22 ottobre 2018

Invito alla lettura: La zia marchesa di Simonetta Agnello Hornby


Per completare la trilogia di La Mennulara e Boccamurata di Simonetta Agnello Hornby ho letto La zia marchesa, suo secondo romanzo in ordine cronologico di pubblicazione. Il romanzo racconta la saga di una famiglia nobile: i Safamita (quanti cognomi improbabili nei suoi romanzi). Come nei libri precedenti siamo in Sicilia e ancora una volta srotola le vite di tre generazioni della seconda metà dell’800. Anche in La zia Marchesa le storie personali dei personaggi s’intrecciano con gli infiniti spunti storici che l’Autrice utilizza per costruire i suoi romanzi. Nel romanzo non mancherà la comparsa effimera dell’isola Ferdinandea, il brigantaggio, i Fasci siciliani, lo sbarco dei mille, i campieri mafiosi...
Ci sono più voci narranti, sempre di persone al servizio dei Safamita, balie, camerieri, cocchieri... Amalia Cuffaro è stata fino alla sua morte la balia di Costanza, la Marchesa, la protagonista del romanzo, che ha amato come una figlia, e ci farà conoscere gradualmente la storia della Marchesa intanto che la racconta alla nipote Pinuzza, mentre la spidocchia seduta al sole della Muntagnazza. La marchesa Costanza dai capelli rossi e la carnagione lentigginosa era la secondogenita di Caterina Safamita, una figlia indesiderata, non amata, affidata alla balia Amalia, crescerà senza mai una carezza. Solo nell'adolescenza conoscerà un po' di affetto della madre. Il padre invece la vuole bene, la protegge, la stima e per lui sarà sempre la figlia dell'amore. Costanza per tutta la vita si chiederà il perché sua madre non avesse potuto amarla. Una donna che visse triste e infelice sempre incinta di figli che abortisce e madre solo di Stefano il prediletto, Costanza che non amava e Giacomo il ribelle.
Nel romanzo sono presenti sempre gli stessi temi che fanno definire a Simonetta Agnello Horby “trilogia” i suoi primi tre romanzi: l’invidia, l’odio familiare, i tradimenti, le perversioni, e in questo suo secondo romanzo anche l’incesto.
I personaggi, come al solito, sono tantissimi sempre ben caratterizzati, perlopiù gli umili, inseriti con abilità nei molteplici contesti storici, tanti “attori” che si piegano sempre ai loro padroni e cederanno sempre ai ricatti e alle sopraffazioni di campieri e mafiosi. Soprattutto le donne, sottomesse e prede sessuali dei loro padroni.
Per me è sempre piacevole leggere espressioni con la parlata chiara siciliana; a mio parere, danno anche più forza al racconto.
Per dare senso al romanzo, una morale, concludo citando un proverbio siciliano: “Cu li sordi s’accatta tutto, ma nun s’accatta ne l’onuri ne la filicità". È quello che più si adatta alla famiglia Safamita. Ricchissima, ma tutti infelici. Vittime e artefici della loro avidità e della malvagità. Si conoscerà solo alla fine il segreto di Costanza sulla sua nascita e quella dei suoi due fratelli.


Lina Viola


Il libro La zia marchesa di Simonetta Agnello Hornby 
è disponibile in biblioteca. Puoi prenotarlo cliccando qui




15 ottobre 2018

Invito alla lettura: Caterina de’ Medici. Un’italiana sul trono di Francia




Una figura affascinante e controversa del XVI secolo, fiorentina di nascita. Un’italiana sul trono di Francia che seppe conquistare il suo posto nel mondo. Caterina Maria Romula de’ Medici è stata ed è ancora oggi una figura complessa. Le leggende intorno alla sua figura l’hanno resa celebre fino ai giorni nostri. Regina tra le più influenti delle corti europee della sua epoca e donna di cultura, dotata di una intelligenza fuori dal comune, esperta politica e vera appassionata delle opere di Machiavelli. Caterina de’ Medici era pronipote di Lorenzo il Magnifico. Regina di Francia in quanto sposa di Enrico II porterà in Francia la cultura del rinascimento italiano. Fu madre di tre re: Francesco II, Carlo IX, Enrico III, fu di fatto la vera detentrice del potere durante il regno dei tre figli, cagionevoli di salute e troppo giovani per il governo della Francia.

Ma chi era esattamente Caterina de’ Medici?


Jean Orieux nel suo libro la descrive come una donna non bella, tracagnotta, magra, il viso rotondo, gli occhi sporgenti, le labbra grosse. Il suo promesso sposo, Enrico, duca d’Orléans la trovò insignificante; ma era affascinante, colpiva per la sua intelligenza, la sua esperienza politica, formatasi durante il periodo alla corte pontificia, la sua cultura e il suo gusto artistico.
Parlava un francese perfetto ma con un marcato accento italiano che contribuiva a ricordare, sgradevolmente, la sue origini italiane. Questo accentuava la diffidenza che i francesi nutrivano nei suoi confronti, sarà sempre avversata dalla corte e già mal sopportata per i suoi bassi natali rispetto al duca d’Orléans.
In verità Caterina aveva paura, si sentiva sola in una terra straniera, senza figli e con il rischio di essere ripudiata; dopo 10 anni di matrimonio metterà al mondo 10 figli. Provava una totale adorazione nei confronti del marito che però preferiva la compagnia della sua amante, Diana de Poitiers.
Una regina affascinata dall’occulto, dall’astrologia, amava consultare i suoi astrologi, i fratelli Ruggieri, che i francesi guardavano con diffidenza.
Ricordata per la lotta fratricida tra cattolici e protestanti, gli viene addossata la responsabilità di avere dato inizio alla guerra di religione che sconvolse la Francia durante il suo regno, prima come regina consorte e poi come reggente. Fu ritenuta donna crudele e spietata, artefice del cosiddetto eccidio della “Notte di San Bartolomeo”. Migliaia di ugonotti, i protestanti francesi. venuti a Parigi per festeggiare le nozze tra Margherita, figlia di Caterina, con il cugino Enrico di Navarra, capo dei protestanti francesi, furono tutti sterminati. In realtà gli furono addebitate responsabilità  non sue. Di lei si evince una figura portatrice di idee di tolleranza religiosa. Una regina illuminata e non di fatto una “Regina Nera” come considerata per molti secoli.
Nel suo libro, Jean Orieux, porta alla luce tutti gli aspetti e le sfumature di questa figura imponente e controversa che ha affascinato la sua epoca e continua ancora ad affascinare.

