Mentre riguardo
sul blog di don Pino Carà “ Amici d’infanzia
alla Cava”, penso agli altri momenti che hanno segnato intimamente questa
mia immersione totale nel “grembo della
madre”. Immancabile fu la visita, là dove riposano per sempre, alle persone
care che ci avevano dato la vita, l’esempio e spianata la strada per il nostro
cammino. Lo facemmo assieme con Filippo Viola, Saro e il nipote Franco nella
mattinata fredda e piovosa di quel venerdì 13 aprile. La sera prima avevo
salutato zia Maria Giordano e il cugino Franco, in partenza per Roma, che mi
avevano aspettato per darmi le chiavi della loro casa a cui però avevo
rinunciato. Con Saro Siciliano, vicini per problemi organizzativo-logistici e
disponibilità di tempo, decisi a non mancare all’appuntamento, eravamo riusciti
a ritagliarci sei giorni tutti per noi. Casa Siciliano ci avrebbe ospitati per
quella settimana. In certi periodi della nostra giovinezza c’erano stati, tra Saro
e me, momenti che “nni spartiva sulu lu
sunnu di la notti,”ci divideva solo il sonno della notte; questa volta neanche
quello. Ma la circostanza era segnata da un elemento di tristezza: più volte
don Pino mi aveva invitato a casa sua e adesso che avevo accettato l’invito, don
Pino non c’era più. Tutto però parlava di lui in quella casa, dai libri sulla
scrivania e sugli scaffali, ai quadri alle pareti, al ritratto di Giovanni
Paolo II in una cornice dorata, ad ogni cosa che toccavamo e usavamo: la sua
caffettiera , le sue tazze, le sue posate, le sedie su cui ci sedevamo e il
tavolo a cui ci accostavamo per fare colazione. Di lui ci parlavano anche i due
ex ragazzi della parrocchia, Pino Carà e Giovanni Serio (che dovevo scoprire
essere stato mio alunno, inizi anni ’60, durante una supplenza) che vennero a
trovarci con le loro famiglie e che ci invitarono a pranzo. Spesso Saro, suo
“fratello gemello” (così li chiamavano), prendeva in mano gli album (ce n’erano
una decina) delle fotografie, dei fratelli , dei nipoti, delle gite
parrocchiali… , che don Pino aveva con pazienza ordinato, e me le mostrava:
”questa è quando è venuto a Santena l’anno del cinquantesimo di sacerdozio…”; “
qui è quando è venuto in Italia nostro cugino dall’America…”..” Questa casa -
aggiungeva - sarebbe stato desiderio di mio fratello restaurarla e metterla a
disposizione dei nipoti tutti per quando avessero voluto venire a trascorrere
qualche giorno al paese dei loro avi…, mi piacerebbe realizzare quel sogno”.
Don Pino ricorreva continuamente nei nostri discorsi; era come se fosse con
noi.
All’aeroporto di Catania, ci
accolse Franco Siciliano, Ciccino, col sorriso che ha conservato sin da quando
bambino raggiungeva il suo papà, da casa sua di fronte, al Circolo di cultura
“V. Guarnaccia”, e ci salutava. Amico
per disposizione d’animo (da tutti conosciuto, non ci sono persone in paese che
egli non conosca a sua volta), Franco, benché fosse ancora lontano da li tri bbintini e ddeci, che quasi tutti
della comitiva abbiamo superato, fece parte del gruppo degli “amici di sempre” - “amici per sempre” e per tutto il periodo del soggiorno fu il nostro
angelo custode: ci lasciavamo la sera per ritrovarci il mattino quando lui
arrivava in Via Nazario Sauro, dalla sua casa di Piazza V.E., e noi
l’aspettavamo per il caffè. In tre ci muovevamo come un corpo solo e lui ne era
il motore, non solo metaforicamente: sicuro e prudente nella guida, sempre
pronto e premuroso, con la sua Opel stagionata risolvette ogni esigenza di
spostamento dentro e fuori Pietraperzia.
