14 maggio 2021

Il dottor Vincenzo Vitale un uomo geniale e virtuoso





Il dottor Vincenzo Vitale nacque a Pietraperzia il 14 maggio 1861 da don Rocco Vitale di professione “aromatario” e da Angela Maria Tortorici.

La raccolta di poesie di Angela Vitale “Sentieri di vita e di amore in un cammino di fede e di speranza”, a cura di Giuseppe Ragusa, contiene una lirica (quasi prosa) inedita intitolata “A mio Padre. E’ un ritratto biografico che la figlia Angela fa del proprio padre Vincenzo Vitale. La poetessa descrive così la figura del padre: ha gli occhi verdi e profondi (che), sotto le folte ciglia nere, eran pur severi”, “la bella testa leonina e la fronte spaziosa”, era di “mente immaginosa, (e di) parola arguta”, disprezzava “agi e ricchezze”, disdegnava e rifiutava “una vita vana”, ma non “l'amore per tutto ciò ch'è bello, grande, potente, sublime!” 

Nella facoltà di medicina, frequentata a Roma, Vincenzo fu “alunno di Durante e Baccelli[1]. Invitato a specializzarsi presso l'università di Berlino dal professor Virchow [2] il dottor Vincenzo Vitale nel 1886 vi studiò le celule e la “Patologia cellulare” teoria da Virchow formulata. “Per tre volte” fu assegnato a Vincenzo Vitale il premio della “Fondazione Rolli”[3].
Essendo morto prematuramente il proprio padre, Vincenzo fu costretto, dalle necessità di famiglia, a ritornare a Pietraperzia. Il 21 novembre 1894 dove sposò Giuseppina Anzalone, figlia di don Ferdinando Anzalone e di Pietrina Pittari di Mistretta, dalla quale ebbe sette figli (cinque femmine e due maschi) generalmente laureati in lettere, scienze matematiche, ingegneria navale, in farmacia. Egli li educò ad un regime spartano fatto non di atteggiamenti amorosi, ma rigorosi (“senza baci e carezze, senza vezzi”) e trasfuse in loro “l'amore per l'opere grandi, l'amore per la poesia, l'arte, la scienza”.    Agli onori che la scienza medica poteva procurargli, egli, “uomo genuino e saggio”, preferì con grande “abnegazione e coraggio” chiudersi “nel romito angolo del tuo spirito come una pianta ancor viva alle radici che altrove si trapianta.” A Pietraperzia accoglieva i suoi pazienti (“poveri sofferenti”) in una “grande stanza semplice, pura, francescana”, che utilizzava come studio medico; vi era lì un tavolo di noce su cui teneva la storia di Tito Livio che leggeva nei momenti di riposo lavorativo. Anche a tarda età, non lesinava di andare a trovare “la povera gente” nei loro “tuguri” per “lenirne gli affanni”.

La sua attività medica la visse come “l'opera … d'apostolo”, come una “missione di bene” da compire nel silenzio, “senza compenso al tuo sacrificio immenso”. Non si lamentava della pesantezza dell'età e non camminava curvo, ma era legato fortemente alla vita (“entusiasta”). Il pensiero della morte lo rendeva “taciturno e pensoso”. “Quel popolo che t'era intorno e al qual, giorno per giorno, elargisti senza misura il dono del tuo ingegno e della tua vasta cultura, era rustico e ingenuo, e “forse”, al momento della sua morte, “non comprese … l'amico che aveva perduto”. Vincenzo Vitale fu colto dalla morte il 6 ottobre 1949 nella sua casa di Via Tortorici Cremona n. 79 all'età di 88 anni.




