02 ottobre 2018

Via 4 Novembre e dintorni: Govanni Corrao, chi era costui? – 4^ Parte





Govanni Corrao, chi era costui?


La perpendicolare alla via 4 Novembre tra le discese Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa è intitolata a Giovanni Corrao.
Fino a non molto tempo fa, di fronte a questo nome ci siamo trovati come don Abbondio davanti a quello di Carneade: una personalità celebre del nostro paese? Un personaggio storico? Ma chi? Quando? Perché? Né i conoscitori delle cose del nostro paese avevano una risposta. Di lui non parlano i libri di storia comunemente in circolazione, né il suo nome compare nei repertori storici correntiAd uno stesso, unico Giovanni Corrao dedicano poche note l’EGM (Enciclopedia Generale Mondadori), la Nuova Enciclopedia Universale Rizzoli La Rousse e l’enciclopedia libera Wikipedia la quale cita come fonte una scheda che l’Archivio Biografico di Palermo ha dedicato allo stesso personaggio: G.C., Palermo 1822-1863, patriota e uomo politico, esiliato dai Borboni ed attivo nei moti siciliani, generale di Garibaldi, assassinato per motivi politici. Ma il nome di G. Corrao raramente compare nello stradario delle nostre città; pochissime quelle che gli hanno intitolato una strada (Pietraperzia sarebbe fra le poche), benché in tutte compaiano vie e piazze dedicate (oltre che a G.Garibaldi) a luoghi e personaggi connessi agli stessi eventi storici: Calatafimi, Marsala, Nino Bixio, Giuseppe La Masa, Rosolino Pilo…A tale riguardo chiarificatrice ci è stata, recentemente, la lettura del romanzo dello scrittore agrigentino Matteo Collura, Qualcuno ha ucciso il generale, romanzo del quale è protagonista Giovanni Corrao, patriota siciliano tra i più audaci e valorosi del nostro Risorgimento, la cui vicenda è passata nell’oblio per ragioni oscure legate agli ultimi anni della sua vita e alla sua fine misteriosa[1].
Palermitano, quasi coetaneo (Palermo, 1822) dei due più noti corregionali, Rosolino Pilo (Palermo, 1820) e Giuseppe La Masa (Palermo, 1819), G. Corrao fu, come quelli, ostile ai Borboni, contro i quali diresse diversi tentativi di cospirazione, subendo prigione ed esilio. Assieme a Rosolino Pilo, organizzò gruppi di volontari a capo dei quali preparò l’arrivo e lo sbarco dei Mille in Sicilia. Combatté, per l’intera durata della campagna, a fianco di Garibaldi, distinguendosi per spirito di iniziativa, capacità militari, ardimento, tanto da essere, dallo stesso, nominato generale sul campo. Successivamente all’Unità d’Italia, venne integrato nell’esercito regio col grado di colonnello. Non condivise, però, ed avversò, la politica del nuovo governo in Sicilia, che si aspettava diversa, e si dimise per coerenza. Partecipò anche all’impresa di Aspromonte. Non è improbabile che accompagnasse Garibaldi durante il suo passaggio da Pietraperzia, nel 1862. Specie di “antigattopardo siciliano”, Corrao non aveva combattuto perché tutto restasse come prima: estremista del Partito d’Azione, fu ideatore di un vago disegno politico imperniato su una sorta di dittatura popolare. Ritenuto sovversivo e pericoloso agitatore, inviso e spiato dalla polizia, rimase invischiato in ambigue trame ordite tra notabili, mafia e autonomisti palermitani e, il 3 agosto 1863, fu ucciso proditoriamente da due colpi di lupara sparati da sicari rimasti sconosciuti, presentatisi, sembra, vestiti da carabinieri. Delitto di mafia o politico-mafioso? L’assassinio di Giovanni Corrao è sempre rimasto avvolto nel mistero, essendo andati distrutti, o fatti sparire, i documenti che lo riguardavano, come se si volesse che di lui non restasse neanche la memoria.[2] Lo scrittore siciliano, col suo romanzo, ne ha voluto riportare alla luce la vicenda. [3]. Gli stessi misteri avrebbero avvolto l’evento della fine di Salvatore Giuliano agli inizi degli anni ‘50[4]
Sulla base di tali elementi, appare evidente che il Giovanni Corrao a cui è dedicata, a Pietraperzia, la discesa perpendicolare alle vie Garibaldi e 4 Novembre, in mezzo e parallela alle vie Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa, sia il terzo dei tre patrioti siciliani, il “generale dei picciotti”in camicia rossa, eroe dimenticato dell’epopea garibaldina in Sicilia, il medesimo personaggio a cui si riferiscono le note riportate dall’Archivio biografico del comune di Palermo e dalle enciclopedie sopra citate. Riteniamo dunque che gli amministratori del nostro paese i quali deliberarono in merito alla dedicazione delle strade, a conoscenza di eventi e protagonisti, abbiano voluto, attraverso la loro scelta, onorare i tre valorosi garibaldini che tanta parte avevano avuto nell’impresa dei Mille.
Salvatore e Maria Giordano

