30 aprile 2018

Pietraperzia: come eravamo - 1^ parte


Condizioni sociali ed economiche tra inizio 900 e Primo Dopoguerra.


All’inizio, questa mia descrizione potrebbe apparire autolesiva e denigratoria, ma è una fotografia reale della maggior parte dei comuni siciliani a vocazione agro-pastorale, scattata nel primo ventennio del 1900.
L’analfabetismo era molto diffuso e le 12.000 anime di allora, a Pietraperzia, come in tutto il centro Sicilia, vivevano in una economia ancora basata sul latifondo, senza servizi pubblici, ancora con poche e precarie strade di collegamento e con un commercio quasi del tutto assente. Un mondo chiuso in una condizione di miseria e di fame. Vivevano in aggregati di famiglie numerose, compressi in un fazzoletto di territorio abitativo, esteso forse, meno di un terzo dell’attuale. Alle spalle di questo sodalizio era già aperta campagna, “la si̢rbia” (arabo xirbi = pietraia). 



Quella che diventerà poi via Stefano Di Blasi era una strada rurale a fondo naturale, almeno fino al 6 Maggio 1914, giorno in cui il già Sindaco Stefano Di Blasi passò a miglior vita, ed arrivava alla rotonda della Santa Croce, punto di sosta e d’incontro per chi faceva passeggiate fuori porta. Dalla parte verso Ovest il paese declinava da via Mandre (mànniri) verso la fine di Corso Umberto “li carrozzi” e verso la parte finale della discesa Leone “l’urtu di liju̢ni”. A levante, a Sud del castello, come oggi, il quartiere Terruccia arrivava fino alla chiesetta rurale dello Spirito Santo, oggi Santa Lucia. Più giù, attaccate alle ultime abitazioni, c’erano case di pastori ed ovili.
Tutte le case erano intensamente abitate. I più agiati disponevano di stalla per gli animali e di locali a piano terra per attrezzi agricoli e derrate alimentari. Le persone occupavano il primo o piani più alti. I meno fortunati disponevano di case a piano terra, e spesso di un solo locale che spartivano con la numerosa famiglia, l’animale da soma, i conigli, le galline, la capra ed altro. 
Oltre alle 12.000 anime si contavano quasi 4.000 animali da soma e un numero imprecisabile di animali da cortile per le strade che la sera trovava posto all’interno delle abitazioni.
Pietraperzia era una comunità, come già detto, a vocazione agro-pastorale con tanti latifondisti, un Principato, alcuni baronati, bburgi̢si, piccoli proprietari, mezzadri e molti jurnatàra.
Forse è meglio insistere di più sulla suddivisione del territorio per fare emergere le precarie condizioni socio-economiche di allora.
Il grosso del nostro territorio, suddiviso in feudi, apparteneva a ricchi e nobili. Ogni feudo, frazionato in spezzoni, generalmente di due, tre o quattro ettari, era affidato ad un mezzadro che espletava, con mezzi tradizionali, tutti i lavori, dalla semina al raccolto e alla fine, per il compenso annuo, spartiva il prodotto col proprietario.

Li mitatìri  costituivano la categoria più numerosa.
Ogni mezzadro possedeva la cavalcatura e l’aratro, mezzi necessari per l’aratura, la semina e la trebbiatura, e si considerava contadino impiegato a posto fisso.

Jurnatàru era il contadino nullatenente, non possedeva cavalcatura e nemmeno attrezzi o solo fànci e zzappù̢ni, non aveva lavoro fisso e di tanto in tanto lavorava a giornate.

Bburgi̢si era il contadino agiato, proprietario di terre o di bestiame; a volte ricorreva all'impiego di altro personale per la coltivazione delle sue proprietà e/o l'allevamento del bestiame.

Piccolo proprietario era un professionista, un impiegato, un putìjaru o un artigiano possessore di alcuni ettari di terreno.