                                                   
 STUDI E OPERE  

Nell'ambiente pietrino, il dottor VINCENZO VITALE, era però un misconosciuto poiché i suoi lavori sia nel campo della medicina che della matematica hanno trovato collocazione e giusto riconoscimento solo negli studi e nei lavori di altri pensatori. Basti pensare che già da semplice studente universitario ricevette per tre anni consecutivi TRE PREMI ROLLI, in seguito a sue ricerche su particolari aspetti della medicina. Laureatosi con lode in medicina e chirurgia a Roma il 14 luglio 1886, fu invitato da un illustre medico tedesco, il professor Virchow , a specializzarsi nella sua clinica di Berlino. Quivi trascorse due anni. La passione del dottor Vitale per la matematica e per la fisica fece di lui un pensatore che può essere definito il pioniere e l'antesignano di alcune proprietà dei triangoliNella sua opera “ANALOGIE E RELAZIONI fra Perpendicolari, Mediane, Bisettrici, Radiali, Lati ed Angoli del Triangolo”, gli studiosi e appassionati di geometria potranno notare le novità apportate a questa branca della matematica dal Vitale. Quest'uomo, nel campo delle figure piane, diede un apporto tale che va al di là delle conoscenze acquisite dagli studenti delle scuole medie superiori. Qualche autore di libri di geometria ha fatto riferimento al lavoro del dottor Vitale, inserendo in detti testi le trovate geniali di questo medico che sono state di valido ausilio agli studenti. Le figure piane, i triangoli ad esempio, hanno alcune proprietà che prima del dottor Vitale non erano conosciute. Il dottor Vitale soleva ripetere in vita che nessuna scienza sembra più utile, più bella e più facile della matematica. Un altro lavoro che ha lasciato il dottor Vitale è: “ FORZA UNIVERSALE” in cui, partendo dalla forza di gravità dei corpi, che egli estendeva ai fenomeni dei corpi celesti, affermava che tali fenomeni non sono disgiunti da quelli della terra, ma ripetono le medesime cause e producono gli stessi effetti e sottostanno alle stesse leggi di gravità. Riporta egli, scientificamente, tanti esempi sulla caduta e sul lancio dei corpi, sulla forza, sul gioco delle acque, sul movimento delle molecole e sulla forza di attrazione. Egli arriva a spiegare, con i suoi esempi convincenti, che il moto di attrazione e di spinta dei corpi ha origine in una causa sola: la forza di attrazione. In sostanza egli non esprime vane teorie, ma afferma che sono fenomeni che si svolgono ogni momento sotto i nostri occhi. Con questo lavoro il Vitale dà un apporto notevole alla conoscenza dei fenomeni fisici. Concludiamo con un'affermazione del Vitale: “Nelle forze fisiche non si erano mai ravvisate che semplici agenti di moto, fattori meccanici; la gravità era rimasta oscura, ed in me veramente, quando compresi che l'azione di essa non si poteva circoscrivere dentro i limiti di un certo meccanismo si affacciò netta l'idea di una forza superiore, di una forza vitale e, quando intravidi le intime e necessarie relazioni di esse con le forze fisiche, e di queste con quelle della vita, compresi che tutte erano una sola forza, la forza universale: la vita.”

Altre opere del dottor Vincenzo Vitale:

- Relazione tra le linee interne ed esterne dei triangoli;

- Scritti ed appunti di fisica, medicina e matematica, rimasti inediti e incompiuti.

Purtroppo nella biblioteca comunale di Pietraperzia non è presente alcuna opera del dottor Vincenzo Vitale.

 

 

“Mettile dei libri in mano e falla leggere, falla leggere quella bambina”.

Il dott. Vincenzo Vitale, esperto in medicina generale ed in chirurgia, appassionato di matematica e fisica, era anche specializzato in ginecologia e, nel ruolo di ginecologo, egli aiutò a nascere molti bambini del nostro paese. 

