16 luglio 2018

Invito alla lettura: La Mennulara



Leggendo “La Mennulara” 
di Simonetta Agnello Hornby ho avuto la sensazione di avere assistito ad un’opera teatrale; ogni volta che una famiglia finiva di spettegolare sul personaggio principale si abbassava il sipario e quando si rialzava, come in un altro atto, una nuova famiglia, continuava a spettegolare.
Il pettegolezzo si era acceso alla morte di Maria Rosaria Inzerillo detta “la Mennulara”. Prima di morire aveva dato disposizione precise per il suo funerale fatto scrivere gli annunci mortuari e anche il necrologio da pubblicare sul giornale più importante dell’isola.
Il romanzo è ambientato in un paese siciliano, arroccato in una collina che negli anni ’70, con la speculazione edilizia, si era espanso nella parte bassa e abitato dalle famiglie più povere e da piccoli artigiani, mentre nella parte alta abitavano nobilotti e notabili benestanti.
Maria Rosaria Inzerillo, orfana di padre, detta “la Mennulara” fin da bambina raccoglieva mandorle nelle campagne e con il suo lavoro provvedeva alla mamma e alla sorellina, entrambe malate; subendo e sopportando umiliazioni e violenze.


A 13 anni viene assunta come “criata” da una famiglia nobile: gli Alfallipe.
Con gli anni e con l’età, dando prova di sapere governare la casa ma continuando a fare la domestica, aveva assunto il ruolo di amministratrice. Nessuna decisione poteva essere presa senza il suo benestare. La Mennulara, aveva saputo salvare le proprietà della famiglia di Orazio Alfallipe.
I figli del vecchio Alfallipe sarebbero cresciuti senza proprietà e senza avvenire e la loro madre, la vedova di Orazio dopo la morte del marito sarebbe rimasta sola in una grande casa vuota.
Maria Rosaria Inzerillo la conosciamo, nel romanzo, solo attraverso le voci rancorose e piene d’invidia dei suoi compaesani. Ogni famiglia di Roccacolomba, il paese della Mennulara, compresi alcuni degli Alfallipe, hanno molti motivi per detestarla. Solo il medico Mendicò e il prevosto Padre Arena apprezzano l’onestà e il coraggio della protagonista. Con la sua forte volontà, con la sua intelligenza, e per essere andata anche oltre i propri doveri, aveva raggiunto ogni obiettivo per il bene dei suoi padroni. Per il benessere e la ricchezza che aveva saputo creare, anche per sé, era ritenuta da tutti anche come donna vicina alla mafia.
In questo suo romanzo di esordio Simonetta Agnello Hornby crea un personaggio affascinante. Una donna forte e discreta; poco amata e molto invidiata e odiata, una serva padrona determinata, capace di nascondere segreti inconfessabili. Segreti che durante la lettura si intuiscono e altri vengono svelati. Segreti che hanno condizionato la vita della protagonista, che l’hanno resa forte, ma che ha conservato la sua fedeltà agli Alfallipe.
Sorprendente è l’eredità che lascerà ai suoi padroni.
La ricerca del testamento che viene narrato come una caccia al tesoro, così l’aveva voluta e organizzata la Mennulara prima di morire, si trasformerà in momenti di scoramento per chi, tra gli eredi, si sentirà tradito. Una specie di sceneggiata che strappa qualche sorriso al lettore.
Un romanzo piacevole anche se a volte le vicende e certe situazioni sono decisamente inverosimili.
Molto piacevole è anche la descrizione dei luoghi dove sempre mi immedesimo come spettatrice privilegiata. Conoscitrice, come siciliana, dell’ambiente tipico di un paese dell’interno; con personaggi verosimili che solo la Sicilia sa produrre. L’uso sapiente del dialetto rendono i dialoghi ancora più sapidi ed espressivi. Consiglio la lettura di questo romanzo anche a coloro che hanno poco tempo per leggere. Una lettura piana e piacevole con argomenti in chiave tutta siciliana.

Lina Viola


Il libro di Simonetta Agnello Hornby "La Mennulara" è disponibile in biblioteca.