Non esistevano “ammortizzatori” sociali. L’assistenza sanitaria era affidata all’unico medico condotto.
Per quel poco che potevano offrire c’erano i sodalizi di mutuo soccorso: aggregazioni per ceto di volontari tuttora esistenti: Società Operaia Regina Margherita, Società Militari in Congedo, Società Carrettieri, e le varie Confraternite, quella di S. Giuseppe, quella di Santa Maria del Soccorso o degli Agonizzanti, quella della Caterva, del Rosario, di S. Rocco. Nei loro statuti erano previsti rimborsi di spese funerarie e assistenza medica per l’iscritto e i familiari e altri interventi possibili per aiutare un proprio affiliato in difficoltà.
In piazza S. Rocco si radunavano jurnatàra, manovali muratori e datori di lavoro per contrattare prestazioni di manodopera. “li jurnatàra” fortunati, dopo avere concordato l’ammontare della misera paga si davano appuntamento l’indomani per raggiungere all’alba e a piedi la campagna, a volte distante dal centro abitato alcuni chilometri. Non sempre, lungo il percorso di ritorno, riuscivano a strappare, al terreno dei bordi della strada, qualche verdura commestibile da portare a casa per il condimento di un’eventuale minestra calda.
Le giornate lavorative nei campi erano scandite dal sorgere e dal tramontare del sole.
Dopo un anno di duro e faticoso lavoro il contadino fortunato riusciva ad accantonare il minimo necessario per se, la famiglia e la mula. 
Non c’era rete idrica e nemmeno rete fognaria.


L’unica fonte di approvvigionamento idrica era il fonte canale che pochi anni prima era stato dotato di un grande abbeveratoio ottagonale, per gli animali da soma, e di una serie di cannelle per il riempimento delle brocche di terracotta “quartàri”. Provvedevano all'approvvigionamento gli uomini quasi sempre al ritorno di una faticosa giornata lavorativa e diventava problematico per loro accedere alle cannelle a causa della grande ressa che si determinava all'imbrunire e causa spesso di discussioni e litigi.