[1] Matteo Collura, Qualcuno ha ucciso il generale, Longanesi, Milano, 2006.
[2] In una nota in appendice del romanzo, l’autore fa notare la coincidenza tra l’assassinio di Giovanni Corrao e l’uso della parola mafia comparsa per la prima volta nella commedia del 1863 I mafiusi di la Vicaria di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca. Il termine mafia viene ufficialmente usato negli atti di indagine relativi al delitto Corrao.
[3] Di Giovanni Corrao parla l’articolo Morte di un garibaldino scomodo di Rosa Faragi, Assessore alla cultura del comune di Prizzi, pubblicato su Dialogus dell’ARCI- Libera di Corleone, del 9/7/2010.
[4] Analogie, per certi aspetti, è possibile riscontrare tra la vicenda di G. Corrao e quella di Salvatore Giuliano. Vedi, tra l’altro, la ricostruzione che del colonnello dell’Evis fa Gaetano Savatteri in I Siciliani, Editori Laterza, 2005, pp.44-53.


28 settembre 2018

Ristrutturazione del convento Santa Maria di Gesù: Opera di alto valore culturale



L’architetto Giuseppe Paolino illustra la ristrutturazione del convento Santa Maria di Gesù

Nella serata di presentazione del progetto di ristrutturazione del convento di Santa Maria, ci fu consegnata, dall’arch. Paolino, una lettera aperta che vogliamo portare a conoscenza di quanti non poterono essere presenti la sera del 25 scorso. Con la lettera torniamo a mostrare alcune immagini della ristrutturazione elaborate al computer, immagini che abbiamo chiesto allo studio Artè, che gentilmente ci sono state concesse.

Sala biblioteca. Ristrutturazione convento Santa Maria di Gesù – Pietraperzia


Lettera aperta

dell’arch. Giuseppe Paolino & Francesca Calì
 Agli Amici della Biblioteca





La “conservazione” del Convento Santa Maria di Gesù, deve essere intesa nella sua accezione più consona a definire quel concetto di sintesi, tanto nobile quanto utilitaristico, che rende possibile la trasformazione di un “Bene Culturale” in “Bene Sociale”. “Nobile” in quanto annoverabile nella sfera della conservazione di “valori culturali”; d’altro canto “utilitaristico”, in quanto capace di rendere possibile quel processo virtuoso di trasformazione di un Bene Culturale in bene capace di produrre “valori socio-economici” per la collettività attraverso anche una appropriata destinazione d’uso.

