08 giugno 2018

Invito alla lettura: La notte della volpe



La notte della volpe di Jack Higgins è una lettura appassionante. Un romanzo storico che attraverso fatti storici fa rivivere l'occupazione delle isole della Manica, al largo delle coste inglesi. L'isola di Jersey fu occupata dai tedeschi nel 1944. Jersey, oggi paradiso fiscale della City di Londra, è l'isola più grande del canale della Manica.
Il racconto inizia nel 1985, dopo tre anni di difficoltose ricerche, il professore Alan Stacey tramite un amico della CIA, viene a conoscenza che è stato trovato il corpo di Harry Martineau e che a Jersey avranno luogo i funerali con una nuova sepoltura. Harry Martineau nel gennaio 1945 risultò disperso dopo un volo su un Arado 96, un biposto da addestramento utilizzato dai tedeschi e ritrovato due settimane prima, con il relitto dell’aereo, in un acquitrino dell’Essex in divisa da ufficiale tedesco della Luftwaffe.
Harry Martineau è il personaggio principale del romanzo; professore di filosofia morale a Oxford, lavorava presso il Ministero dell'Economia bellica come agente del controspionaggio inglese SOE, costituito nel 1940 da Churchill per coordinare la resistenza e i movimenti clandestini in Europa.
Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, durante un esercitazione nel Canale della Manica, due unità americane vengono colpite e affondate da motosiluranti tedesche, con la perdita di seicentocinquanta marinai, tra questi rimane ferito il colonnello Hugh Kelso. L’ufficiale americano è a conoscenza di informazioni segretissime riguardanti l'ora è il luogo dello sbarco in Normandia. Il colonnello si salva approdando fortunosamente nell’isola di Jersey occupata dai tedeschi. Viene soccorso e salvato da Helen de la Ville che lo cura e lo nasconde nella sua casa. Il generale Eisenhower, comandante a capo delle forze Alleate in Europa, viene informato che il colonnello Kelso è sfuggito alla morte e ha trovato rifugio nell’isola.
Al comando Alleato c'è molta preoccupazione per la sorte del colonnello, se dovesse essere catturato e torturato potrebbe rivelare le informazioni riguardanti lo sbarco.



Eisenhower dà una settimana di tempo per trovare la soluzione e portare via dall’isola il capitano Kelso. Di salvare e trasferire Kelso dall'isola viene incaricato Harry Martineau. Una persona speciale, freddo e spietato, utilizzato come killer, in grado di compiere missioni difficili e pericolose. Deve riuscire a portare via da quella fortezza “inespugnabile pullulante di nemici” Kelso, o altrimenti ucciderlo: Martineau è perfettamente in grado di svolgere questa difficile operazione. Pronto a piantare una pallottola in mezzo agli occhi di Kelso se necessario.
Travestito da ufficiale tedesco, assumerà il ruolo di un colonnello nazista. Viene affiancato da Sarah Anne Drayton, nipote di Helen de la Ville nata a Jersey e agente del SOE. Sarah è una affascinante infermiera con il ruolo di “puttana e di amante”. Con dei lasciapassare falsi cercheranno di raggiungere Jersey.
Al di là della ricostruzione storica dello sbarco in Normandia, personaggi  storici reali e personaggi del romanzo vengono descritti e agiscono in un clima di guerra che fa riflettere sulle tremende condizioni di vita delle popolazioni, costrette a sopravvivere sotto una dominazione feroce.
Un romanzo carico di suspense una trama incalzante costruita con continui colpi di scena e un finale mozzafiato.

Lina Viola


l libro "La notte della volpe" sarà disponibile in biblioteca a Luglio





04 giugno 2018

La Terra di Pietra-Perzia: storia e origini



La fonte principale a cui far riferimento riguardo la storia di Pietraperzia è quella di Fra’ Dionigi Bongiovanni[1] nato a Pietraperzia nel 1744. Divenne sacerdote nell’Ordine dei Frati Minori Riformati di S. Francesco, oltre che insegnante e predicatore. Egli fu anche il primo storico locale ad aver tentato di risalire alle origini della sua patria, seppur ricorrendo ad ipotesi azzardate laddove mancassero documenti e fonti scritte. L’opera si propone di far conoscere la storia del ritrovamento dell’icona della Madonna della Cava dipinta su parete, divenuta poi Santa Patrona del paese, ma in essa non mancano riferimenti dettagliati alla descrizione di Pietraperzia e dei suoi abitanti, contenuti nel primo capitolo del testo.
Le origini di Pietraperzia risalgono intorno al 300 a.C. a partire dal sito di Caulonia nell’entroterra siciliano, esteso per tutta la contrada Ranfallo (o Granfallo) fino al territorio La Guardia; eppure, osservando i ruderi della Rocca, non sembra assurdo affermare che su questi sia esistito un villaggio primitivo neolitico. Lo storico che per primo ne parlò fu Strabone, secondo cui la Caulonia di Sicilia fu fondata dagli abitanti di Caulonia di Calabria, esiliati in Sicilia da Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa.

