08 ottobre 2020

"Le scarpette rosse" secondo Clarissa Pinkola Estés





Il libro di Clarissa Pinkola Estés dal titolo "Donne che corrono coi lupi" è una sorgente di risposte, uno stimolo per le donne a riscoprire la parte selvaggia presente in ognuna e a permettere ad essa di emergere. 
Nel libro è possibile trovare trascritte alcune fiabe dove l'autrice scova messaggi che poi rivela al lettore.
Le sue interpretazioni sono forti e rivelatrici.
La fiaba che ha catturato la mia attenzione è "Scarpette Rosse".
È una fiaba dal sapore macabro ma, andando ad analizzare a fondo il testo, come fatto da Clarissa Pinkola Estés, scopriamo un messaggio così forte da spiazzare: La privazione della vera natura della donna con l'illusione di aver ottenuto di più.
Quando una donna è privata delle cose che ama, delle sue passioni, quando deve reprimere il suo vero io per accontentare qualcuno o adeguarsi ad una situazione, succede che l'io interiore continui a farsi sentire comunque, non sta zitto e da dentro reclama per uscire. Ed è allora che la donna arriva a compiere anche gesti assurdi per riassaporare la sua vera natura.
Come successo alla bambina che, anche se povera, era felice.
Quando ha assaporato la ricchezza, si è vista privare della cosa più importante per l'essere umano, la libertà e pagherà duramente aver voluto riconquistarla.

