Usanze e costumanze a inizio '900
Ancora
nei primi decenni del 900 le strade urbane, quasi tutte a fondo naturale e
affollate da animali da cortile, fungevano da pattumiere. In estate erano
coperte da uno spesso strato di paglia di scarto e letame essiccato al sole che
d’inverno si trasformava in maleodorante fango. Le piogge autunnali erano
attese e provvidenziali per ripulire le strade, almeno quelle in forte
pendenza.
L’illuminazione
pubblica della piazza e delle vie principali era affidata al lampionaio che
governava e distribuiva in punti strategici lumi a petrolio.
La
piazza pur riportando la denominazione di Corso Vittorio Emanuele, da Santa
Maria a San Rocco era divisa in due tronconi ed attraversata dalle cavalcature
che da via Uovo (oggi via Trieste) si portavano a via Selva (oggi via Roma) e
viceversa, ma la gente continuava a denominare i due tronconi “Piano Santa
Maria” e “Piano o Piazza San Rocco.
Carretti "parcheggiati" sul lato del marciapede prospiciente il fondaco |
Il teatro comunale senza prospetto era attaccato al fondaco (stalle e deposito di carretti e anche albergo per carrettieri di passaggio e di occasionali viaggiatori) bisognerà arrivare al 1931 per andare da via Vittorio Emanuele a Piazza della Repubblica attraversando l’odierna via Monfalcone. Anche allora ci fu il bisogno della nomina di un Commissario Prefettizio, Sig. Balestrino Cav. Rag. Umberto, per firmare il decreto di demolizione delle case interessate.
Pane
e pasta si preparavano in casa. Non erano arrivati ancora i torchi e la pasta
si sfilava col matterello “sagnatù̢ri”
e si tagliava col coltello: tagliarì̢na
o lasagna. Se c’era più disponibilità di tempo si preparavano: filatid̩d̩i, maccarru̢na e cavati.
Per
il pane chi non disponeva di forno proprio in casa ricorreva ai forni rionali
che offrivano il servizio a pagamento in natura. Si pagava la cottura (ccu lu cucchju̢ni).
Per
la macina del grano da poco era entrato in funzione il mulino dei Martorana (la màchina di Callaràru) ma era ben
poca cosa per soddisfare le richieste di quella collettività che spesso era
costretta a raggiungere i vari mulini ad acqua ubicati nelle nostre campagne o
in campagne di comuni limitrofi.
Casa della famiglia Bertini Romano angolo via Roma |
I
mezzi di comunicazione erano carenti e a rischio brigantaggio. La Provincia,
allora Caltanissetta, e altre realtà abitative, si raggiungevano col mezzo
proprio; l’asino o la mula. Chi ne era privo noleggiava una cavalcatura privata
o faceva ricorso al mezzo pubblico “la
periotica” carrozza omnibus ad otto posti tirata da due cavalli. Fu in
servizio a Pietraperzia a cura di Màstru
Llillì̢ (Zito Calogero) fino a tutto il 1920. A causa della viabilità non
tanto agevole e per carenza di mezzi pubblici di trasporto gli spostamenti da
una città all’altra e gli scambi commerciali e culturali erano scarsi.
Di
conseguenza ogni collettività abitativa era quasi autarchica e necessariamente e orgogliosamente
ricorreva al proprio artigianato: per il vestito andava dal sarto; per le
scarpe dal calzolaio; per la porta o i mobili dal falegname; per la rimessa dei
ferri all’animale da soma dal maniscalco, dal fabbro per lavori più
impegnativi; per il basto o i vari attrezzi agricoli, vardu̢ni ccu lu maniu̢ni (basto con arcione), vardeḍḍi, vìrtuli, visazzi
e rrutu̢na, andava dal bastaio; per il pellame “nti lu cunzarijutu”, un tizio che gestiva la concia delle pelli
ricavate generalmente dalla morte degli animali da soma.
Ricorreva
al barbiere, che, spesso, veniva pagato in natura con frumento o altri prodotti
della campagna a seconda di quanti erano i componenti maschi di una famiglia.
Oltre che barbe e capelli si ricorreva al barbiere per l’estrazione di qualche
dente o per eventuale salasso “sagnija”.
Chiamava
il muratore per ristrutturare la casa o farsi ricostruire "la manciatu̢ra" o la "tannu̢ra" (cucina a legna in muratura).
Si
rivolgeva a “lu callararu” per
stagnare pentole e tegami di rame, allora molto in uso. Oltre al pentolame di
terracotta e di rame, non c’erano altri utensili per cucinare.
Chiamava
“lu stagnataru” (lattoniere) per “allannari” (rivestire di lamiera zincata) o saldare la pila per lavare
i panni.
Un economia povera e arretrata che alle soglie del XX secolo usava ancora il baratto per il piccolo commercio di generi alimentari.
Da
fuori arrivavano, sapone, sale, sarde salate, castagne, pomodori secchi “cchjappi”, estratto di pomodoro essiccato
al sole, frutta secca, noci e nocciole e raramente frutta fresca.
Caratteristico
era il venditore di maialini: arrivava con due grossi resistenti cesti cilindrici, caricati orizzontalmente a basto di m ulo, e mostrava ai
clienti i cuccioli che emettevano sonori e assordanti grugniti.
Per
il commercio di quei pochi manufatti arrivati da fuori aleggiava la più grande
sfiducia e i prodotti venivano bollati col detto “cosi accattati a la canna” per significare scarsa qualità e poca
resistenza all'uso.
Giovanni Culmone
La puntata precedente è stata pubblicata il 30 aprile 2018
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