Giovanni Culmone


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26 aprile 2018




Il vecchio ulivo e l'uccello del paradiso

Lucia Miccichè

Curatore: V. Calì
Illustratore: N. Speciale
Editore: Edizioni del Poggio



È risaputo che uno dei modi di esporre e tramandare verità sapienziali e spirituali è rappresentato dalla fiaba e, in genere, dalla letteratura fantastica (basti pensare a Tolkien e al famosissimo Il Signore Degli Anelli).
Dietro parole arcane, figure emblematiche, allegorie e metafore, si dis-vela il significato potente e primordiale dei simboli, capace di ricondurci al Centro dell'Essere, a ritrovare il Santo Graal che è...l'Amore! Ed è quello che succede nel libro della nostra giovane Autrice. Soffermiamoci brevemente sui protagonisti: un Vecchio Ulivo (la voce narrante) e l'Uccello del Paradiso (la figura mistica). Quando il vecchio ulivo conosce quell'incantevole Creatura del cielo gli affida un'importante missione: andare alla ricerca del più grande mistero della vita e del mondo intero: l'Amore! Nella Tradizione, la figura dell'Albero è tra le più mistiche e sacrali, insieme a quella della Montagna. L'Albero rappresenta l'unione tra la Terra e il Cielo. Tradizioni e religioni differenti hanno avuto alberi sacri, Alberi della Vita, Alberi del Bene e del Male, del Paradiso, della Luce, della Saggezza, dell'Immortalità, ecc...
L'Albero fu ricollegato al mito dell'AXIS MUNDI, l'Asse del Mondo. Anche l'Uccello è altamente simbolico, basti pensare alla Fenice, simbolo d'immortalità; o alla tradizione dei Nativi Americani con l'Uccello di Tuono, simbolo di Potenza, Nutrimento, Trasformazione o Messaggero Divino, a seconda delle tribù native. Altro elemento simbolico è rappresentato dalla LINGUA DEGLI UCCELLI. Ne parla un'autorità indiscussa in fatto di Simboli e Dottrine Tradizionali come René Guénon nel suo SIMBOLI DELLA SCIENZA SACRA, dove si legge che "gli uccelli sono presi di frequente come simbolo degli Angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori". Il terzo elemento simbolico che vogliamo considerare è rappresentato dal VIAGGIO INIZIATICO. L'Uccello del Paradiso, al pari di altri viaggiatori mitici, dovrà compiere un Viaggio dove affronterà diversi pericoli e incontrerà personaggi emblematici, ognuno dei quali segnerà il suo percorso verso la Consapevolezza: il Fanciullo Natalino, il Monaco, il Governatore, il Musicista, la Bella Danzatrice Marinedda, il Poeta, il Cieco...Ogni viaggio implica il Ritorno e l'Uccello del Paradiso alla fine ritorna dal Vecchio Ulivo. " Domandai dell'Amore al più Piccolo ed esso mi diede la Speranza, domandai dell'Amore al più Devoto ed esso non aveva più spazio per me, allora chiesi al più Forte ed egli mi diede disperazione, mi rifugiai nella Musica ed ella mi istruì note nuove, così mi rivolsi alla Bellezza ed ella mi indicò la strada del cuore, così trovai la Poesia ed ella mi diede il modo per farlo intendere, ma ancora non comprendevo la risposta al grande mistero, così infine fu lui a trovarmi".
Ed è proprio il Cieco, il più Fragile, a condurlo nella dimora dell'Amore perché..." Non tutto è visibile agli occhi del mondo...A volte il Segreto è osservare ad occhi chiusi..."
Con questa bellissima massima sapienziale possiamo concludere queste note. Il libro è adatto a tutti, grandi e piccini. Come leggiamo in una bella recensione di Paolo Cortesi :"Si tratta di una storia che ha più livelli di comprensione: per i bambini, è una fiaba avvincente e dolcissima; per gli adulti è una allegoria sempre valida; per gli studiosi di filosofia esoterica è un viaggio di maturazione nella consapevolezza" (Nexus New Times nr.127 aprile/maggio 2017).
La storia è ambientata nel villaggio medievale di Pietraperzia, che nella fiaba viene chiamata "Terra di Pietra". Arricchiscono il volume le illustrazioni di Nicolò Speciale, dove si riconoscono i luoghi più belli e suggestivi di Pietraperzia.

Salvatore Marotta

Lo scrittore Paolo Cortesi ha voluto dedicare a Lucia (pubblicata  in Nexus New Times) una recensione a "Il vecchio ulivo e l'uccello del paradiso". Per leggerlo trascritto su Anobii Clicca qui.



