28 marzo 2018

Trovatelli e Ruota di Pietraperzia: I "proietti" - 2^ Parte




A Pietraperzia è tuttora possibile monitorare il fenomeno dei proietti inclusi nell'elenco dei battezzati dei libri della Parrocchia Santa Maria Maggiore dal 1600 al 1950. Senza contare i neonati, privi di paternità certa, l’elenco degli abbandoni, molto elevato, evidenzia lo spaccato di miseria sociale di quegli anni oscuri. Il fenomeno, già molto antico, era diventato abominevole e disumano fin dal 1600. Alle sfortunate mamme, a volte vittime di stupri e di abbandoni, esposte alla riprovazione sociale e spesso ingiustamente ritenute responsabili di colpe non loro, venivano additate come “donna libera”, “meretrice” e altro d’irripetibile. Ai pochi bambini, ritrovati per caso e forse strappati temporaneamente alla morte, venivano appiccicati nomignoli spregiativi e denigratori: “bastardello”, “figlio dello Spirito Santo.
I trovatelli, proietti, esposti o come dir si voglia, i più fortunati registrati senza un cognome, diventavano esseri privi di dignità e di identità umana, abbandonati ai capricci della natura e consegnati all’oblio del tempo; era impossibile, come lo è ancora oggi, seguire il tracciato della loro vita per conoscerne il vissuto. Della maggior parte di loro e della stragrande maggioranza, venuta alla luce e mai registrata, nessuno saprà più niente. La magnanimità di alcuni, e ce ne sono stati tanti nel passato, disposti a farsi carico, per tutta la vita, di uno di questi derelitti, trovato per caso, non ha affrontato e tantomeno risolto l’antico e problematico fenomeno dell’abbandono. Nacque allora l’idea della “Ruota”, non come semplice attrezzo per recuperare nascituri, ma come struttura sociale finalizzata al recupero immediato dei proietti e poi alla loro crescita e al loro inserimento nel tessuto sociale.
Nel 1751 il viceré borbonico, Duca Laviefuille, sollecitato dai parroci dell’isola, cominciò ad interessarsi dei proietti. Tanti anni dopo, con la circolare del Marchese Fogliani pare che si abbia avuto voglia di affrontare definitivamente l’annoso e mai risolto problema. Il provvedimento incontrò non poche difficoltà applicative, specie nei piccoli comuni e si trascinò fino alla fine del secolo.
Tra il 1753 ed il 1768 la frequenza di bambini abbandonati e ritrovati ancora vivi diventa più frequente. In quegli anni era Parroco l’Arcipresbitero Don Michele Ramistella, da cui dipendeva il Santuario Madonna della Cava ed erano gli anni in cui le autorità centrali stavano intensificando gli sforzi per istituire la “Ruota dei proietti”. Qualcuno, a conoscenza del progetto e interessato a ridurre la piaga dell’abbandono, avrà illustrato favorevolmente la proposta della istituenda “Ruota”. Persone interessate, intuendo che a breve le proprie creature sarebbero potuto diventare ospiti della “Ruota”, si adoperarono ad abbandonarli in luoghi ritenuti sicuri e di facile ritrovamento, per evitare probabili attacchi di cani randagi o altri animali selvatici.
Dall'elenco dei battezzati, da cui questo lavoro trae tutte le informazioni, non si rileva, in quegli anni, l’esistenza di una sola organizzazione pubblica che si facesse carico del problema dei proietti. Solo madrine e/o padrini, presenti al rito del battesimo, solo rari  volontari disposti all'adozione, avrebbero potuto assumersi tale pesante onere per tutta la vita. Per i neonati abbandonati, senza fortuna d’incontrare persone motivate all'adozione, c’era la più totale indifferenza.
Sarebbe interessante capire perché degli 86 trovatelli registrati nell’arco di 26 anni, tra il 21 marzo 1756 e il 4 dicembre 1782, solamente 5 siano stati affidati ad una fantomatica ruota.
Con l'annessione del Regno di Napoli al Regno Italico (1806-1815) ad opera di Napoleone, la Ruota nel meridione, venne ufficialmente istituita in numerosi paesi del Sud per la tutela pubblica dell'infanzia abbandonata.
In realtà ruote degli esposti erano presenti a Catania, Messina, Napoli anche prima del 1800. In alcune grandi città o in centri abitativi più grossi esistevano dei brefotrofi che accoglievano anche bambini arrivati da lontano, portati da uomini prezzolati, ma pochi riuscivano a superare lo stress del trasporto. Contenuti in ceste di vimini, a volte portati a spalla, esposti alle intemperie, alimentati solo occasionalmente e in modo assolutamente incongruo, in condizioni igieniche spaventose, spesso eliminati per strada o gettati nei fossi come oggetti fastidiosi e ingombranti; quei pochi che sopravvivevano fino al brefotrofio spesso morivano poco dopo perché giunti in condizioni estreme.
La mortalità dei bambini abbandonati era altissima alla fine dell'ottocento; si stima che ne morissero all'incirca la metà nel primo anno di vita e un'altra metà prima del compimento del settimo anno.
Le ragioni di questo alto tasso di mortalità, in linea con quello di altri paesi europei, erano legate principalmente a due ordini di fattori: il periodo trascorso al freddo e la malnutrizione, oltre alle malattie infettive contratte nei luoghi di degenza.
La "Ruota" lasciava comunque i piccoli "esposti" al freddo anche se per un periodo di tempo minore rispetto ai tanti neonati lasciati davanti alle chiese; proprio da questa "esposizione" nacque il cognome Esposito che era dato a molti di questi infelici. E se nel napoletano era Esposito il cognome più adoperato per questi bambini, nel Lazio si utilizzava soprattutto Proietti derivante da "proietto" cioè gettato via.
In altre parti d'Italia, altri cognomi segnavano i bambini abbandonati: Colombo a Milano, Innocenti a Firenze, Della Scala a Siena e poi Trovato, Del Frate, in altre località.
Colei che per prima accoglieva il neonato, prestando le prime cure e scegliendo, nella maggior parte dei casi, il nome di battesimo, era la “pia ricevitrice”, una donna, spesso una suora, (a Pietraperzia era una donna con esperienza pluriennale di mamma) che aveva il compito, al suonare della campanella esterna, di prelevare i trovatelli dalla ruota.


Giovanni Culmone






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