All’epoca i parti avvenivano generalmente in casa, parti spontanei per cui tante volte era sufficiente l’assistenza della levatrice se non l’aiuto di una persona della famiglia o di una vicina particolarmente esperta, ma nei casi più difficili, quando neanche l’ostetrica era in grado di affrontare la complicazione imprevista, si chiamava il dott. Vitale ed egli interveniva con urgenza: «Currimmu ca masculu jè», diceva. Aveva sperimentato, infatti, che erano i maschietti a presentare le maggiori difficoltà a venire al mondo. Altra espressione tipica del dottore era la risposta al parente di una persona colpita improvvisamente da qualche malore, che sollecitava il suo intervento: «Vossì s’allibberta duttù ca ma matri sta mmurinnu.» E il dottore, sicuro del soccorso che poteva dare la medicina ma anche consapevole dei limiti di essa di fronte all’ineluttabilità, «Figliju mì - rispondeva- si nun gnè l’urtima arrivammu ‘ntimpu» (Faccia presto dottore, mia madre sta morendo”. “Figlio mio, se non è l’ultima, se non è il colpo definitivo, arriviamo in tempo”)Meta della uscite del dottore, quando non erano visite ad ammalati, era la “Società Operaia Regina Margherita” in Piazza Vittorio Emanuele, dove era atteso per la consueta lettura del giornale quotidiano. 
Come in un rito il dottore, attorniato da un buon numero di soci, eseguiva la rassegna stampa accompagnando la lettura delle notizie con spiegazioni e commenti e fornendo i chiarimenti che gli venivano chiesti. Quando i minuscoli caratteri di stampa rappresentarono un problema per i suoi occhi, e il leggere ad alta voce lo stancava, il dottore fu sostituito da Giuseppe Maddalena, lo storico di cose pietrine, che leggeva in maniera spedita e corretta ed aveva una voce chiara e tonante. Così il dottore metteva al servizio dei soci del sodalizio non solo la sua competenza professionale ma la sua cultura nel senso più ampio. Nei liberi discorsi tra loro e a casa con i familiari gli ascoltatori riportavano le novità udite dove “l’ha ditto lu dutturi Vitali” equivaleva a zittire ogni opposizione. Il dottore amava i giovani e, riguardo ad essi, aveva idee molto chiare. I giovani costituivano l’avvenire delle famiglie e del paese, attori dello sviluppo futuro, ma niente debolezze e divagazioni per loro; le distrazioni toglievano ore allo studio, che doveva essere serio, rigoroso e continuo. Questo era il criterio che ispirava i suoi rapporti con i giovani: la stessa serietà, lo stesso rigore con i quali aveva educato i figli. Lo stabile di casa Vitale, in via Tortorici Cremona,  comprendeva anche un secondo piano dove abitava, all’epoca, la famiglia di una delle figlie del dottore, Elena, che aveva sposato il farmacista dottor Salvatore Mendola. I coniugi Mendola-Vitale avevano due figli, Salvatore, chiamato Rino, e Cristina i quali purtroppo rimasero, ancora giovani, orfani del padre e donna Elena, conseguita la laurea in farmacia, proseguì l’attività del marito. La Farmacia Mendola, situata in via La Masa, passata successivamente dalla madre alla dott.ssa Cristina, costituisce ancora una della farmacie storiche del nostro paese.

Epilogo…6 ottobre 1949

“Era un ottobre ancora caldo quello del 1949 quando morì il dottore» racconta Maria. “Quella mattina la signorina Cecilia ci bussò alla parete come eravamo soliti quando avevamo bisogno gli uni degli altri per motivi urgenti. E, affacciatici ai rispettivi balconi, ci diede la notizia. Era triste ma ce la comunicò con un tono ed un’espressione di normalità: “Questa notte è morto papà”. Volli subito andare a stare vicina a lei, anche se avevo otto anni e mai avevo visto un morto. Era sola, la signorina Cecilia, e fu lei stessa che mi prese per mano e mi accompagnò nella camera del padre. Il dottore era composto sul suo lettino, vicino a quella scrivania di noce che non avrebbe mai più usata, accanto alla quale tante volte, piena di soggezione davanti a lui, l’avevo visto intento a scrivere o a studiare. Il dottore indossava il vestito nero elegante come quando usciva per andare alla Società Regina Margherita; aveva mantenuto la sua espressione severa, che ora mi parve più addolcita. Mi sembrava impossibile che non l’avrei più rivisto né sentito le sue parole rivolte a Cecilia, le volte che andavo a casa sua: “Mettile dei libri in mano”. E mi aspettavo che, improvvisamente, aprisse la bocca e si mettesse a parlare per ricordare ancora alla figlia: “Falla leggere, falla leggere quella bambina”.

