonu si vidi a cursa longa".

Vizi e virtù, avventure e follie, creatività, estro, talento, miseria e nobiltà. Sono i personaggi che ci racconta Antonino Cangemi e nel farlo ci racconta l'anima della Sicilia.