Chiostro e secondo cortile visti dall’alto. Ristrutturazione convento Santa Maria di Gesù – Pietraperzia

Oltre ad avere un importante valore culturale, il Convento di Santa Maria conduce i cittadini a prendere coscienza di una comunione di storia e di destini. La sua conservazione è perciò di un'importanza vitale. Infatti, questa ricchezza costituisce un bene comune per la collettività: il patrimonio architettonico sopravviverà solo se sarà apprezzato dal pubblico e soprattutto dalle nuove generazioni.
Il Convento di Santa Maria di Gesù rappresenta, dunque, una delle parti più interessanti, sia sotto il profilo architettonico che per il ricco apparato decorativo, del patrimonio architettonico-culturale di Pietraperzia.
Il chiostro. Ristrutturazione convento Santa Maria di Gesù – Pietraperzia

L’obiettivo principale di questo intervento consiste nel recupero, restauro, manutenzione e rifunzionalizzazione del manufatto, al fine di rendere accessibili alle proprie funzioni di strutture ricettive, educative, ricreative, per la valorizzazione turistica nel territorio, attualmente carente nonché per la conservazione e valorizzazione dei circa 4000 volumi storici e oltre 11.000 testi contemporanei che costituiscono il patrimonio della biblioteca comunale di Pietraperzia.

Uno scorcio del chiostro. Ristrutturazione convento Santa Maria di Gesù – Pietraperzia

Lo scopo sociale si fonde con quello urbanistico, sviluppandosi attorno al punto cardine del progetto che è il senso della memoria, che emerge grazie alla particolare attenzione con cui le trasformazioni vengono legate alla preesistenza, alla volontà di conservare tracce di un passato fortemente radicato in quest’area, ma anche al ruolo simbolicamente affidato alla biblioteca come “fabbrica della cultura”, e la biblioteca è solo l’attività principale e catalizzatrice di tutte le altre attività che si svolgono al suo interno, per la creazione di un vero e proprio “polo culturale”. Gli Amici della Biblioteca testimoni sicuri di questa volontaria conservazione, realtà tangibile nella nostra società, proiezione futura di una cultura che affonda le proprie radici nella storia, mezzo di conoscenza per tutta la comunità.... A voi il testimone!

Secondo cortile. Ristrutturazione convento Santa Maria di Gesù – Pietraperzia





19 settembre 2018

Il restauro del Crocifisso di "Lu Signuri di li fasci"

                                                         
Tratto da:
OFFICINA SICILIANA
a cura di Paolo Russo
editrice MAGIKA







Il Crocifisso "umanistico" di Pietraperzia: conservazione, restauro e riconoscimento stilistico


Nel caso del piccolo Crocifisso (cm 110 ca.) che si conserva nella chiesa Maria Santissima del Soccorso di Pietraperzia, nell'entroterra siciliano, lo stato conservativo in cui era pervenuta la statua in legno ne rendeva incomprensibile il reale orizzonte estetico (fig. 1).
Opera «di antichissima Religione nel Publico», il Crocifisso è tenuto ancora oggi in grande venerazione dalla comunità locale che, come nel passato, conduce l'antico simulacro per le vie cittadine il giorno del Venerdì Santo, celebrazione nota come "Lu Signuri di li fasci", per via delle numerose fasce di lino bianco che i devoti legano ad un anello di ferro posto sotto un globo policromo ubicato alla estremità di una lunga trave di cipresso, di più di otto metri, su cui è issato il piccolo Crocifisso, il tutto ancorato sopra una vara condotta in processione. La chiesa, appartenuta ai padri Carmelitani, è annoverata tra le più antiche di Pietraperzia, per quanto non se ne conosca con precisione l'epoca di costruzione. La sua fondazione dovette cadere, ad ogni modo, prima del 1584, anno della donazione di donna Giulia Moncada, moglie del principe di Pietraperzia Pietro Barrese, a Girolamo Mo[z]zicato, Superiore della Compagnia del Soccorso che aveva sede nella suddetta chiesa"11.
A quel tempo, a giudicare dall'attuale aspetto stilistico, il Crocifisso doveva già essere stato scolpito dall'ignoto intagliatore, verosimilmente siciliano. Quanto prima è possibile ipotizzarlo sulla base del suo assetto stilistico-formale originario. Nel corso dei secoli il Crocifisso ha subito il comune destino toccato alla maggior parte di questa classe di manufatti, oggetto di successivi interventi di manomissione e ridipintura che vi hanno apportato una consistente stratificazione materica apocrifa, occultando di fatto l'immagine originaria.
Il recente restauro ha rivelato, al di sotto della posticcia crosta opaca, un'opera inedita, di discreta qualità formale e sorvegliata tecnica esecutiva, aggiungendo una testimonianza preziosa all'evoluzione del tipo in Sicilia nella prima età moderna (figg. 2-4 e tavv. 1-2)12