(Estratto da “Nostalgia del paese” di Maria e Salvatore Giordano)

  



[1] Guido Baccelli (1830-1916), romano, professore di medicina e chirurgia operatoria, nonché uomo politico, più volte ministro della P.I. A lui si devono, tra l’altro, i Programmi didattici della Scuola elementare del 1894 e la promozione della costruzione del Policlinico Umberto I della capitale. Fu medico di casa reale ed archiatra.

Francesco Durante (1844-1934), di Letojanni (ME), professore di patologia speciale chirurgica e senatore del regno, cofondatore con Baccelli del Policlinico Umberto I.

[2]  Rudolf Virchow (polacco di nascita, 1821 - Berlino, 1902), professore di anatomia patologica dell’Università di Berlino, scienziato e uomo politico antibismarchiano. Noto per la sua teoria della “patologia cellulare”, punto di svolta nella storia della medicina. Candidato al Premio Nobel del 1902.  

[3] Il “Premio Rolli” era istituito dall’Università La Sapienza” di Roma sulla base di un lascito testamentario del medico e botanico romano Ettore Rolli (1818-1876) per premiare studenti particolarmente meritevoli, contribuire a far raggiungere i loro obiettivi e incentivarli all’ottenimento di risultati eccellenti.




01 maggio 2021

NON CHIAMATELO RAGAZZINO di Marco Pappalardo

 



Rosario Livatino, il giudice ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, è modello, oggi, di una vita semplice ma intensa, di una dedizione al lavoro vissuto in modo coerente, di una fede profonda e concreta e di un saldo senso civico e del dovere, anche nella lotta quotidiana contro i poteri forti come la mafia.

Lo scorso 21 dicembre 2020, papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio, aprendo la strada della sua beatificazione, la cui cerimonia si svolge ad Agrigento proprio il 9 maggio 2021, nello stesso giorno del 1993, quando, nella Valle dei Templi, San Giovanni Paolo II pronunciò il suo forte monito contro gli uomini di mafia.

Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa. Il giornalista, docente (presso l’I.S. Majorana-Arcoleo di Caltagirone) e scrittore Marco Pappalardo ne ripercorre la vicenda in un originale libro per preadolescenti, adolescenti ed educatori, dal titolo “Non chiamatelo ragazzino”, edito da Paoline.

Lo hanno chiamato "giudice ragazzino" quasi per dire che non fosse all'altezza della lotta alla criminalità organizzata, ma a quasi 38 anni - altro che "ragazzino" - ha dimostrato con la sua esistenza e con la tragica morte che la mafia lo temeva molto. Nelle pagine del libro parlano di lui e per lui la sua città, alcuni oggetti personali, i luoghi di studio e di lavoro, i simboli della fede e della giustizia, dei testimoni. Raccontano - riportando in corsivo le parole del coraggioso magistrato - una vita semplice ma intensa, una professione vissuta in modo coerente, un uomo dalla profondissima fede e dall'altissimo senso del dovere. Livatino oggi è un modello vincente per essere donne e uomini di speranza, nelle piccole cose di ogni giorno e nell'impegno contro ogni mafia.

Il libro, arricchito dalle illustrazioni di Roberto Lauciello, è adatto alla lettura personale o di gruppo, all’uso nelle scuole come testo per le ore di Educazione Civica, di Narrativa, di Religione, per i progetti sulla Legalità, ma anche per i gruppi di catechesi e giovanili di parrocchie ed oratori. La Prefazione è del magistrato Sebastiano Ardita, componente del Consiglio Superiore della Magistratura.