10 luglio 2018

Testimonianze: 1943, SFOLLATI DI GUERRA "A LI MINNITI"




Quando anche l'Italia divenne campo di battaglia e, nell'imminenza dello sbarco degli alleati in Sicilia, le incursioni aeree si fecero più frequenti e intense, moltissima gente lasciò il paese per cercare rifugi più sicuri nelle campagne, anche chiedendo ospitalità presso conoscenti o parenti. Allora, a li Minniti, ci raggiunse la zia Lucietta con tutta la sua famiglia. Con l'arrivo dei nuovi sfollati raddoppiò il numero delle persone e, di conseguenza, il fabbisogno di generi alimentari per sfamare tante bocche.
Per maggior sicurezza avevamo abbandonato la casa colonica e ci eravamo rifugiati nelle grotte, tra le rocce dove avevamo sistemato materassi e pagliericci vari.
La bisnonna  Francesca non aveva voluto seguirci: più rischioso sarebbe stato per lei muoversi tra i sassi e salire sino alle grotte che restare nella casa. Durante quei terribili mesi di paura la bisnonna non perse la sua serenità continuando a badare alle galline, a raccogliere le uova, a preparare la cagliata con il latte della capra. Gli adulti andavano e venivano dalla casa per accudire agli animali e provvedere a tutte le esigenze della numerosa compagnia; noi bambini, invece, quasi mai ci allontanavamo dalle grotte. La cosa che maggiormente ci metteva paura era il rombo degli aerei: appena li sentivamo arrivare correvamo velocemente ai rifugi, se ce ne eravamo allontanati di qualche metro. Ancora tempo dopo la guerra gli stessi tuoni durante i temporali ci facevano tremare dallo spavento.
Niente successe a nessuno di noi, per fortuna, ma spesso assistemmo a bombardamenti su Caltanissetta: sentivamo il frastuono delle esplosioni e notavamo le grosse nuvole di polvere dalla parte del cimitero della città. Una bomba sola cadde a metà strada tra la nostra casa colonica e la rrobba di li Minniti, che probabilmente avevano voluto colpire. Noi sentimmo il fortissimo boato e il rumore dei vetri andati in frantumi. Grande fu lo spavento di mamma e di zia Mariuccia che, all'interno della casa, in quel momento stavano scaldando il forno per cuocere il pane.
Nonna trascorse quella giornata in grande agitazione: zio Biagio, partito il mattino presto per andare al mulino per macinare del grano, tardava a tornare. La paura della nonna era che avessero bombardato anche il mulino e che allo zio fosse capitata qualcosa di grave. Si tranquillizzò la sera tardi quando lo zio tornò con il suo carico di farina. Noi bambini fummo i primi a dirgli della bomba. Solo dopo qualche giorno gli uomini andarono a vedere il grosso cratere che l'ordigno aveva provocato.

Ruderi del mulino di Marcatobianco - Pietraperzia

Non passarono più di due settimane dalla caduta della bomba che osservammo sbalorditi, da una purtedda all'altra del tratto di strada che vedevamo dalla casa (circa un chilometro o poco più), i soldati anglo-americani provenienti da Caltanissetta avanzare in una fila interminabile verso Pietraperzia, con le divise di colori diversi, cachi, color petrolio, grigio-verde, e notammo le piccole jeep americane che sembrava dovessero capovolgersi da un momento all'altro da come si muovevano veloci, quasi saltellando sui sassi della strada.
Dopo alcuni giorni tornò papà: era arrivato a piedi; ce lo vedemmo comparire improvvisamente dalla parte della piana del Salso. Scoprimmo che durante un bombardamento era stato ferito alla gamba e al braccio sinistro, dove aveva ancora una scheggia conficcata che si sentiva toccandolo. Niente di ciò ci aveva fatto sapere prima. Aveva portato con sé un commilitone, un certo Palazzetti, marchigiano, che aveva preferito restare ancora in Sicilia e accettare l'ospitalità che papà gli aveva offerto piuttosto che avventurarsi in un pericoloso ritorno a casa.

