16 dicembre 2017

La Grande Bouffe


Vincenzo Campi - La cucina
 
L’occidente sprofonda, mollemente adagiato, su di un sofà logoro e sbiadito.
La grande bouffe non cessa, non può cessare si deve mangiare, masticare, divorare, ingurgitare, ingrassare, aggiungere giorno dopo giorno, ogni benedetto giorno, uno strato di grasso al nostro girovita.
Cosi ci vuole il Re del mondo: grassi, pingui, veloci solo nel consumare.
Ecco, il Neoumanesimo inizia da qui, dalla lentezza dallo Slow Food, dalla riflessione, dal ragionamento, dall’immaginare una nuova esistenza costruita su un nuovo patto con la natura, l’ambiente e il territorio.
Se è vero, come è vero, che noi siamo quel che mangiamo, la rivoluzione inizia da qui: dal buon cibo, da prodotti rispettosi dell’ambiente, della natura, di noi stessi che di quel territorio siamo parte come gli alberi, gli animali, la terra e l’acqua.
In fin dei conti parliamo della legge del ventre: questa è la Gastronomia, sapere le regole per ben mangiare e cioè per ben vivere; bando, quindi, alla fretta, alla frenesia, alle decisioni prese d’istinto senza un forte pensiero dietro, senza una via, una idea, un progetto che non valga solo per il presente, per il contingente, ma che abbia un respiro tale da abbracciare più epoche e generazioni.
Nel cibo meno si innova e meglio è; perché in questo campo l’innovazione fa rima con bieca speculazione.



Non abbiamo bisogno di nuovi prodotti, di nuove creme, nuovi e più solubili grassi, di moderni e più digeribili tipi di latte.
Abbiamo i nostri millenari formaggi, abbiamo la bianca e soffice ricotta -della quale si abbuffò Ulisse con i suoi compagni-, abbiamo l’olio di oliva: -donato all’uomo dalla dea Athena-, il vino che inebrio Noè e che Dionisio diede come elisir ai cattivi pensieri-, e ancora il latte e il miele che scorrono agli uomini dai fiumi del paradiso.
Non abbiamo bisogno di niente altro che non sia la nostra capacità di immaginare un mondo più pulito grazie ad un consumo più etico.
Qualcuno la chiama decrescita felice e che è, teosoficamente parlando, il messaggio delle grandi religioni monoteistiche: vivi con poco rispettando il tuo prossimo.
La regola aurea di Ebrei, Cristiani, Mussulmani, Indù, Buddisti, nativi americani...
Per chi scrive questo è il compito di un Buongustaio, non solo apparire in televisione, nella grande bouffe dei numerosissimi e invasivi programmi di cucina, ma quello di essere guida, anche critica, di tutto quello che ruota intorno al cibo al servizio della natura intesa nel suo complesso come ecosistema.
Significa anche non chiudere gli occhi di fronte ai nuovi e sempre più stringenti temi di carattere etico che la moderna sensibilità ci presenta, ma prenderne atto per cercare un equilibrio che sia possibile tra noi e il mondo sensibile delle piante e degli animali.
Niente ipocrisia, ma rispetto per ciò che si consuma, sperando che un giorno qualcuno non ci chieda di rendere conto delle nostre azioni.
È questo il dubbio che si era insinuato in un giovanissimo porcaio dei Nebrodi, conosciuto durante una visita alla ricerca dei salumi prodotti con il maialino nero dei Nebrodi che percepii avesse in risposta ad una mia domanda, circa una recinzione strana che avevo notato: “Quella si può dire anche che è una specie di camera della morte. Lì facciamo passare i maiali che quel giorno devono essere portati al macello”. Una pausa, un silenzio, e continuando -“di solito sono tra i tre e i cinque maiali; ecco, i primi  non si scompongono più di tanto (anche se diventano un po’ nervosi all'arrivo del camion di cui conoscono il rumore), ma gli ultimi” -e lì un altro silenzio e ancora “gli ultimi non ne vogliono sentire di entrare, grugniscono quasi che sembra gridino e girano vorticosamente come invasati, sbattendo la testa nel recinto”- ed io -“ma mi vuoi forse dire che sentono, percepiscono l’odore della morte?” e lui sorridendo- “si”.

Valerio Eufrate











14 dicembre 2017

Invito alla lettura: Etty Hillesum



           