Sito Rocche


L’antichità del luogo è testimoniata dal ritrovamento di alcune monete nei pressi del Castello; nel 1955 infatti venne rinvenuta una moneta risalente al periodo cartaginese, in particolare un Esadramma siculo-punico del 350 a.C. Ma questa non fu l’unica, poiché nel 1970 fu ritrovato un Tetradramma d’argento risalente al periodo di Dionisi il Vecchio (396 a.C.); un altro esemplare di questa moneta è visibile al Museo numismatico di Londra, sul cui verso è riportata la testa di Eracle ricoperta da una pelle di leone, sul retro invece è raffigurata una figura femminile che indossa un doppio mantello, con il braccio destro alzato e il sinistro appoggiato ad una colonna; sulle due facciate della moneta si può leggere Petri e Petrinos. Lo storico locale Lino Guarnaccia[2] inoltre asserisce di aver visto una moneta d’argento, esattamente un Tetradramma, risalente al periodo del tiranno Gerone II (270-216 a. C.), di cui però non conosce il luogo di ritrovamento.

Anche numerosi siti preistorici testimoniano oggi l’antichità di Pietraperzia, come il sito Satanà, a due miglia da Pietraperzia, di cui ha scritto lo storico Diodoro Siculo; di esso sono ancora presenti medaglie, mattoni, pietre intagliate e costruzioni antiche; poco distante vi è anche il sito detto Rònze; non molto lontano da Caulonia vi era la città subalterna Calata Pilegio, dove ancor oggi sono presenti grotte artificiali. In contrada Raggadesi è stato ritrovato un vasto sepolcro, che testimonia l’antica presenza di un casale. Nella tenuta Petra dell’Uomo furono ritrovate numerosissime testimonianze dell’antichità del luogo; ma il sito archeologico più importante è quello di Cuddaro di Crasto: «Età preistorica, si parla di età del Rame tardo (2600 – 2400 a.C.). Alcuni frammenti di questa età, nella loro sottospecie della cultura preistorica siciliana, […] sono stati scoperti nell’area archeologica. Si presentano a superficie rossa, lucidata e creata con un impasto grezzo e grossolano. Poi ecco l’età del Bronzo antico (2300–1450 a.C.) […] E’ una cultura preistorica che si caratterizza per l’uso di tombe a forno senza pozzetto verticale, normalmente situate alle pendici di zone collinari […] A Tornambè – Fastuchera le caratteristiche della facies castellucciana sono perfettamente individuabili nei frammenti trovati nell’area. Tombe a grotticella bucano diverse pareti di roccia, ricreando un’atmosfera sacra, tipica di ogni luogo legato ai defunti. Vi sono diverse teorie circa questa costruzione. Si parla dell’opera dei Siculi che durante il XV secolo a.C. cacciarono gli indigeni Sicani. Si ipotizza anche che la costruzione sia stata voluta da Dionisio I, Tiranno di Siracusa, durante la guerra greco-cartaginese, volendo creare uno sbarramento tra la Sicilia per l’appunto greca e quella legata all’epicrazia cartaginese»[3]. Non mancano neanche i resti di un’antica piramide, che doveva sicuramente far parte di un villaggio siculo-sicano, come testimoniano nelle vicinanze i resti di abitazioni neolitiche.

Sito Cuddaru di Crastu

Successivamente, durante la Prima Guerra Punica, i Romani distrussero Caulonia poiché non si era sottomessa al loro dominio
«così ebbero fine le glorie di sì nobil Città, perdutandone oggidì l’amplo sito, le pietre intagliate, quadrate, i mattoni doppj, ed un gran numero di grotte ritagliate nelle vive Pietre»[4]; soltanto a questo punto la vicenda di Caulonia si intrecciò con quella di Pietraperzia.

Secondo Padre Dionigi, Pietraperzia (o meglio Petra di Sicilia) nacque da Caulonia, tesi sostenuta anche da storici come Filippo Cluverio e il Marchese di Villabianca, quest’ultimo in particolare affermò che Pietraperzia fu quella risorta dopo la distruzione dei Romani.

La prova che lo dimostrerebbe risale al 1756, anno in cui si formò nel Convento dei frati Minori Riformati di S. Maria di Gesù un’Accademia letteraria, riservata a coloro che si occupavano di arti umanistiche e scienza. L’Accademia prese il nome di Radunanza dei Pastori di Caulonia e i componenti assunsero i nomi delle Ville e delle più antiche Contrade di Pietraperzia, visibili in patenti stampate.