Truppe Anglo-Americane nella provincia di Enna

Infatti i tedeschi opponevano una forte resistenza all'avanzata degli alleati in Italia. Notammo che papà e Palazzetti erano stati seguiti da un grosso cane dal pelo fulvo, che essi chiamavano Churchill (non avevamo ancora le conoscenze necessarie per capire il motivo dell'attribuzione al cane di tale nome). Palazzetti rimase a li Minniti alcuni mesi, aiutando nei lavori della campagna e della stalla, poi decise di partire; di lui non sapemmo più niente. Il cane rimase con noi a far la guardia alla casa colonica.
Tornati in paese, conoscenti, ci raccontarono che erano cadute parecchie bombe e che avevano distrutto delle case. Per diversi anni dopo la guerra restarono ancora i ruderi di una casa in piazza Vittorio Emanuele col tetto sfondato, fino a quando la Società Militari in Congedo non acquistò il locale e vi costruì la propria sede sociale. Qualche tempo dopo sapemmo anche della disgrazia che aveva colpito la famiglia Culmone: una bomba a mano inesplosa, che bambini tante volte avevano preso in mano e si erano lanciata per gioco, questa volta era scoppiata vicinissimo a Salvatore, figlio di don Rusariu Ddoca e della maestra Torrenti, e ne aveva provocato la morte.(1)

Maria e Salvatore Giordano


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(1)     Il tragico evento è ricordato da Giovanni Culmone in Pietraperzia anni '40-Reminiscenze, 1996, p.10. Lo stesso, in ibidem, pp.31-38, racconta le giornate di luglio 1943, a Pietraperzia, attraverso una serie di testimonianze.

tratto da: PIETRAPERZIA n° 3 Anno V  Luglio/Settembre 2008


07 luglio 2018

Presentazione del libro di Anna Marotta "Il bandito Testalonga. La resistenza di un vinto"

L'Associazione "Amici della Biblioteca" di Pietraperzia è lieta e onorata di invitare tutta la cittadinanza alla presentazione del libro della nostra cara socia Anna Marotta "Il bandito Testalonga. La resistenza di un vinto" che si terrà in data 14 luglio presso il Chiostro di S. Maria alle ore 19:00. Oltre che dagli interventi, comprendenti la coordinatrice dell’Associazione Lucia Miccichè, l’editore Pierangelo Giambra, l’autrice Anna Marotta e il Sindaco Antonio Bevilacqua, la serata verrà accompagnata da parti recitativo-musicali curati dalla toccante voce del poeta Giuseppe Mistretta​ e dalle meravigliose arpeggiate di Emiliano Spampinato. Non mancheranno le sorprese: la proiezione di un book trailer, le illustrazioni del grafico Nicolò Speciale che ha realizzato la copertina e tanto altro. Al termine della serata verrà offerto ai presenti un rinfresco. L’opera, già presentata al Festival Letterario “Una marina di libri” di Palermo, verrà quindi per la prima volta esposta al pubblico a Pietraperzia, proprio quella terra in cui il bandito nacque. Non mancate, vi aspettiamo numerosi!

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“Tra le profonde radici della terra siciliana, in un museo a cielo aperto accompagnato dalla calura dello Scirocco, cinque controversi protagonisti orchestrano un'infelice storia, il cui tragico finale è più che prevedibile. Il bandito Testalonga (1728-1767), eletto a Robin Hood da un popolo affamato di pane e ideali, diventa così l'emblema di uno spaccato di società, quella dell'omertà, degli intrighi, delle connivenze e dei tradimenti. Ad ogni pagina si respira Sicilia. L'isola è nelle grotte e nei cunicoli impervi, nelle campagne bionde di grano, nei modi espressivi, nei soprusi delle istituzioni e nella primordiale brutalità delle pene. Oggi Testalonga ci lascia una preziosa eredità, al di là dei poco credibili cliché a lui attribuiti: poco o nulla è cambiato rispetto ad allora, la storia ci dà una parvenza di continuità ma, dopotutto, sempre si ripete. Cos'è quindi la resistenza di un vinto? Non consiste nell'esaltazione eroica, un campione appartiene solo ai cantastorie e al popolo; e nemmeno nel giudizio inquisitorio. È solo la chiara e lucida consapevolezza di non poter alzare barricate tra buoni e cattivi. Vago è il confine tra bene e male in un mondo opaco gettato in mare aperto, un funebre e sconfinato Mediterraneo”.