 
Questa estate La nave di Teseo ha  pubblicato, di Edgarda Ferri, Un gomitolo aggrovigliato è il mio cuore. Vita di Etty Hillesum. Un bel libro che si legge come un romanzo e che ci da l’occasione per andare a leggere o rileggere anche il suo “Diario”. Non è facile descrivere in poche righe la profondità del percorso che Etty Hillesum ci racconta.
Esther Hillesum, detta Etty, è una ragazza olandese di origini ebraiche, colta, curiosa, dalla sensibilità inusuale. Appassionata di letteratura russa e lettrice vorace, piena di vita, di passioni, profondamente libera; lavora come dattilografa al Consiglio Ebraico: la sua è una condizione privilegiata, allo scoppiare della Seconda guerra mondiale e con l'inizio delle persecuzioni razziali potrebbe scappare e salvarsi. Potrebbe coltivare i suoi studi, scoprire l'amore che comincia ad affacciarsi nella sua vita, realizzare i mille sogni suggeriti dalla sua fantasia. Ma decide di non abbandonare la sua famiglia, il suo popolo, e di condividerne fino in fondo la sorte. Etty Hillesum non ha neanche trent’anni quando tutto questo accade. Così, il 7 settembre 1943, dopo i mesi passati nel campo di transito di Westerbork, sale su un treno per Auschwitz da cui, non farà più ritorno. L’animo ribelle e poetico di Etty Hillesum, gli anni della gioventù e della guerra affrontati con uno spirito mai esausto, un “umanesimo radicale” che ha trovato nelle pagine del suo diario e delle sue lettere un'altissima interpretazione letteraria. E può sembrare strano, forse inappropriato, trovare un’intima, preziosa bellezza nelle sue parole, poiché queste si riferiscono a una tragedia storica di portata immensa, l’annientamento di un popolo per volere di altri uomini e al contempo la distruzione di ogni aspetto di umanità che un uomo può infliggere a un suo simile.
La descrizione di ciò che accade, di ciò che si sente dire, delle paure, dei segnali della tragedia incombente, lentamente lascia il posto nel diario al racconto della sua trasformazione interiore, come unico modo per resistere a quegli avvenimenti.
La sua resistenza è puramente interiore, e nasce dalla consapevolezza che la possibilità di trasformazione del mondo è intimamente legata alla disponibilità a trasformare se stessi.
Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo.
Un testo, il suo diario, ricordiamo ancora, che non si limita alla testimonianza di una tragedia storica, ma che pone un tema universale: la solitudine dell’uomo davanti al dolore, e la ricerca, tutta interiore, profondamente intima, di una possibilità di comprenderlo e accettarlo.
Considerata uno dei simboli della Shoah, la vita e le opere di Etty Hillesum sono diventate fonti di ispirazione contro l'oblio della memoria, esempi di altruismo e solidarietà capaci di sopravvivere alle atrocità della storia. Il suo diario ci trasporta con intimità e rispetto nei suoi momenti privati, nelle scelte coraggiose, nel cuore tormentato di una donna dalla forza indomita e mai dimenticata.







11 dicembre 2017

Pietraperzia. Anna Marotta prima classificata al Concorso Letterario Nazionale “La Nostra Terra 2017”





Il concorso era stato bandito dalla “Giambra Editori” di Terme Vigliatore, nel messinese. Hanno partecipato oltre 150 concorrenti da ogni parte d’Italia. Anna Marotta ha vinto nella sezione “Tesi di Laurea”. Il titolo del suo lavoro è “Il bandito Antonino Di Blasi, alias Testalonga (1728-1767). Anna Marotta, una laurea in Filologia Moderna con 110 e Lode all'università di Catania, è la primogenita di Giuseppe Marotta e di Concetta Miccichè. La premiazione è avvenuta durante una cerimonia alla “Osteria Malarazza” di Barcellona Pozzo di Gotto. La giuria era composta da Pierangelo Giambra Editore e dagli storici dell’arte Valentina Certo e Andrea Italiano. I due sono autori, rispettivamente delle opere “Caravaggio a Messina” e “Caravaggio in Sicilia: L’ultima rivoluzione”, della stessa Casa Editrice. Cosa dichiara Anna Marotta? “Sono contenta che questa mia opera abbia riscosso così tanto attenzioni in questo caso di devianza sociale e in un contesto siciliano permeato da un modus operandi poco efficiente ed efficace”.

Ti aspettavi questa affermazione? “Non me l’aspettavo assolutamente. 
In questo concorso nazionale sono infatti pervenute 150 opere, comprensive di tesi di laurea, da tutta Italia”. Cosa ti senti di suggerire a chi voglia seguire questo tuo percorso? “La prima cosa da fare è quella di prendere i manuali più autorevoli e poi ‘buttarli via’ in quanto la vera storia non è quella raccontata dai libri ma quella dei “Vinti” a cui si può risalire solo attraverso le fonti e i documenti diretti e senza il filtro dei ‘vincitori’”. Quali sono i programmi di Anna Marotta a breve, medio e lungo termine? “Attualmente lavoro come docente in un istituto paritario e insegno Italiano e Storia. Il mio progetto primario è quello di inserirmi nel mondo dell’insegnamento ma, nel contempo, non voglio abbandonare la ricerca storica e la scrittura”. Anna Marotta è anche impegnata nella stesura di un thriller psicologico. Ha scritto, allo stato attuale, solo i primi tre capitoli “per mancanza di tempo e non di ispirazione”. Anna Marotta ha ricevuto pure proposte di pubblicazione della sua tesi – da parte della casa editrice “Giambra Editori” – “che deve essere da me valutata in termini di tempi e di organizzazione”. 

Gaetano Milino