Fin dalla sera del nostro
arrivo al paese fummo ospiti a cena della famiglia di Lillo e Giannina Maddalena. L’invito
si estese ai giorni successivi e tutto avvenne all’insegna della più autentica
sicilianità. Benché non avessimo avuto tante occasioni di frequentazione fui
accolto nella loro casa e alla loro tavola come uno della famiglia e la loro
ospitalità fu così immediata e serena che io mi sentii leggero, e senza disagio
od imbarazzo, accettai le loro premure, come fossi a casa di fratelli. Alla
gentilezza e finezza di modi la signora unisce grande perizia culinaria e
furono primizie genuine e piatti tipici, preparati con gusto, quelli che ci
offriva ogni giorno diversi: oltre ai tradizionali primi piatti, Pasta ccu li finucchjiddi rizzi e la muddica, anellini ccu la ricotta frisca,
frittate di mazzareddi …, tutto quello
che la cucina nostrana ha di meglio e di particolare, fino alla mousse di
ficodindia, una specialità. Ascoltare Lillo che ci parlava con pacatezza e
chiarezza era come ascoltare i discorsi di lu
zi’ Peppi Maddalena, tanto il suo tono di voce e il ritmo richiamano la
parlata di suo padre. Lillo, mentre ci riempiva i calici di Nero d’Avola, vantava
la qualità del pane siciliano, pane di semola fatto di farina di grano duro e ,
ad una nostra richiesta circa il pane integrale oggi molto diffuso ci spiegava,
da esperto, che dai filtri di diversa gradazione usati nella molitura del grano
si ottiene la farina per il pane integrale e non dalla mescolanza di farine con
crusca come è, spesso, quello in commercio. Di fronte alla coppia così
affiatata, spontanea mi veniva in mente quella pillola di saggezza degli
antichi “Nuddu si piglia si nun s’assumiglia”.
I momenti in cui mi
allontanai dal gruppo fu per rispondere ad altre esigenze affettive che mi chiamavano.
Parenti stretti, altri amici, i miei figliocci. La dolcezza e l’amabilità di
quegli incontri conservo nel mio petto. Una capatina in solitaria, non potei
esimermi dal fare in via 4 novembre, (ma la curiosità mi spinse anche nelle adiacenti
“vie dell’infanzia”) che attraversai
per tutta la sua lunghezza dalla via La Masa all’incrocio con la discesa
Rosolino Pilo; unico e solo passante con i miei pensieri le attraversai quel
pomeriggio. Fu grazie a Biagio Messina (da quando ci siamo ritrovati, nel 2005,
considero Biagio e la sua sposa Filippina miei figli adottivi e mia nipotina la
piccola Sara), che riuscii, dopo il pranzo di San Vincenzo, ad andare a trovare,
ad Enna, don Filippo Marotta, nella sua Parrocchia di San Tommaso Apostolo, che
ancora non conoscevo. Lo ringrazio pubblicamente per l’interessante “Antologia
delle tradizioni popolari, degli usi e dei costumi, delle espressioni
dialettali e degli autori di opere in vernacolo di Pietraperzia” che ci ha
regalato.
La mattina di martedì 17
aprile, pronti per ripartire, mentre Franco al furgoncino di un ortolano che
sostava all’incrocio di via Stefano Di Blasi con via Sabotino, stava comprando mazzareddi e cicoria di campagna da
portare alla sua mamma a Catania, avemmo la fortunata occasione di salutare
ancora una volta i coniugi Maddalena che tornavano già dalla campagna e Peppino
Rabita che invece vi si stava recando. All'aeroporto di Catania, l’aereo della
Wind-jet che da Torino ci aveva fatto partire dopo due ore e più dall’ora
prevista, questa volta fu puntualissimo. Un ritardo analogo sarebbe stato
oltremodo gradito.
Ritorno nel grembo materno
(dedicata ai coniugi Giannina e Lillo Maddalena
Maestoso
si erge Mongibello
e spande sulla piana riflessi azzurrini.
Balsamo al mio cuore
attorno si diffonde
l’aroma di zagara e di eucalipto
di questa terra di miti.
Mi accoglie
con l’abbraccio di vecchia nutrice
la puntara di li Minniti;
vigile mi sorride la rocca di Petra.
Le strade che percorro
ancora conservano impronte.
che non ignoro,
facile si aprono un varco
e prendono corpo
echi di ricordi lontani.
Rivivono atmosfere passate
nelle oneste premure degli ospiti
e in queste nostrane primizie
con cui fanno tutt’uno:
frutto di avita cultura.
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