Storia: 
C'era una volta una povera orfana che non aveva scarpe. La bimba conservava però tutti gli stracci che riusciva a trovare, finché un bel giorno riuscì a confezionarsi un paio di scarpette rosse. Erano rozze, ma le piacevano. La facevano sentire ricca nonostante trascorresse le sue giornate, fino a sera inoltrata, a raccogliere cibo nei boschi.Un giorno, mentre percorreva faticosamente una strada vestita dei suoi stracci e con le scarpette rosse ai piedi, una carrozza dorata le si fermò accanto. La vecchia signora che la occupava le disse che l'avrebbe portata a casa con sé e l'avrebbe trattata come una sua figlioletta. Così andarono nella dimora della vecchia ricca signora, e là furono lavati e pettinati i capelli della bambina. Le furono dati biancheria fine, un bell'abito di lana e calze bianche e lucide scarpe nere. Quanto la bambina chiese dei suoi vecchi abiti, e in particolare delle scarpette rosse, la vecchia le rispose che gli abiti erano talmente sudici e le scarpette talmente ridicole che li aveva gettati nel fuoco, e questo si era incaricato di ridurli in cenere. La bimba era molto triste, a dispetto della ricchezza che la circondava, perché quelle umili scarpette rosse che aveva fatto con le proprie mani le avevano dato una grande felicità.
Adesso era costretta a starsene sempre ferma e tranquilla, a camminare senza saltellare e a parlare soltanto se interrogata. Un fuoco segreto le si accese nel cuore, e continuò a desiderare più di qualsiasi altra cosa le sue vecchie scarpette rosse. Poiché la bambina era abbastanza grande per la confermazione nel Giorno degli Innocenti, la vecchia signora la portò da un vecchio calzolaio zoppo per acquistare un paio di scarpe speciali per l'occasione.
In vetrina faceva bella mostra di sé un paio di scarpe rosse confezionate con la pelle più morbida che si potesse trovare. Sebbene fosse scandaloso arrivare in chiesa con delle scarpe rosse, la bimba, spinta dal suo cuore affamato, subito le scelse. La vecchia signora ci vedeva così male che non si accorse del colore delle scarpe e gliele comprò. Il vecchio calzolaio strizzò l'occhio alla piccola e le incartò.
Il giorno dopo, in chiesa, tutti rimasero assai sorpresi da quelle scarpe rosse ai piedi della bambina che brillavano come mele lustrate, come cuori, come prugne ben lavate. Perfino le icone e le statue guardavano con disapprovazione le scarpe. Ma alla bimba piacevano sempre di più. Quando il vescovo intonò un canto, seguito dal coro e accompagnato dall'organo, la bambina pensò che nulla era più bello delle sue scarpette rosse.
In giornata la vecchia signora venne a sapere delle scarpette rosse della sua pupilla. «Non mettere mai più quelle scarpe!» le ordinò minacciosa. Ma la domenica seguente la bambina non poté fare a meno di mettersi le scarpette rosse, e come al solito si avviò alla chiesa con la vecchia signora.
Sulla porta della chiesa c'era un vecchio soldato con il braccio al collo. Indossava una giacchetta smilza e aveva la barba rossa. S'inchinò, chiese il permesso di spolverare le scarpe della bambina. Lei sollevò un piede, poi l'altro, e lui toccò le suole delle sue scarpette cantando una canzoncina che le fece sentire uno strano prurito sotto i piedi. «Ricordati di restare per il ballo», sorrise, e le strizzò l'occhio.
Anche questa volta tutti guardarono di traverso le scarpette rosse della bambina. Ma a lei piacevano tanto quelle scarpe lucenti, rosse come lamponi, come melagrana, che non riusciva a pensare ad altro, non riusciva quasi a seguire il servizio religioso. Era tutta intenta a girare e rigirare i piedini, in ammirazione delle sue scarpette rosse, tanto che si dimenticò di cantare. Quando con la vecchia signora uscì dalla chiesa, il soldato ferito esclamò: «Che belle scarpette da ballo!». A quelle parole la bambina prese a piroettare e non riuscì più a fermarsi, e danzò sulle aiuole del fuori allontanandosi dalla chiesa tanto che parve avesse perduto completamente il controllo di sé. Danzò una gavotta e poi una esarda e poi un valzer, volteggiando attraverso i campi.
Il cocchiere della vecchia signora saltò giù dal seggiolino e si lanciò all'inseguimento della bambina, la prese e la riportò nella carrozza, ma i piedini che calzavano le scarpette rosse continuavano a danzare nell'aria. La vecchia signora e il cocchiere presero a tirare e a dar strattoni per cercare di togliergliele. Finalmente, fra cappelli di sghembo e gambe scalcianti, i piedi della bambina si quietarono.
Di ritorno a casa, la vecchia signora lanciò le scarpette rosse su uno scaffale altissimo e ordinò alla bambina di non toccarle mai più. Ma lei non riusciva a fare a meno di guardarle e di desiderare. Per lei erano ancora la cosa più bella che si potesse trovare sulla faccia della terra.
Poco tempo dopo il destino volle che la signora fosse costretta a letto e non appena il medico se ne fu andato, la bambina sgusciò nella stanza in cui erano conservate le scarpette rosse. La guardò, là in alto sullo scaffale, le contemplò, e la contemplazione si trasformò in potente desiderio, tanto che la bambina prese le scarpe dallo scaffale e subito se le infilò, pensando che non sarebbe accaduto nulla di male. Ma non appena quelle furono a contatto con dita e calcagni, si sentì sopraffatta dal desiderio di danzare.
Danzò uscendo dalla stanza, e poi lungo le scale, prima una gavotta, poi una esarda e poi un valzer vertiginoso. La bambina era in estasi, e si accorse di essere nei guai solamente quando volle girare a sinistra e le scarpe la costrinsero a girare a destra, e volle danzare in tondo e quelle la obbligarono a proseguire.
E siccome erano le scarpe a farla danzare, e non il contrario, quelle danzando la portarono giù per la strada, attraverso i campi melmosi, e nella foresta oscura.
Appoggiato a un albero c'era il vecchio soldato dalla barba rossa, con il braccio al collo e con indosso la sua giacchetta. «Oh, che belle scarpette da ballo!» esclamò. Terrorizzata, la bambina cercò di sfilarsele, ma più tirava e più quelle aderivano ai piedi.
Saltellò prima su un piede, poi sull'altro, tentando ancora di togliersi le scarpe, ma il piede che restava a terra continuava a danzare e quello che stava su faceva la sua parte nell'aria. E così danzò e danzò sulle più alte colline e attraverso le valli, sotto la pioggia e sotto la neve e sotto la luce abbagliante del sole. Danzò nelle notti più nere e all'alba, danzò fino al tramonto. Ma era terribile: per lei non esisteva riposo.
Danzando entrò in un cimitero, e là uno spirito pronunciò queste parole: «Danzerai con le tue scarpette rosse finché non diventerai come un fantasma, uno spettro, finché la pelle non penderà sulle ossa, finché di te non resteranno che visceri danzanti. Andrai danzando di porta in porta in tutti i villaggi, e busserai tre volte a ogni porta, e la gente guardando fuori ti vedrà, paventando per sé lo stesso tuo fato. Danzate, scarpette rosse, danzate!».
La bambina implorò pietà, ma prima che potesse insistere le scarpette rosse la trascinarono via. Ballò sui rovi, attraverso le correnti, sulle siepi, e danzando danzando arrivò a casa, e c'erano persone in lutto. La vecchia signora era morta. Nonostante ciò, lei continuava a danzare e a danzare, perché danzare doveva. Esausta e terrorizzata, entrò danzando nella foresta in cui viveva il boia della città. E la mannaia appesa al muro prese a tremare non appena sentì che lei si avvicinava.
«Per favore!» pregò il boia mentre danzava sulla sua porta.
«Per favore, mi tagli le scarpe per liberarmi da questo tremendo fato.»
E con la mannaia il boia tagliò le cinghie delle scarpette rosse. Ma queste le restavano ai piedi. E lei lo implorò di tagliarle i piedi, perché così la sua vita non valeva nulla. Il boia allora le tagliò i piedi. E le scarpette rosse con i piedi dentro continuarono a danzare attraverso la foresta e sulle colline e oltre, fino a sparire alla vista. E ora la bambina era una povera storia, e doveva cavarsela da sola andando a servizio, e mai più desiderò delle scarpette rosse. 


Ilaria Matà

Gioia Libro



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