1. Crocifisso (prima del restauro). Pietraperzia, chiesa Maria Santissima del Soccorso, vulgo del Carmine

La figura del Cristo in croce presenta un impianto frontale, la linea orizzontale tracciata dall'ampia apertura delle braccia che misurano in larghezza lo spazio, con arti esili e corti che si concludono in due grandi mani dai palmi aperti, incrocia la falcata perpendicolarità del corpo. La parte superiore del torso affusolato, dal morbido modellato anatomico, si restringe improvvisamente sotto l'addome, dove l'innaturale strozzatura del tronco enfatizza il ventre arrotondato. È questa una formula che caratterizza quei crocifissi in legno e in legno e mistura, o semplicemente in mistura, prodotti in particolare dalle officine di "crocifissai" messinesi tra la seconda metà del XV e il tardo XVI secolo, ricondotti per lo più alle botteghe familiari dei La Cuminella, dei Pilli e dei Tifano o "de li Matinati", con larghissima diffusione lungo
i versanti costieri settentrionale e ionico dell'isola, e distribuiti anche oltre i confini regionali13.

2. Crocifisso (dopo il restauro). Pietraperzia, chiesa Maria Santissima del Soccorso, vulgo del Carmine

Il Crocifisso di Pietraperzia, tuttavia, pur condividendone le scelte formali di mediazione tra tradizione medioevale e modernità pseudorinascimentale, si differenzia da quei modelli. Nella studiata anatomia della figura, lo scultore tende con più convinzione ad abbandonare i tradizionali schematismi gotici intrisi di stile inter-nazionale, ricercando una misurata attenzione al naturale, dove l'acuto realismo descrittivo cede a un inedito idealismo formale. La sopravvivenza della formula figurativa gotica, di sotto della misurata ortogonalità compositiva rinascimentale, è tradita dalla inclinazione della figura sul lato destro, con il leggero sollevamento dell'anca, mentre la spalla sinistra avanza impercettibilmente, trasmettendo una viva impressione di moto all'esile architettura del corpo. La testa reclina dolcemente sulla spalla destra; il volto, tipizzato, ha tratti regolari, l'ovale polito è segnato dal corrugamento della sella del naso e dalla prominenza degli zigomi arrotati; gli occhi socchiusi; la bocca dischiusa: dietro le labbra livide si intravede la chiostra bianca di piccoli denti (tav. 2).

3. Crocifisso (dopo il restauro). Pietraperzia, chiesa Maria Santissima del Soccorso, vulgo del Carmine

La pacata espressività del viso comunica la sofferenza interiorizzata del martirio. I baffi sono intagliati a ciocche lunghe e ondulate che si ricollegano ai peli della barba delineati a punta di pennello, assumendo all'altezza del mento un'evidenza plastica nell'intaglio simmetrico dei due corni nei quali si spartisce simmetricamente la barba. Un trattamento accurato è riposto anche nell'intaglio della matassa dei capelli che, ricadendo, ricoprono l'omero destro, distendendosi lungo il crinale della spalla sinistra.