19 aprile 2018

Invito alla lettura: Le Rime - Antologia di Odi e Canti



Giuseppe Mistretta, poeta ennese, è un autore molto legato alle radici
dell’umanesimo classico.
È questo ancoraggio è bene evidente nella sua raccolta “Le Rime - Antologia di Odi e Canti”, Maurizio Vetri Editore 2017, ove il linguaggio poetico si presenta ricco di movenze lirico-metriche che, certo, risultano rare nello spazio della poesia moderna e contemporanea, ma che l’autore predilige in modo quasi affettivo, essendosi accostato alla letteratura classica dopo i suoi studi tecnico-professionali.
Basta scorrere i testi de “Le Rime” per scorgere in essi modelli linguistici della classicità ottocentesca (“empie” “avea” “desii” “dì” “beltà” “core” etc.) che la poesia moderna ha superato, ma che Mistretta predilige nel suo percorso per sostanziare la dimensione del suo sentire poetico e per esprimere la sua interiorità sfuggendo - come si legge nella breve osservazione sul linguaggio con cui si apre la raccolta - alla “prevaricazione dell’elemento funzionale-comunicativo sull’elemento stilistico-espressivo".
L’autore insomma, ama la parola che “ha il potere di determinare una modificazione magica della realtà” e che, altresì è “in grado di innescare processi e metamorfosi” capaci di agire “profondamente sulla struttura sociale”.
Ma al di là del dato metrico-linguistico utilizzato dall’autore, ritengo che la poesia di Giuseppe Mistretta vada apprezzata per la sua capacità trasfigurativa e simbolica, nonché per quegli orizzonti entro cui le Odi e i Canti trovano forma e consistenza.
“Le Rime” dispiegano la loro prima carica epifanica nelle Odi, alcune delle quali centrate su luoghi intesi come espressione di realizzazione e di memoria, nonché di bellezza, di fatti, di storie e di cultura; si leggano, ad esempio, le poesie “Città di Enna”, “Il Teatro di Taormina”, “Segesta“, “Canto al Duomo di Enna” che nel loro taglio descrittivo ed evocativo emanano fascino e suggestività.
In “città di Enna“ Mistretta esprime dolore e rammarico, denuncia indifferenza e pone domande:

Aggrottate e fresche mi guardan le case.
I tetti di tegola e canale sovrastano lo spazio.
Dov’è la ricchezza o radice.
Riposi ignorata e silente,
come se nulla importasse alla gente

Con un linguaggio meditativo che rifulge del ricordo che di essa egli conserva. Lo stesso fluire discorsivo e descrittivo s’impone nella poesia “Il Teatro di Taormina“, ove il verso diventa aulico: “il mare osserva di notte quando la luna è diamante”, il tono mirabile e ricco di  stupefazione: “sei la regina” e l’esaltazione della città diventa favola di salubrità: “Luogo di sollievo e grazia, di totale agiatezza,/ a chi sta fermo nel vento,/ ad ammirarne bellezza”,
La sua storia - canta il poeta - non ha eguali, pregna di mistero e mille incanti/ questa è terra di poeti, che cantarono ai Giganti”.
L’Ode a “Segesta” è, ancora, un affresco lirico-storico che coglie lo splendore di un luogo attraversato da vicende che hanno lasciato “i segni come un riflesso” e che inducono il poeta ad innalzare al cielo, con uno slancio affettivo, parole di encomio:

Tu gioiello dipinto dal contorno del sole, dal verde e le siepi
Nel loro eterno languore.
Sei distinta franchezza di un’essenza divina, di cui coglie
I segni, chi a te legger s’avvicina

In questa raccolta poetica le Odi hanno anche n taglio più intimo, atteso che il poeta pone lo sguardo su tanti aspetti dell’esistenza trasfigurati ora nella Bellezza della poesia della quale si è innamorato, ora nella nebbia:

Nebbia a rammentare l’autunno, in rotazione eterna
di cui sei il frutto

Ora nelle nefandezze di un progresso sganciato da ogni dimensione valoriale:

Progresso nefasto, che ci rubi la vita, ci distrai dal contesto,
come ragazzi alla gita.
Estorci i desii, ci maltratti gli affetti,
ci induci ad essere come dei maledetti

Ora sui fondamenti di un’ontologia umana in grado di valorizzare la conoscenza: “Conoscenza fluisca come stelle dai cieli”

L’emozione: “Emozionarsi fortemente, ci induce ad un’alchimia tale,/ da poter fermare il tempo”

Ed ancora la luce: “Fulgida la luce mi appare attorno”

Il pensiero, le relazioni, le amicizie (Si leggano, ad esempio, “Ricordo di Giovanni”, “ Lucrezia“, “Ode al figlio Lorenzo“).
La seconda parte de “Le Rime“ si snoda in “Canti” che viaggiano all’interno di coordinate tematiche che toccano il paesaggio, la natura, il lavoro, la denuncia sociale, il viaggio ed elementi esperenziali rilevanti per la vita del poeta.
Questi si intenerisce di fronte al crescere delle spighe:
Assurgono le spighe verdastre e luccicanti
in un sibilo o lamento nel campo ad allungarsi

