Dopo la liberazione dell’Italia del nord la guerra
in Europa continuò ancora per circa due settimane; ebbe termine l’8 maggio 1945
con la resa incondizionata della Germania nazista alle Forze Alleate. Grande
era stato il contribuito della resistenza armata dei partigiani dei paesi
dovunque sventolasse il sinistro simbolo della svastica. Liquidata la Repubblica di Salò, la nostra penisola tornò a essere
uno stato unitario, il Regno d’Italia, appunto, sotto Casa Savoia; legge
fondamentale lo Statuto Albertino del 1848.
La questione istituzionale
La
conclusione della guerra rappresentò per l’Italia non soltanto la fine del
conflitto e la liberazione dal nazifascismo ma portò anche a uno sconvolgimento
politico istituzionale. La resistenza ne era stata la premessa. Colpe erano
attribuite alla corona riguardo al ventennio fascista fin dalla sua presa di
potere e alle tristi vicende belliche. Al loro ritorno in patria, nel giugno
del ’46, i prigionieri trovavano una nuova situazione politica: l’Italia non
era più una monarchia. La questione della forma istituzionale era stata posta
nel giugno 1944: il Governo di Unità Nazionale costituito dai partiti del CLN
dopo la liberazione di Roma (04/06/44), concordava con il Capo dello Stato,
Luogotenente Umberto II, di demandare ai cittadini italiani, uomini e donne, la
scelta della forma istituzionale dell’Italia. Con la guerra mondiale ancora in
corso e mentre al nord infuria la lotta dei partigiani contro il nazifascismo,
la consultazione generale del popolo italiano era rimandata alla fine della
guerra.[1]
Il Referendum Istituzionale avvenne il 2 giugno del 1946, e per la prima volta, in Italia, votarono anche le donne[2] che si recarono alle urne in 13 milioni contro 12 milioni di uomini, pari all’89,9% dei 28.005 450 aventi diritto. I fautori della Monarchia avevano tentato di fare slittare la data del referendum, sperando nel voto favorevole dei prigionieri di guerra che si sapeva imminente. Ma, a parte il loro numero insufficiente a colmare la differenza di due milioni di voti con i quali la Repubblica aveva prevalso (12.717.923 voti contro 10.919.284 (gli Italiani che avevano subito lunghi anni di prigionia ammontavano a 653.904 [3]) ammesso che tutti avessero votato per la monarchia-, era cosa molto dubbia che i reduci della prigionia fossero disposti a dare il loro consenso al governo del Re. I disagi vissuti a causa della guerra e della prigionia, il contatto con altre realtà politiche e sociali avevano aperto loro gli occhi circa la natura del fascismo, cui, da giovani, in molti avevano dato la loro adesione, per considerare sotto un’ottica più ponderata e matura le responsabilità e i coinvolgimenti della corona nelle vicende del ventennio e della guerra. In ogni caso il voto dei prigionieri di guerra sarebbe stato ininfluente, ai fini dell’esito della scelta istituzionale, poiché la Monarchia, con il 63,8 %, prevalse in tutte le regioni del sud (dal Lazio alla Calabria e isole- Sicilia: 64,7%-, meno Trapani che votò per la Repubblica); la Repubblica in tutto il nord con il 62,2 %, tranne la Valle d’Aosta.
In pratica l’Italia ne usciva divisa in due:
una parte, quelli che erano stati i territori del Regno del Sud, a maggioranza
monarchica, “azzurra”; e una parte a maggioranza repubblicana “rossa”, i paesi
della Resistenza a nord del Lazio. Non mancarono le proteste e le contestazioni
da parte dei fautori della Monarchia ma il voto degli italiani fu convalidato
dalla Corte di Cassazione: gli Italiani democraticamente si erano espressi a
favore della forma repubblicana dello Stato. Umberto II già Luogotenente del Regno,
Re d’Italia dal 5 maggio, per abdicazione del padre, al 2 giugno 1946, lascia
l’Italia per l’esilio in Portogallo.
La Nuova Carta Costituzionale
Nella giornata del 2 giugno i cittadini
italiani avevano anche votato l’Assemblea Costituente, 556 persone
rappresentanti dei partiti, ossia l’organismo preposto alla stesura del nuovo
Statuto della Repubblica Italiana, La Costituzione. Nei mesi precedenti si erano
intanto svolte le elezioni amministrative a suffragio universale e un numero
discreto di donne erano state elette nei consigli comunali. A Pietraperzia la
consultazione si svolse il 24 /03/1946. Il sindaco espresso dal Consiglio
eletto fu Giuseppe Barrile del PCI, il nostro primo sindaco del dopoguerra. La
persona, invece, alla quale nel nostro paese spetta il titolo di prima donna
eletta, fu la dott.ssa Giovanna Vitale, figlia del noto dottor Vincenzo Vitale[4].
Il 1/1/1948 entrava in vigore la nuova Carta
Costituzionale della Repubblica Italiana fondata sul principio della uguaglianza
di tutti i cittadini di qualsiasi condizione dei quali si stabilivano diritti
fondamentali e i loro doveri; sugli ordinamenti dello Stato con la autonomia
dei tre poteri, legislativo esecutivo e giudiziario e con il divieto della
riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. L’emblema
della Repubblica Italiana, il cosiddetto “stellone”, con i suoi simboli, stella
a cinque punte, ruota dentata con rametti di ulivo e di quercia che la
circondano, ne esprime i valori ispiratori: la libertà, l’uguaglianza e la
solidarietà, il lavoro, la vocazione alla pace. Spetta alle Istituzioni e ai
cittadini tutti realizzare il programma ideale in essa contenuto
Salvatore Giordano
[1]Lo stabilisce
il D. Luogotenenziale n. 151 del 25/6/1944
[2]
La legge che concedeva il voto alle donne era stata approvata il 31/1/1945 dal
“Governo del Sud”-Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi- ed emanata con DLL
(Decreto Legge Luogotenenziale) del 2/2/ 1945.
[3]
Catalano-Fietta-Pizzigoni, Origini della
Repubblica, Vangelista Editore, Milano, p. 147.
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