«A trent'anni dall'omicidio e nell'anno della beatificazione – afferma l’Autore - diventa ancora più significativo non dimenticare la storia del giudice Rosario Livatino, ma tre decenni sono tanti e una beatificazione non è alla portata di tutti, soprattutto dei ragazzi e dei giovani.

Per questo "Non chiamatelo ragazzino" rompe gli schemi con un racconto originale e illustrato, poiché racconta una storia straordinaria in modo ordinario, facendo di Livatino, un figlio, un compagno di scuola, un amico, un innamorato, uno studente impegnato, un credente credibile, un uomo di giustizia, una persona attenta ai bisogni di chi soffre.

Quando affronto il tema della legalità e della lotta alla mafia con miei alunni e con i giovani lettori del libro, alla fine dico - e ci credo veramente - che tra loro c'è almeno una persona che da grande sconfiggerà questo male e lascerà un segno indelebile nella costruzione di un mondo più giusto.

Inoltre, alla fine di ogni capitolo vi sono delle domande per la riflessione personale, di classe o di gruppo per attualizzare questa storia avvincente e per dimostrare quanto sia vicina. Ciò diventa importante anche in relazione alla lotta contro gli atteggiamenti mafiosi che permeano la società, che spesso ci lasciano indifferenti, quando invece dovrebbero destare una sana indignazione e la voglia di cambiare; se per gli adulti a volte c'è poco da fare, per i ragazzi ed i giovani è possibile se gli mettiamo accanto testimoni come Livatino e li coinvolgiamo attivamente nel cambiamento, pure a partire dalla lettura di un libro. Da adulti ed educatori abbiamo la missione di porre dei semi nei diversi ambienti educativi, anche quando i frutti saranno raccolti da altri. In ogni giovane di oggi ci può essere il “giudice Livatino” di domani e questo libro può essere una goccia d’acqua per farlo germogliare!».



Marco Pappalardo, classe 1976, sposato, vive a Catania. Ha insegnato per anni presso il Liceo Don Bosco e oggi è docente di Lettere presso l’Istituto “Majorana-Arcoleo” di Caltagirone. Ha collaborato con il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università etnea e con l’Istituto Teologico San Tommaso di Messina con docenze relative a temi della comunicazione. Pubblicista, scrive per i quotidiani Avvenire e La Sicilia, per il settimanale Credere, per siti che si occupano di educazione, scuola, giovani, new media e religione. È Addetto Stampa della Basilica Cattedrale di Catania. Ha scritto diversi libri per: Libreria Editrice Vaticana, Elledici, Effatà, Il Pozzo di Giacobbe, Edizioni San Paolo, Paoline, alcuni tradotti in diverse lingue. E' impegnato nella diocesi etnea in vario modo e da anni nel mondo dell'educazione attraverso l'oratorio; tra le esperienze di volontariato quotidiano, condiviso con colleghi, amici, alunni ed ex-alunni, ci anche sono la cura e il servizio ai migranti, alle persone senza dimora e alle famiglie disagiate.

Fonte: https://www.vinonuovo.it/author/marco-p/




14 aprile 2021

UN MODESTO EFFETTO COLLATERALE DEL VIRUS

 


Fra gli innumerevoli danni che la pandemia ha scaricato sulle nostre vite, lasciatemi spendere due parole su un problema che potremmo, tutt’al più, considerare un modesto effetto collaterale: più la fastidiosa puntura della zanzara che il doloroso morso del serpente.

Divagare sugli effetti secondari e non concentrarsi su quelli più seri può sembrare davvero eccentrico se non proprio fuori luogo, considerati i tempi, e se lo pensate, non posso certo darvi torto.  E allora perché mi sono comunque risolto a proporvi l’argomento?

Anzitutto perché delle altre conseguenze, quelle veramente serie, si occupano già tante persone (e con ben altra competenza) e poi perché, male che vada, alla fine vi avrò solo fatto perdere qualche minuto di tempo su una questione forse futile ma comunque innocua.

