Zero K è l’ultimo romanzo del grande scrittore
statunitense Don DeLillo. Il titolo fa riferimento allo zero Kelvin, la
temperatura più bassa teoricamente raggiungibile e tratta il tema
dell’immortalità attraverso la crioterapia, il congelamento dei corpi e delle
coscienze in attesa di un futuro in cui poter godere una nuova vita grazie ai
progressi della scienza.
La storia è narrata in prima persona da
Jeffrey Lockhart, figlio del magnate Ross Lockart e principale finanziatore
della clinica segreta realizzata in un luogo sperduto del Kazakistan e che
offre il servizio d’ibernazione. Ross svela al figlio il progetto Convergence e
lo prega di accompagnarlo alla base tecnologica per dare l’ultimo saluto ad
Artis, la matrigna gravemente malata, sottoposta alla terapia di
pre-ibernazione prima dell’ingresso nella capsula conservativa.
Jeffrey è sconcertato e turbato dalla
rivelazione, e fin dalle primissime pagine è possibile cogliere l’attrito
esistente tra padre e figlio, (i motivi di tanto astio saranno svelati in
seguito). Jeffrey Lockhart incarna nel libro lo scetticismo sulla fede in
un’altra vita e l’opinione che la scienza sia fonte d’illusioni quanto la
religione. È forte il diverso approccio dei due uomini nei confronti della
morte ma anche della vita e di come spenderla.
Il romanzo è diviso in due parti ben
distinte: la prima è ambientata nella clinica segreta che ospita i pazienti
sottoposti al processo di crioconservazione, la seconda si svolge a New York e
ha come protagonisti il figlio Jeffrey, la sua compagna attuale Emma e Stack,
il figlio adottivo di lei.
Si fa fatica a passare dall’una
all’altra parte, la seconda ancora più visionaria della clinica dai corridoi
labirintici con porte color pastello che non portano da nessuna parte.
Jeffery dà voce a tutte le sue paranoie,
tipo controllare il gas, controllare tasca-chiavi-portafoglio o giocare con le
parole, stressandole fin nella singola lettera. E tra le pagine appaiono i
ricordi d’infanzia, la morte della madre, i dubbi sul funzionamento dei loculi
surgelati, dei trapianti di organi e tessuti, degli individui che si
risvegliano “rimessi a nuovo” o il senso dell’immortalità: ma è proprio vero
che vogliamo vivere per sempre?
Perché l’obiettivo di Convergence è
ottenere il controllo sulla morte, conquistare la libertà di decidere se non
quando nascere, almeno quando morire, confidando nel potere supremo della
scienza. Al risveglio, i nuovi corpi saranno sani, giovani, perfetti, e
parleranno una lingua nuova, unica e universale.
Lo stile minimale di DeLillo è ancora
più spoglio del solito, lo definirei gelido e asettico come l’ambientazione.
Confesso che ho preferito di gran lunga la prima parte, più interessante e
accattivante, trovando la seconda troppo sconclusionata anche nel linguaggio
adottato. Mi è piaciuto il personaggio di Jeffery in cui ho ritrovato
l’approccio alla vita cinico e sprezzante dei giovani d’oggi, senza speranza e
arresi a un futuro senza prospettive. Non si direbbe sia un romanzo scritto da
un ottantenne.
DeLillo non è uno scrittore facile, ho
letto tre dei suoi diciassette romanzi e ogni volta mi è rimasto in bocca un
pizzico di delusione. Zero K non mi ha convinto completamente ma leggere questo
grande autore è comunque un’esperienza che consiglio.
Fabiola Gravina
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