4. Crocifisso (dopo il restauro). Pietraperzia, chiesa Maria Santissima del Soccorso, vulgo del Carmine

La struttura del corto perizoma, decorato a larghe fasce verticali alternate azzurro e oro, si distingue per la modernità del panneggio aderente al corpo. Il drappo di stoffa è segnato da pieghe orizzontali parallele che si restringono sul fianco sinistro scoprendo l'inguine, annodandosi con un lembo ripiegato ad occhiello nella parte superiore, mentre l'estremità più lunga e pendente è ravvolta in pieghe tubolari schiacciate che scivolano parallele alla coscia sinistra. Dei numerosi confronti che possono essere fatti in merito alla foggia del perizoma, si citano a titolo di esempio il Crocifisso della omonima chiesa di Montemaggiore Belsito (Palermo), databile agli inizi del XVI secolo; o il Crocifisso con braccia snodabili della Matrice Nuova di Castelbuono, attribuito a Sebastiano de Auxilia con una datazione alla fine XVI, ma che io ritengo doversi anticipare all'inizio del secolo14. 

5. Antonello Gagini, Crocifisso (particolare dei fili d’oro nelle ciocche della barba e dei capelli). Alcamo, chiesa madre

Per altro verso, l'interpretazione eminentemente pittorica della forma plastica è in linea con la tendenza della ricca produzione prima segnalata. L'organico rapporto tra intaglio e pittura, che si osserva in particolare nella definizione della barba (fig. 4), è realizzato con la stessa sottigliezza esecutiva che si riconosce nel Crocifisso di Alcamo di Antonello Gagini, dove fili d'oro illuminano le ciocche di barba e capelli (fig. 5)15; ovvero nel bel Crocifisso, in mistura come quello di Alcamo, della chiesa del Santissimo Salvatore di Messina, recentemente restaurato (fig. 6).

6. Crocifisso, particolare. Messina, Chiesa del Santissimo Salvatore

Il recupero della policromia originale del crocifisso messinese rafforza le nostre conoscenze su tale tipologia di oggetti, evidenziando quella concezione eminentemente pittorica della statua che costituisce aspetto caratterizzante, a mio parere, dell'antica produzione dei Crocifissi siciliani a cavaliere tra XV e XVI secolo: l'accurata finitura policroma concorre alla definizione della forma ai diversi livelli di rappresentazione, dal naturalismo delle ossa delle costole e dello sterno, alla stilizzazione grafica della struttura anatomica; all'iperrealismo delle vene, dei peli dell'ombelico e delle ascelle16. 
Per quanto strettamente legato al filone figurativo prima segnalato, mancano però al momento stringenti confronti lignei in Sicilia con l'esemplare di Pietraperzia, databile, a mio parere, per i caratteri sopra evidenziati, tra la fine del XV secolo e i primi anni del successivo.


 Note:
11.   Le poche notizie in merito sono tratte da Fra Dionigi di Pietraperzia, Relazione critico-storica della prodigiosa invenzione d'una immagine di Maria Santissima chiamata comunemente della cava di Pietrapercia, Palermo, presso Gio. Battista Gagliani, 1776, p. 264. Sulla processione denominata “lu Signori di li fasci'', episodio tra i più caratteristici e seguiti della Settimana Santa in Sicilia, cfr. A. Plumari, La Settimana Santa in Sicilia. Guida ai riti e alle tradizioni popolari, Troina 2003, pp. 173-174.

12.   Il restauro è stato realizzato nel 2013 da Gaetano Correnti di Misilmeri (Palermo), sotto l'alta sorveglianza della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Enna. Un precedente intervento, risalente al 1986, è imputabile a Rosolino La Mattina di Caltanissetta (comunicazione orale del Governatore della Confraternita Maria SS. del Soccorso e degli Agonizzanti che ha finanziato il restauro, Giuseppe Maddalena).-

