Il libro di Clarissa Pinkola Estés dal titolo "Donne che corrono coi lupi" è una sorgente di risposte, uno stimolo per le donne a riscoprire la parte selvaggia presente in ognuna e a permettere ad essa di emergere.
Nel libro è possibile trovare
trascritte alcune fiabe dove l'autrice scova messaggi che poi rivela al
lettore.
Le sue interpretazioni sono forti
e rivelatrici.
La fiaba che ha catturato la mia
attenzione è "Scarpette Rosse".
È una fiaba dal sapore macabro
ma, andando ad analizzare a fondo il testo, come fatto da Clarissa Pinkola
Estés, scopriamo un messaggio così forte da spiazzare: La privazione della vera
natura della donna con l'illusione di aver ottenuto di più.
Quando una donna è privata delle
cose che ama, delle sue passioni, quando deve reprimere il suo vero io per
accontentare qualcuno o adeguarsi ad una situazione, succede che l'io interiore
continui a farsi sentire comunque, non sta zitto e da dentro reclama per
uscire. Ed è allora che la donna arriva a compiere anche gesti assurdi per
riassaporare la sua vera natura.
Come successo alla bambina che,
anche se povera, era felice.
Quando ha assaporato la
ricchezza, si è vista privare della cosa più importante per l'essere umano, la
libertà e pagherà duramente aver voluto riconquistarla.
Storia:
C'era una volta una
povera orfana che non aveva scarpe. La bimba conservava però tutti gli stracci
che riusciva a trovare, finché un bel giorno riuscì a confezionarsi un paio di
scarpette rosse. Erano rozze, ma le piacevano. La facevano sentire ricca
nonostante trascorresse le sue giornate, fino a sera inoltrata, a raccogliere
cibo nei boschi.Un giorno, mentre percorreva
faticosamente una strada vestita dei suoi stracci e con le scarpette rosse ai
piedi, una carrozza dorata le si fermò accanto. La vecchia signora che la
occupava le disse che l'avrebbe portata a casa con sé e l'avrebbe trattata come
una sua figlioletta. Così andarono nella dimora della vecchia ricca signora, e
là furono lavati e pettinati i capelli della bambina. Le furono dati biancheria
fine, un bell'abito di lana e calze bianche e lucide scarpe nere. Quanto la
bambina chiese dei suoi vecchi abiti, e in particolare delle scarpette rosse,
la vecchia le rispose che gli abiti erano talmente sudici e le scarpette
talmente ridicole che li aveva gettati nel fuoco, e questo si era incaricato di
ridurli in cenere. La bimba era molto triste, a dispetto della ricchezza che la
circondava, perché quelle umili scarpette rosse che aveva fatto con le proprie mani le avevano
dato una grande felicità.
Adesso era costretta a starsene
sempre ferma e tranquilla, a camminare senza saltellare e a parlare soltanto se
interrogata. Un fuoco segreto le si accese nel cuore, e continuò a desiderare
più di qualsiasi altra cosa le sue vecchie scarpette rosse. Poiché la bambina
era abbastanza grande per la confermazione nel Giorno degli Innocenti, la
vecchia signora la portò da un vecchio calzolaio zoppo per acquistare un paio
di scarpe speciali per l'occasione.
In vetrina faceva bella mostra di
sé un paio di scarpe rosse confezionate con la pelle più morbida che si potesse
trovare. Sebbene fosse scandaloso arrivare in chiesa con delle scarpe rosse, la
bimba, spinta dal suo cuore affamato, subito le scelse. La vecchia signora ci
vedeva così male che non si accorse del colore delle scarpe e gliele comprò. Il
vecchio calzolaio strizzò l'occhio alla piccola e le incartò.
Il giorno dopo, in chiesa, tutti
rimasero assai sorpresi da quelle scarpe rosse ai piedi della bambina che
brillavano come mele lustrate, come cuori, come prugne ben lavate. Perfino le
icone e le statue guardavano con disapprovazione le scarpe. Ma alla bimba
piacevano sempre di più. Quando il vescovo intonò un canto, seguito dal coro e
accompagnato dall'organo, la bambina pensò che nulla era più bello delle sue
scarpette rosse.
In giornata la vecchia signora
venne a sapere delle scarpette rosse della sua pupilla. «Non mettere mai
più quelle scarpe!» le ordinò minacciosa. Ma la domenica seguente la
bambina non poté fare a meno di mettersi le scarpette rosse, e come al solito
si avviò alla chiesa con la vecchia signora.
Sulla porta della chiesa c'era un
vecchio soldato con il braccio al collo. Indossava una giacchetta smilza e
aveva la barba rossa. S'inchinò, chiese il permesso di spolverare le scarpe della bambina. Lei sollevò
un piede, poi l'altro, e lui toccò le suole delle sue scarpette cantando una
canzoncina che le fece sentire uno strano prurito sotto i piedi. «Ricordati di restare per il ballo», sorrise, e le strizzò
l'occhio.
