02 novembre 2017

La Lupa tra Eros e Thanatos

L’entusiasmo acceso dalla serata “Incontro con l’Autore” fa fatica a scemare nell’animo dei protagonisti, degli organizzatori e della folla di uditori, pertanto è doveroso un ultimo
atto:  tirar fuori dagli scaffali polverosi un personaggio verghiano, conditio sine qua non perché lo scrittore torni a sonnecchiare ripiegato tra una pagina e l’altra, in attesa del prossimo famelico lettore.
L’arduo compito tocca proprio a gnà  Pina, la Lupa, forse il più contorto dei personaggi usciti dalla sua penna. La novella, inclusa nella raccolta Vita dei campi pubblicata nel 1880, tocca probabilmente gli echi più alti del pessimismo verghiano: una donna avulsa dalla morale e dal perbenismo femminile della stantia Sicilia, vive totalmente immersa nella passione e nelle pulsioni del suo corpo, seducendo il genero Nanni e tradendo la figlia Maricchia. Una vinta, nell’ottica secondo cui i vinti siano le ostriche che si distaccano dallo scoglio, coloro che infrangono le darwiniane e immutabili leggi, coloro che non si adeguano al loro status sociale e naturale (la donna martire dedita al sacrificio, come molte figure femminili presenti nei Malavoglia), per questa ragione essa soccomberà alla follia incontenibile di Nanni. Eppure neanche coloro che sembrano seguire il vademecum verghiano sono esenti dalla fiumana: Il genero è tormentato dai sensi di colpa e si macchia di omicidio, Maricchia subisce un duplice tradimento ed è sempre descritta come remissiva e piagnucolante, una lupacchiotta.




D’altro canto la Lupa, nella gravitas che caratterizza il finale, va incontro al suo assassino fiera e superba, consapevole del suo destino ma non per questo turbata, tiene in mano dei papaveri rossi simbolo dell’accecante passione che l’ha divorata in vita, ma rosso è anche il colore del sangue che da lì a poco si verserà, sembra quasi rivelarci il mistero dello yin e dello yang, dell’Eros e del Thanatos. Può definirsi una vinta colei che fino alla fine dei suoi giorni vive con una tale fierezza, cosciente di aver vissuto in simbiosi con la sua essenza più intima? Già la contraddittorietà del personaggio ci viene annunciata nell’incipit, secondo cui: “Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano”.

La verità è una sola: la verità non esiste. D’altronde Verga era siciliano, come Pirandello, come Sciascia, come noi che aneliamo certezze in una terra che, per sua natura, non può darne.

Buonanotte Verga, puoi tornare ad appisolarti, se vuoi.

Anna Marotta



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