A Pietraperzia è tuttora possibile
monitorare il fenomeno dei proietti inclusi nell'elenco dei battezzati dei
libri della Parrocchia Santa Maria Maggiore dal 1600 al 1950. Senza contare i
neonati, privi di paternità certa, l’elenco degli abbandoni, molto elevato,
evidenzia lo spaccato di miseria sociale di quegli anni oscuri. Il fenomeno,
già molto antico, era diventato abominevole e disumano fin dal 1600. Alle
sfortunate mamme, a volte vittime di stupri e di abbandoni, esposte alla
riprovazione sociale e spesso ingiustamente ritenute responsabili di colpe non
loro, venivano additate come “donna libera”, “meretrice” e altro d’irripetibile.
Ai pochi bambini, ritrovati per caso e forse strappati temporaneamente alla
morte, venivano appiccicati nomignoli spregiativi e denigratori: “bastardello”,
“figlio dello Spirito Santo.
I trovatelli, proietti, esposti o come dir
si voglia, i più fortunati registrati senza un cognome, diventavano esseri
privi di dignità e di identità umana, abbandonati ai capricci della natura e
consegnati all’oblio del tempo; era impossibile, come lo è ancora oggi, seguire
il tracciato della loro vita per conoscerne il vissuto. Della maggior parte di
loro e della stragrande maggioranza, venuta alla luce e mai registrata, nessuno
saprà più niente. La magnanimità di alcuni, e ce ne sono stati tanti nel
passato, disposti a farsi carico, per tutta la vita, di uno di questi
derelitti, trovato per caso, non ha affrontato e tantomeno risolto l’antico e
problematico fenomeno dell’abbandono. Nacque allora l’idea della “Ruota”, non
come semplice attrezzo per recuperare nascituri, ma come struttura sociale
finalizzata al recupero immediato dei proietti e poi alla loro crescita e al
loro inserimento nel tessuto sociale.
Nel
1751 il viceré borbonico, Duca Laviefuille,
sollecitato dai parroci dell’isola, cominciò ad interessarsi dei proietti.
Tanti anni dopo, con la circolare del Marchese Fogliani pare che si abbia avuto
voglia di affrontare definitivamente l’annoso e mai risolto problema. Il
provvedimento incontrò non poche difficoltà applicative, specie nei piccoli
comuni e si trascinò fino alla fine del secolo.
Tra il 1753 ed il 1768 la frequenza di
bambini abbandonati e ritrovati ancora vivi diventa più frequente. In quegli
anni era Parroco l’Arcipresbitero Don Michele Ramistella, da cui dipendeva il
Santuario Madonna della Cava ed erano gli anni in cui le autorità centrali
stavano intensificando gli sforzi per istituire la “Ruota dei proietti”.
Qualcuno, a conoscenza del progetto e interessato a ridurre la piaga
dell’abbandono, avrà illustrato favorevolmente la proposta della istituenda
“Ruota”. Persone interessate, intuendo che a breve le proprie creature
sarebbero potuto diventare ospiti della “Ruota”, si adoperarono ad abbandonarli
in luoghi ritenuti sicuri e di facile ritrovamento, per evitare probabili
attacchi di cani randagi o altri animali selvatici.
Dall'elenco dei battezzati, da cui questo
lavoro trae tutte le informazioni, non si rileva, in quegli anni, l’esistenza
di una sola organizzazione pubblica che si facesse carico del problema dei
proietti. Solo madrine e/o padrini, presenti al rito del battesimo, solo
rari volontari disposti all'adozione,
avrebbero potuto assumersi tale pesante onere per tutta la vita. Per i neonati
abbandonati, senza fortuna d’incontrare persone motivate all'adozione, c’era la
più totale indifferenza.
Sarebbe
interessante capire perché degli 86 trovatelli registrati nell’arco di 26 anni,
tra il 21 marzo 1756 e il 4 dicembre 1782, solamente 5 siano stati affidati ad
una fantomatica ruota.
Con
l'annessione del Regno di Napoli al Regno Italico (1806-1815) ad opera di
Napoleone, la Ruota nel meridione, venne ufficialmente istituita in numerosi
paesi del Sud per la tutela pubblica dell'infanzia abbandonata.
In
realtà ruote degli esposti erano presenti a Catania, Messina, Napoli anche
prima del 1800. In alcune grandi città o in centri abitativi più grossi
esistevano dei brefotrofi che accoglievano anche bambini arrivati da lontano,
portati da uomini prezzolati, ma pochi riuscivano a superare lo stress del
trasporto. Contenuti in ceste di vimini, a volte portati a spalla, esposti alle
intemperie, alimentati solo occasionalmente e in modo assolutamente incongruo,
in condizioni igieniche spaventose, spesso eliminati per strada o gettati nei
fossi come oggetti fastidiosi e ingombranti; quei pochi che sopravvivevano fino
al brefotrofio spesso morivano poco dopo perché giunti in condizioni estreme.
La
mortalità dei bambini abbandonati era altissima alla fine dell'ottocento; si
stima che ne morissero all'incirca la metà nel primo anno di vita e un'altra
metà prima del compimento del settimo anno.
Le
ragioni di questo alto tasso di mortalità, in linea con quello di altri paesi
europei, erano legate principalmente a due ordini di fattori: il periodo
trascorso al freddo e la malnutrizione, oltre alle malattie infettive contratte
nei luoghi di degenza.
La
"Ruota" lasciava comunque i piccoli "esposti" al freddo
anche se per un periodo di tempo minore rispetto ai tanti neonati lasciati
davanti alle chiese; proprio da questa "esposizione" nacque il
cognome Esposito che era dato a molti di questi infelici. E se nel napoletano
era Esposito il cognome più adoperato per questi bambini, nel Lazio si utilizzava
soprattutto Proietti derivante da "proietto" cioè gettato via.
In
altre parti d'Italia, altri cognomi segnavano i bambini abbandonati: Colombo a
Milano, Innocenti a Firenze, Della Scala a Siena e poi Trovato, Del Frate, in
altre località.
Colei
che per prima accoglieva il neonato, prestando le prime cure e scegliendo,
nella maggior parte dei casi, il nome di battesimo, era la “pia ricevitrice”,
una donna, spesso una suora, (a Pietraperzia era una donna con esperienza
pluriennale di mamma) che aveva il compito, al suonare della campanella
esterna, di prelevare i trovatelli dalla ruota.
Giovanni Culmone
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