La Terra di Pietraperzia si deve probabilmente indentificare con la Petra nominata da Cicerone delle Verrine. L’antica città fu grande produttrice di grano, oggetto infatti delle ruberie del pretore Verre, preso di mira da Cicerone. Essa era ubicata in contrada Rocche-Lammersa, dove ancora oggi sono visibili i ruderi di un vasto insediamento umano. Le sue origini risalgono ad un periodo compreso tra l’VIII secolo d.C. e la dominazione araba, ma l’etimologia del nome Petra, divenuta poi Pietraperzia, appare ancor oggi incerta. Potrebbe far riferimento a Petronio, duce di Caulonia, o alla Ninfa Petrea, ma l’ipotesi più valida sembrerebbe convergere nella derivazione araba, con particolare riferimento alla Petra nel regno dei Nabatei, situata fra Damasco e Medina, anche se ancor oggi non esiste nulla di certo.

La Petra Nabatea era «una città scavata nella roccia, case e templi compresi; sovente su più piani anche in punti molto alti e poco accessibili, nelle pareti di una stretta e lunga valle. Un vero e proprio canyon da dove il viaggiatore non poteva fare a meno di passare»[5]. Da questo e altri luoghi spesso si allontanavano uomini e mercanzie per raggiungere le sponde opposte, come la Sicilia e la Sardegna.

Gli emigranti arabi che si ritrovarono nell’entroterra siciliano, nostalgici e consapevoli di non poter più far ritorno nel proprio luogo di origine, attratti da quella flora selvaggia delle Rocche così simile alla loro terra natia, scelsero questa località come luogo di accoglienza, chiamandola Petra.

A sostenere questa tesi vi sono diversi dati, come il poter ancora ammirare le troneggianti rovine oggi presenti sul luogo con caratteristiche identiche alla Petra del tempo, l’accertamento della presenza di quel tipo di flussi migratori e l’abitudine per gli emigranti di chiamare località in cui stabilirsi con nomi familiari, basti pensare alle molte città sudamericane con nomi di origine europea.

Per quanto riguarda il passaggio da Petra a Pietraperzia, secondo Padre Dionigi il termine sarebbe anche attestato dallo storico Claudio Tolomeo e Brezio, i quali riportano Petra-partia, piuttosto che percia.

Così Rosario Nicoletti analizza l’aggettivo partia:


E’ per noi interessante poiché il termine ‘partia’ deriva dal verbo latino ‘partio’ che significa divido, spartisco. Lo stesso significato che ha nella nostra parlata la parola ‘pàrtiri’ che oltre a partire, nel senso di mettersi in cammino, significa anche dividere, spartire, spaccare.

Con espressione molto più vicina alla realtà del fenomeno naturale verificatosi, lo storico Claudio Tolomeo denominò la roccia che, oggi, appare bucata, non ‘perciata’ ma ‘partia’: alla latina.[6]


Un’altra ipotesi risale al periodo normanno, relativamente al racconto dello storico e geografo Muhammad Al Idrisi, nella cui analisi delle località siciliane riporta il termine Petra con l’aggiunta dell’aggettivo perciata o percia, nella cui parlata siciliana dell’epoca, ma anche in quella odierna, significa perforata. Idrisi fece riferimento al gruppo di modeste case che, in forma di borgo medievale, cominciarono a sorgere accanto al Castello. Visitando anche i resti dell’antica Petra, non poté far a meno di notare come su tale sito vi fosse un’imponente roccia bucata: Petra Perciata, tradotta in arabo con Agar al matqub (Agar: pietra; Matqub: foro o incisura).

Storico e geografo Muhammad Al Idrisi


A prescindere dalle varie ipotesi formulate, la lingua araba ha lasciato un’impronta indissolubile sulla parlata siciliana, di cui ancora oggi sono visibili i segni. Col passare del tempo il sostantivo e l’aggettivo, per il naturale processo di semplificazione che travolge ogni lingua, si fusero, cosicché in italiano Petra divenne Pietra, mentre Percia divenne Perzia, da qui il termine Pietraperzia, in siciliano Petrapirzia.



Estratto dalla Tesi di laurea di Anna Marotta, Il bandito Antonino di Blasi alias Testalonga (1728-1767).







[1] Cfr. P. Fra Dionigi, Pietraperzia dalle origini al 1776, Relazione critico – storica della prodigiosa invenzione d’una immagine di Maria Santissima della Cava di Pietrapercia, Tipolitografia Di Prima, Pietraperzia, 2004, ripr. dall’ed. Palermo, Stamperia della Divina Provvidenza, 1776.