Anche questa volta tutti
guardarono di traverso le scarpette rosse della bambina. Ma a lei piacevano
tanto quelle scarpe lucenti, rosse come lamponi, come melagrana, che non
riusciva a pensare ad altro, non riusciva quasi a seguire il servizio
religioso. Era tutta intenta a girare e rigirare i piedini, in ammirazione
delle sue scarpette rosse, tanto che si dimenticò di cantare. Quando con la vecchia
signora uscì dalla chiesa, il soldato ferito esclamò: «Che belle
scarpette da ballo!». A quelle parole la bambina prese a piroettare e
non riuscì più a fermarsi, e danzò sulle aiuole del fuori allontanandosi dalla
chiesa tanto che parve avesse perduto completamente il controllo di sé. Danzò
una gavotta e poi una esarda e poi un
valzer, volteggiando attraverso i campi.
Il cocchiere della vecchia
signora saltò giù dal seggiolino e si lanciò all'inseguimento della bambina, la
prese e la riportò nella carrozza, ma i piedini che calzavano le scarpette
rosse continuavano a danzare nell'aria. La vecchia signora e il cocchiere
presero a tirare e a dar strattoni per cercare di togliergliele. Finalmente,
fra cappelli di sghembo e gambe scalcianti, i piedi della bambina si
quietarono.
Di ritorno a casa, la vecchia
signora lanciò le scarpette rosse su uno scaffale altissimo e ordinò alla
bambina di non toccarle mai più. Ma lei non riusciva a fare a meno di guardarle
e di desiderare. Per lei erano ancora la cosa più bella che si potesse trovare
sulla faccia della terra.
Poco tempo dopo il destino volle
che la signora fosse costretta a letto e non appena il medico se ne fu andato,
la bambina sgusciò nella stanza in cui erano conservate le scarpette rosse. La
guardò, là in alto sullo scaffale, le contemplò, e la contemplazione si
trasformò in potente desiderio, tanto che la bambina prese le scarpe dallo
scaffale e subito se le infilò, pensando che non sarebbe accaduto nulla di
male. Ma non appena quelle furono a contatto con dita e calcagni, si sentì
sopraffatta dal desiderio di danzare.
Danzò uscendo dalla stanza, e poi
lungo le scale, prima una gavotta, poi una esarda
e poi un valzer vertiginoso. La bambina era in estasi, e si accorse di
essere nei guai solamente quando volle girare a sinistra e le scarpe la
costrinsero a girare a destra, e volle danzare in tondo e quelle la obbligarono
a proseguire.
E siccome erano le scarpe a farla
danzare, e non il contrario, quelle danzando la portarono giù per la strada,
attraverso i campi melmosi, e nella foresta oscura.
Appoggiato a un albero c'era il
vecchio soldato dalla barba rossa, con il braccio al collo e con indosso la sua
giacchetta. «Oh, che belle scarpette da ballo!» esclamò.
Terrorizzata, la bambina cercò di sfilarsele, ma più tirava e più quelle
aderivano ai piedi.
Saltellò prima su un piede, poi
sull'altro, tentando ancora di togliersi le scarpe, ma il piede che restava a
terra continuava a danzare e quello che stava su faceva la sua parte nell'aria.
E così danzò e danzò sulle più alte colline e attraverso le valli, sotto la
pioggia e sotto la neve e sotto la luce abbagliante del sole. Danzò nelle notti
più nere e all'alba, danzò fino al tramonto. Ma era terribile: per lei non
esisteva riposo.
Danzando entrò in un cimitero, e
là uno spirito pronunciò queste parole: «Danzerai con le tue scarpette
rosse finché non diventerai come un fantasma, uno spettro, finché la pelle non
penderà sulle ossa, finché di te non resteranno che visceri danzanti. Andrai
danzando di porta in porta in tutti i villaggi, e busserai tre volte a ogni
porta, e la gente guardando fuori ti vedrà, paventando per sé lo stesso tuo
fato. Danzate, scarpette rosse, danzate!».
La bambina implorò pietà, ma
prima che potesse insistere le scarpette rosse la trascinarono via. Ballò sui
rovi, attraverso le correnti, sulle siepi, e danzando danzando arrivò a casa, e
c'erano persone in lutto. La vecchia signora era morta. Nonostante ciò, lei
continuava a danzare e a danzare, perché danzare doveva. Esausta e
terrorizzata, entrò danzando nella foresta in cui viveva il boia della città. E
la mannaia appesa al muro prese a tremare non appena sentì che lei si
avvicinava.
«Per favore!» pregò il boia mentre danzava sulla sua porta.
«Per favore, mi tagli le
scarpe per liberarmi da questo tremendo fato. »
E con la mannaia il boia tagliò
le cinghie delle scarpette rosse. Ma queste le restavano ai piedi. E lei lo
implorò di tagliarle i piedi, perché così la sua vita non valeva nulla. Il boia
allora le tagliò i piedi. E le scarpette rosse con i piedi dentro continuarono
a danzare attraverso la foresta e sulle colline e oltre, fino a sparire alla
vista. E ora la bambina era una povera storia, e doveva cavarsela da sola
andando a servizio, e mai più desiderò delle scarpette rosse.
Ilaria Matà
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