13.   Cfr. F. Campagna Cicala, Per la scultura lignea del Quattrocento in Sicilia, in Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, catalogo della mostra a cura di G. Cantelli (Messina, chiesa dell'Annunziata dei Catalani, 28 novembre 1981-31 gennaio 1982), Roma 1981, pp. 108-112, 115-117, con bibliografia precedente; e più recentemente, C. Ciolino, Crocifissi messinesi (1447-1551) in Aspetti della scultura a Messina dal XV al XX secolo, a cura di G. Barbera ("Quaderni dell'attività didattica del Museo Regionale di Messina”, 13), Messina 2003, pp. 9-26; Eadem, I mastri crocifissai messinesi, in Manufacere et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, a cura di T Pugliatti, S. Rizzo, P. Russo, Catania, Maimone, 2012, pp. 367-383;V. Buda, La produzione dei Li Matinati in Sicilia tra XV e XVI secolo. Lo stato attuale degli studi, in il Crocifisso in mistura di Giovannello li Matinati. Ricerche e restauro, a cura di G. Musolino e V. Buda, Palermo 2014. pp. 29-35. Cfr. anche P. Russo, La scultura in legno del Rinascimento in Sicilia. Continuità e rinnovamento, Palermo 2009, pp. 112-123, dove è riassunto quel passaggio nell'industria dei crocifissi in legno dal crocifisso cosiddetto gotico doloroso" al crocifisso umanistico. Per la diffusione oltre lo Stretto, si veda ad esempio, per la Calabria, P. Leone de Castris, schede nn. 14-16, in Sculture in legno in Calabria. Dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra (Altomonte, Museo Civico, 30 luglio 2008-31 gennaio 2009), a cura di P. Leone de Castris, Napoli 2009, pp. 148-154.

14.   Per questo e il precedente cfr. G. Fazio, La cultura figurativa in legno nelle Madonie tra la gran corte vescovile di Cefalù, il marchesato dei Ventimiglia e le città demaniali, in Manufacere..., cit., p. 198, fig. 2; pp. 219-220, fig. 18 e nota 132. Sempre qui, nella Matrice Nuova di Castelbuono, ma proveniente dalla chiesa intitolata al Santo, è il San Sebastiano attribuito a ignoto scultore madonita del XV secolo, che presenta un motivo analogo: P Russo, La scultura in legno del Rinascimento..., cit., p. 78; S. Anselmo, Pietro Bencivinni Magister civitatis Politiis" e la scultura lignea nelle Madonie, Bagheria 2009, p. 169, n. 128. Mentre a Naso si può infine ricordare il Crocifisso in mistura della chiesa di sant'Antonio Abate, più vicino ai modelli messinesi: cfr. A. Barricelli, Scultura devozionale e monastica del Rinascimento, inedita o poco nota dei Nebrodi, in “Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Arte Medievale e Moderna. Facoltà di Lettere e Filosofia. Università di Messina”, 15, 1991, fig. 34, p.45. Al di fuori del contesto siciliano, per il particolare disegno del perizoma si possono citare le rassomiglianze con crocifissi prodotti in area veneta nel tardo XV secolo: Crocifissi ispirati o direttamente esemplati sul Crocifisso di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, realizzato tra la fine del settimo e i primi anni dell'ottavo decennio del Quattrocento: cfr. A. Markham Schulz, Il Crocifisso di Santa Maria dei Frari e i suoi epigoni, e I. Matejčič, II Crocifisso rinascimentale della basilica Eufrasiana di Parenzo e altri esempi di manufatti lignei tra le due sponde dell'Adriatico, in Crocifissi lignei a Venezia e nei territori della Serenissima. 1350-1500. Modelli diffusione restauro, atti del convegno internazionale (Venezia, Gallerie dell'Accademia, 18 maggio 2012), a cura di E. Francescutti, Padova 2013, pp. 93-107 e 133-144, e specialmente pp. 138-139, tavv. 52, 54, 56,62, 93, 94, 96. Cfr. anche A. Markham Schulz, Woodcarving and Woodcarvers in Venice 1350-1550, Firenze 2011, pp. 425-435, figg. 122-133, e cat. n. 3, pp. 212-214.

15.   Si veda il bel dettaglio fotografico qui riprodotto in Manufacere..., cit., fig. 16, p. 63. Sul restauro del Crocifisso, cfr. R. Alongi e L Biondo, La memoria restituita, Palermo 2008.

16.   M. Scalisi, Il Crocifisso ritrovato. restauro, in II Crocifisso in mistura..., cit., pp. 37-48, figg. 50-53.