16 gennaio 2018

CARCÀRI E CIARÀMITARU DI PIETRAPERZIA di Giovanni Culmone - 2^ Parte

ISSÀRU E CANALÀRU

Cari amici nella 1a parte Giovanni Culmone ha iniziato ha parlarci della produzione del gesso.
Un lavoro duro e con molti pericoli che dava da vivere a molte famiglie.
La materia prima veniva ricavata da marne gessose e da cave di alabastro gessoso. Ha descritto come avveniva la cottura delle rocce nella fornace (la carcàra) per ricavarne gesso per l'edilizia, mentre le rocce più compatte venivano cedute ad abili scalpellini per farne piastrelle per pavimenti o portali. Ancora oggi possiamo vedere molte case, perlopiù ormai abbandonate, costruite in gesso e molte antiche scale con la “pedata” dei gradini in alabastro.

FRANTUMAZIONE DEI MASSI DOPO LA COTTURA

A raffreddamento avvenuto con tutti i massi ormai friabilissimi, ricoperti di fuliggine ma bianchi dentro, si procedeva alla frantumazione.
I massi si spostavano a mano, dall'interno all'angusto spazio davanti la bocca della fornace, e con una grossa mazza si riducevano in polvere si mazzijàvanu.
Fortunatamente, nell’immediato dopoguerra 1943/45, tale durissimo lavoro, con grande sollievo degli addetti, venne sostituito da frantumatori meccanici.
Quando all’interno della fornace non rimaneva niente da recuperare si procedeva a prepararla per un’altra infornata: si riempiva con la stessa maestria di prima, si liberava il pavimento dalla cenere residua e si ricominciava ad ardere.
Tutti i riempimenti avvenivano sempre prima di liberare il pavimento dalla cenere residua che agevolava il lavoro di sistemazione dei massi da cuocere ad un livello più alto.
Il "gesso comune" o “anidro” ottenuto era una polvere grigiastra per l’aggiunta di fuliggine e di cenere al bianco del Solfato di Calcio. Fuliggine e cenere di combustione che si aggiungevano automaticamente sempre in quantità variabile: non c’era un metodo per stabilirne la quantità da aggiungere alle pietre già cotte, per cui il colore bianco-grigiastro, non sempre era della stessa tonalità.
Per ottenere il gesso bianco bastava ripulire i massi e frantumarli in ambienti puliti e senza cenere.
Il gesso disidratato veniva correntemente utilizzato nell'edilizia per realizzare strutture portanti e una volta mescolato all'acqua, diventava rapidamente compatto e induriva (si verificava in pratica una finissima ricristallizzazione). Durante questo processo, il gesso rapprendendosi si riscaldava, perché la reazione chimica che avveniva restituiva lentamente il calore che era stato necessario per privarlo delle molecole d'acqua.

INSACCAMENTO E TRASPORTO DEL GESSO

Dopo la frantumazione il gesso cotto, ridotto in polvere e grossolanamente setacciato, si confezionava in contenitori adatti per il trasporto: sacchi generalmente di tela olona chiusi a busta e bisaccini per gli asini; du tù̢mmina, due stai, in ogni sacco e quattro, due per lato nei bisaccini. Per questa operazione si adoperava la misura di du munned̩d̩a, due mondelli, equivalente a mezzo staio. Uno staio equivale al volume di 16 decimetri cubi e al peso di circa 16 chilogrammi.

Recipiente da du munned̩d̩a con cui i gessai misuravano il gesso cotto

Il trasporto del gesso a dorso d’asino era attivo fino a tutto il 1960. Gli asini per il trasporto del gesso non erano bardati e portavano una bisaccina a dorso nudo e spesso un sacco sopra, al centro tra le due saccocce. In tutto ogni animale trasportava quattro o sei tumoli di gesso cotto. Generalmente in ogni viaggio veniva impiegata na rìtina di scècchi circa dodici asini senza vurdunàru senza conduttore. Gli asini, animali docilissimi, percorrevano il tragitto Marano-Tre Ponti, senza mai disperdere il carico, in fila indiana e con la lunga corda della cavezza attorcigliata al collo; ad aspettarli un interessato gessaio che li accompagnava a destinazione. A volte, se le condizioni erano agevoli, gli asini salivano le scale esterne delle abitazioni dei clienti e portavano il gesso nel vano predisposto in attesa della lavorazione.

Inizi del 1900: asini con carico a dorso nudo, al centro tra le due saccocce

Su ogni animale è visibile il carico: una bisaccina a dorso nudo ed un sacco sopra, al centro tra le due saccocce. Ogni asino disponeva solo di cavezza capì̢stru seguita da lunga redine cud̩d̩àna e non portava lu capizzù̢ni; non aveva sottopancia cì̢ṅġa, cudèra e pistulèna, non era bardato e quindi non portava basto vardù̢ni con arcione manijù̢ni; nel basto c’erano cchjacchi cappi e ai lati capi di vardù̢ni corde del basto per assicurare il carico.
All'arrivo della lunga fila di asini ai Tre Ponti, gli addetti gessai, che erano lì ad aspettare, si avvicinavano, interrompevano la rìtina, slegavano la cud̩d̩àna di un asino e lo menavano seguito dagli altri che avevano selezionato; si avviavano così in paese a soddisfare la richiesta di alcuni clienti.
I gessai che disponevano di scècchi e carrètta in un solo viaggio trasportavano cinque/sei salme gesso perché, come già detto, un asino ne trasportava quattro/sei tumoli e un carretto due salme.

Particolari della bardatura di un animale da soma

Sulla testa cavezza e morso, più giù sottopancia che assicura il basto al dorso dell’animale, poi le corde che legano le ceste al basto, quindi
pistulèna per impedire al sottocoda, cudèra, di scivolare in giù.
Gli asini riuscivano a portare l’intero carico a destinazione senza l’utilizzo dei descritti accorgimenti.

Fornace e fabbricato abitativo. A centro in alto visibile la riparazione eseguita con conci arenari

Foto scattata in occasione della proiezione della simulazione del processo di produzione del gesso (Agosto 2015)





Giovanni Culmone
continua... 
 
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