[2] L. Guarnaccia, Il Castello di Pietraperzia, Tipografia Di Prima, Pietraperzia, 2008, p. 30.

[3] I misteri di Tornambè e il ‘phrourion’ di Cuddaru di Crasto, tratto da Visita Pietraperzia, http://visitapietraperzia.blogspot.it/p/archeologia_12.html?view=magazine.

[4] P. Fra Dionigi, Pietraperzia dalle origini al 1776…op. cit. p. 103.

[5] R. Nicoletti, Da Petra a Pietraperzia, Tipografia Di Prima, Pietraperzia, 2002, p. 14.
[6] Ivi p. 16.


30 maggio 2018

Invito alla lettura: Caffè amaro




Il romanzo di Simonetta Agnello Hornby è ambientato in Sicilia ed è frutto di una lunga escursione storica che inizia a fine '800 per arrivare alla prima metà del secolo scorso.
La scrittrice in questo romanzo dal titolo apparentemente leggero, "Caffè amaro", racconta la storia di Maria, una ragazza di quindici anni, molto bella, che viene chiesta in sposa da un "signorotto blasonato" molto più grande di lei e innamorato perdutamente.
Pietro è un uomo colto, con la passione per i viaggi, collezionista di reperti archeologici. È un cultore di arte, teatro, amante della buona musica. Insomma un uomo di mondo che a modo suo ama godersi la vita.
Maria appartiene ad una famiglia borghese non molto agiata, il padre un avvocato con idee socialiste, la lascia libera di decidere del suo destino. Consapevole delle difficoltà economiche della sua famiglia, vede i vantaggi della proposta di Pietro e decide di farsi sposare.
Pietro non farà fatica a farsi amare; la riempie di premure e di dolci attenzioni che finiranno per conquistarla.
Avrà una vita piena con Pietro. Ormai donna matura, irrompe nel racconto, Giosuè, un amico d'infanzia che il padre di Maria ha cresciuto nella loro casa. Figlio di un suo amico, a cui ha fatto, prima di morire, la promessa di mantenerlo agli studi e avviarlo alla carriera militare. Giosuè dopo avere abbandonato la vita militare diventerà un uomo politico e per Maria il disvelamento di una seconda possibilità nella sua vita di donna affermata e consapevole della sua emancipazione.
La trama non particolarmente originale è quasi un pretesto per far scorrere tra le pagine il romanzo di Maria che si intreccia con la storia d’Italia e della Sicilia e le “storie” di tante famiglie italiane. Un'incessante carrellata che parte dai Fasci siciliani per concludersi con la seconda guerra mondiale e il bombardamento di Palermo. Pagine capaci, a volte, di un grande fascino evocativo,   come quando descrive le case bombardate di Palermo o i viaggi con Pietro. 
Visiteranno Crespi d’Adda, in Lombardia, dove la famiglia Crespi, grandi imprenditori, realizzarono un paese ideale per i loro operai. Maria, imprenditrice nelle miniere del suocero, da quella visita trarrà ispirazione per migliorare le condizioni di lavoro dei suoi "carusi". Una improbabile e inverosimile possibilità che serve solo come spunto all'autrice per descrivere il paese lombardo e la differenza delle condizioni di vita degli operai di Crespi e i minatori siciliani.

Nel libro vengono ricordati i temi che da sempre affliggono la Sicilia. L’incuria delle strade, le epidemie di tifo per la mancanza di fognature e dell’acqua potabile nelle case, le terre incolte, le miniere di zolfo, lo spreco del denaro pubblico, la violenza mafiosa, l’emigrazione.
E poi i viaggi, il fascismo, le colonie, le leggi razziali. Un guazzabuglio di Storia e di “storie” che a tratti mi hanno disorientato.
Le pagine che più mi sono piaciute sono quelle capaci di suscitare certi ricordi pieni di rimpianti, che pesano su tutti coloro che hanno dovuto lasciare la propria terra. La mia infanzia a Pietraperzia e poi l’adolescenza, poi giovane studentessa a Palermo; una città per me allora sconosciuta, bellissima nei miei ricordi, città ricca d'arte, coi suoi teatri, i suoi monumenti, i suoi artisti, l’odore delle "stigliole" e i colori dei mercati della Vucciria e di Ballarò. Il ricordo e lo stupore, ancora nei primi anni 70, per le macerie di quei palazzi bombardati della seconda guerra mondiale, e poi per lavorare, emigrata al nord.
Ricordi legati, sicuramente, alla nostalgia anche per la nostra autrice, che come tanti siciliani ha dovuto vivere lontano dalle sue origini, e che nonostante tutto hanno realizzato i propri sogni nelle città del nord, dove sono stati accolti.

Lina Viola



Il libro "Caffè amaro" è disponibile in biblioteca