Prova emozioni per l’inoltrarsi della primavera:
Al mattino il fresco  di Maggio portava l’urlo delle gazze,
sin dentro la mia finestra chiusa

Nonché della stagione estiva:
A giugno il vento fresco soffiò alle nubi

Respira squarci di cielo con l’auspicio di trovare forza di cambiamento:
(“Squarcio nel Cielo”)
Una striscia bianca nel cielo…
Quanto tempo ancora dovremo aspettare,
perché i potenti in silenzio sappian ascoltare

(“L’Ambulante“)
Oggi tutto si compra col vile denaro,
anche la vita di un uomo, col destino lontano

Giuseppe Mistretta ci dà in questo libro la sua versione della realtà e della storia e lo fa con testi che in alcuni casi risultano dettati da occasioni, in altri da intenti didascalici, in altri da esigenze sociali e problematiche di cui il nostro tempo è caratterizzato.
È un autore che tende a far risuonare nei sui versi i valori più autentici di umanità bistrattata e consumata da un progresso che non guarda all’essere ma all’avere che tende ad ingannare l’uomo sulle domande di senso che da sempre lo accompagnano.
La poesia di Giuseppe Mistretta è limpida nel suo fluire, realistica nella sua tessitura concettuale e attraversata da sogni e incanti; il poeta pronunzia il suo atto di fede nella vita anche alla vista di studenti che gli riaccendono i filmati della memoria  giovanile:

il canto di scolari festanti all’uscita,
eredità delle genti in terra,
mi riportano alla gioia per  oggi,
al coraggio per domani,
alla ricerca della felicità come esempio,
per l’imminente futuro

La ricca gamma di sensazioni, aspirazioni ed emozioni che fluttua nell’animo del poeta prorompe con genuinità sia nelle Odi che nei Canti; la forza le immagini (“il tono del vento”, “le foglie in terra“, “pecore in balia dei lupi”, “frizzi di luce“, “un bacio d’amore”, “un sussurro  sopito”, “il manto degli angeli”, etc.) offre al lettore una versificazione dai cui trasuda tutto il processo creativo del poeta e la carica allusiva e simbolica delle sue policromie interiori.
Giuseppe Mistretta riporta infatti nei suoi versi tutta la sua carica umana e spirituale con un linguaggio e con parole che si fanno epifania di un tormento e di una apertura ai valori del trascendente, capace di donare equilibrio alla sua vita:

Non è semplice
ma alle volte è possibile trovare
quell’equilibrio interno
che ci fa pensare

E il poeta si disvela come uno che pensa, che legge, che si abbevera a fonti di vario genere, tant’è che in queste “Rime” c’è un appendice in cui esprime un “Grazie figurato” a vari autori dell’antichità e contemporanei, tra i quali Seneca, Aristotele, Leonardo da Vinci, Giuseppe Parini, G.B Marino, S. Francesco d’Assisi, Guttuso, Friedrich Nietzsche fino a giungere ad Umberto Eco, quasi a volere dire quanto il suo rapporto con il mondo dell’arte, della letteratura e della filosofia sia entrato nella sua dimensione esistenziale con forza e convinzione.
Le sue pagine sanno di vita, di domande, di sussurri e di riflessioni; sanno di responsabilità e di amicizia, di sentimenti che imperlano ogni scelta linguistica, la quale si mostra coraggiosa e convinta superando possibili perplessità, e regalando ai suoi lettori le armonie più vere della sua fantasia e della sua immaginazione.


Domenico Pisana




Il Prof. Domenico Pisana è poeta, scrittore e saggista, vive
a Modica. Ha compiuto studi su Quasimodo, Montale e
sulla poesia dialettale.