Per di più, nella cupezza dei tempi che viviamo, allentare di tanto in tanto la tensione può persino risultare terapeutico. Prendiamoci dunque questa licenza e andiamo sull’argomento.

Lo abbiamo presentato come un (subdolo) effetto collaterale del virus. Quali sintomi accusa la persona che ne è colpita? Essenzialmente due: una marcata bulimia verbale e una evidente difficoltà di ascolto.

In che modo tali sintomi sono associati al fenomeno pandemico? Un esperto della materia me l’ha spiegato così.

Il virus ha unito il mondo! Non già nel senso che l’ha reso più coeso e solidale ma nel senso che ne ha uniformato le priorità, omologato il linguaggio e monopolizzato la discussione in ogni latitudine. Naturalmente ci arriva anche l’eco di altri avvenimenti ma la musica di fondo nel pianeta terra oggi la suona e la dirige il virus.

Il mostro vuole su di sé tutta l’attenzione; detta l’agenda ai governi e impone le sue regole alle persone. Insomma esige che, nel tempo del suo regno, sia sospesa ogni divagazione: vietato distrarsi in parole, pensieri e opere, come ci insegnavano al catechismo.

Da un anno a questa parte non parlano d’altro, governanti, giornalisti, economisti, igienisti, virologi, pandemisti, statistici, comici, saggisti, opinionisti, astrologi, psicoanalisti, fisioterapisti, sociologi, divulgatori, tassisti, naturalisti e, ovviamente, tuttologi.

E del resto, direte voi con qualche ragione, come potrebbe essere altrimenti?

Di fronte ad un evento così devastante; un evento che ha travolto ogni certezza, sovvertito ogni priorità, abbattuto ogni barriera, di cos’altro vuoi parlare?

Non che in tempi di distanziamento siano molte le occasioni di incontro, ma provate in una qualche conversazione, anche di quelle che si svolgono sulla macchina, a fare cenno ad argomenti diversi dal tema assegnato.

Ma cosa ti salta in mente? Ti pare un argomento serio con quello che accade? Ti pare rispettoso per i morti, per il dolore e per i sacrifici che la pandemia sta imponendo a tante persone; per gli effetti sulla loro salute e sulle loro attività?

E tu che, ovviamente, non intendi mancare di rispetto a nessuno, lasci perdere; abbandoni ogni altra futilità e riprendi la discussione sull’ordine del giorno imposto dalla circostanza: piani pandemici, indici RT, protocolli vaccinali, vaccini con RNA messaggero, vaccini vivi attenuati, vaccini inattivati, vaccini a DNA ricombinante, anticorpi monoclonali e quant’altro.

E naturalmente nel momento in cui accetti la discussione, devi dire la tua. Devi mostrare di poter padroneggiare gli argomenti e sfoggiare un linguaggio appropriato, con tutta la naturalezza di chi la sa lunga, anche se le tue cognizioni virologiche risalgono al libro di scienza della scuola media (o del liceo per i più istruiti).

Ma cosa non si fa per stare in società! Costretti a reinventarci eruditi per necessità.

Per fortuna che c’è la rete che consente, anche a chi sull’argomento ha evidenti lacune e poco tempo per colmarle, di reperire le quattro informazioni giuste per tenere testa nella conversazione e potere discettare con solide argomentazioni scientifiche anche sulle trombonate del tale professorone ascoltato la sera prima dalla Gruber.

Noi, con le informazioni prèt à porter che la giungla ci mette a disposizione, arriviamo subito al punto. Un giretto nel web e il gioco è fatto; la citazione di una rivista scientifica (naturalmente mai letta), una statistica orecchiata, una opinione che suona bene (possibilmente con corredo di termini inglesi) ... e tutti pronti alla discussione: e che discussione! Una valanga di asserzioni, convinzioni e certezze, altro che quei cacadubbi degli scienziati che più stanno chiusi nei laboratori, più studiano i problemi, e più dubbi si fanno venire e ti fanno venire.

Non scordiamoci che siamo impegnati in conversazioni su argomenti dei quali non capiamo un accidente e con persone alle quali vogliamo dimostrare che loro non capiscono un accidente; e se ci si imbatte in un momento di difficoltà dialettica (sempre possibile: al nostro tavolo di conversazione tutti hanno fatto il loro giretto nel web per rubacchiare opinioni scientifiche) si può sempre ricorrere alla vecchia e consolidata tecnica di scaricare sulla conversazione fiumi di parole utili solo a confondere le acque, dissimulare i concetti e colmare così le lacune; se questo non basta allora si alza il volume della voce; se non basta ancora, si da sulla voce del contraddittore e se ne neutralizza ogni via di comunicazione.

Naturalmente per tenere sempre allertato il circuito cervello/bocca c’è bisogno di energia e concentrazione supplementari che la persona attinge dal circuito cervello/orecchie che nella conversazione viene di conseguenza disattivato. Infatti, come mi spiega un ricercatore nel campo delle neuroscienze, di mia conoscenza, studi approfonditi mostrano che il cervello deve mantenere un'omeostasi per cui le energie si bilanciano all'interno degli stessi circuiti neurali e il circuito del linguaggio comprende sia la comprensione verbale sia la produzione verbale.

Ed ecco manifestarsi i due sintomi associati di cui si diceva: logorrea e caduta della capacità di ascolto.

È così che nel conto dei danni che il mostro ci infligge si è aggiunto anche quest’altro; un danno che, beninteso, non è grave come altri ma che comunque è pur sempre un danno: davanti ad un argomento così complesso che appena appena riusciamo ad inquadrare, piuttosto che cercare di capirne di più, vogliamo solo dirne di più.

Ma a preoccupare maggiormente, a sentire l’esperto di cui vi parlavo, è l’estrema contagiosità del fenomeno; l’ignaro si trova coinvolto in una discussione con persone che hanno sviluppato i sintomi e ne subisce fatalmente il contagio.

Il soggetto è subito preso dalla irrefrenabile cupidigia di esibire il suo bagaglio di erudizione acquisita nel giretto pomeridiano nella rete; di tirare fuori la quantità di parole ed il volume della voce richiesta dalla durezza della discussione e dalla pervicacia dell’interlocutore, finché non ne ha avuto ragione.

E così a quel tavolo di conversazione si ritrovano solo persone che parlano (si parlano) alzando progressivamente i decibel della voce e moltiplicando la quantità di parole, nessuna delle quali arriva all’orecchio (e per suo tramite al cervello) degli altri: rumore, rumore, rumore!

Si può scansare il contagio? Purtroppo pare che lo stesso vaccino risulti di scarsa efficacia e la sola prevenzione consiste nell’adottare precise tecniche di dissimulazione quando si entra in contatto con i soggetti contagiati (la evidenza dei sintomi vi deve subito mettere in allerta).

Innanzitutto bisogna lasciare a loro la conduzione del discorso; non interromperlo, non contraddirlo e complimentarsi spesso per la competenza e l’acutezza delle argomentazioni che propone.

Sulle prime ne sarà lusingato ma ben presto vacillerà. Non è preparato a fronteggiare un atteggiamento così arrendevole.

Non trovando resistenza e non ravvisando la necessità di dovere caricare tutte le sue batterie per stroncare l’interlocutore, perderà grinta e motivazione e la discussione inevitabilmente si appiattirà; quello è il momento giusto per voi di assumere un tono fintamente svagato, provando a portare il discorso su altro. La conversazione potrebbe così prendere aria ma soprattutto avrete dato un piccolo aiuto al vostro amico a contenere i sintomi che lo affliggono.

Per il fatto che viviamo tempi difficili non è detto che dobbiamo impegnare le nostre energie, tante o poche che siano, nel renderli ancor più insopportabili.

Salvatore Di Gregorio