Ilaria Matà

08 ottobre 2018

Il Crocifisso della chiesa di Santa Maria a Pietraperzia


                                                                                  

 Tratto da
OFFICINA SICILIANA 
a cura di Paolo Russo
editrice MAGIKA












Il Cristo "appassionato" dei Riformati di Pietraperzia

Originario di Petralia Soprana, un piccolo paese arroccato sulle Madonie, il frate scultore, al secolo Giovanni Pintorno1, scolpì «molte Figure di Christo appassionato, e della Vergine», come ricordava nella seconda metà del secolo il suo "biografo", laico francescano anch'egli, Pietro Tognoletto.
Egli fu autore tra il terzo e il quarto decennio del Seicento di un nuovo tipo di crocifisso ligneo per la pietà e la devozione destinato a larga e duratura fortuna, e consistente, in buona sostanza, nella rielaborazione moderna, a partire cioè dal modello corrente del crocifisso della "maniera", del tipo del crocifisso medievale appartenente alla tradizione dell'ordine.
Del crocifisso manierista trattiene i caratteri dell'elegante complessione del Cristo, dall'accurato naturalismo della anatomia della figura, resa con sorvegliato disegno del corpo e della muscolatura.
Del cosiddetto "crocifisso gotico doloroso" il modello pintorniano reinventa i motivi esteriori, crudamente realistici, della rappresentazione, con una interpretazione marcatamente patetica dell'immagine del Cristo crocifisso, caratterizzata dalla scoperta ostentazione dei segni del martirio e dall'esasperazione descrittiva degli "accessori pietistici" (quali ferite, piaghe, sangue che scorre a fiotti irrorando il "bel" corpo del Cristo, o che si rapprende in grumi dalla evidenza plastica).
Una insistenza sui motivi "dolorosi" della passione di Cristo di cui è provato il rapporto con la letteratura mistica ed ascetica medievale che incontrò una rinnovata fortuna nell'età della Controriforma, e specificamente in ambito francescano riformato, dove è documentata la lettura di autori come Santa Brigida e le sue Rivelazioni, o lo Pseudo Bonaventura, e le Meditazioni ad esso attribuite2.
Ancorché non figuri nell'elenco delle «trentatré immagini del Crocifisso di legno, le quali tutte operano miracoli» scolpite da Frate Umile, stilato dal Tognoletto3, il Crocifisso della chiesa di Santa Maria di Gesù dei frati minori osservanti della riforma di Pietraperzia, è stato attribuito dalla tradizione locale allo scultore francescano (figg. 12-13 e tavv. V-VI).

12. Crocifisso. Pietraperzia, chiesa di Santa Maria di Gesù

Sul Crocifisso invero non disponiamo di molte notizie. Certamente la sua realizzazione è successiva allo stabilimento dell'ordine in città, intorno al 1636 secondo le cronache e la storiografia più antica, anno di fondazione del convento, pochi anni prima la scomparsa dello scultore (1639), su iniziativa di due nobildonne palermitane naturalizzatesi a Pietraperzia, le sorelle Francesca e Maria Santigliano (spose rispettivamente di don Giovanni Bonet, governatore di Pietraperzia, e don Gaspare Rignone).
La testimonianza fin qui più antica sul Crocifisso è rappresentata dalla Relazione critico-storica di un frate di quel convento, padre Dionigi di Pietraperzia, pubblicata nella seconda metà del Settecento, nella quale si ricorda che nella cappella appartenente alla compagnia del preziosissimo Sangue di Cristo «... si adora un Vener. Crocifisso, scolpito, come dicono per le mani del Santo Frate Umile da Patralia»4.

13. Crocifisso (particolare). Pietraperzia, chiesa di Santa Maria di Gesù

E sotto tale paternità, seppure dubitativamente, il Crocifisso di Pietraperzia è stato considerato generalmente dalla letteratura successiva5. Di fatto, sebbene l'autografia pintorniana sia decisamente da scartare, il Crocifisso di Pietraperzia può senz'altro collegarsi alla propaggine Più tarda della famiglia di crocifissi lignei prodotti in Sicilia nel corso del Seicento per la devozione nelle chiese dell'ordine, spesso opera degli stessi frati scultori, tra i quali si distinse giustappunto la figura di Frate Umile, cui sono stati ricondotti numerosi crocifissi disseminati in tutta la Sicilia e anche oltre i confini regionali. Il Crocifisso mostra di condividere la stessa cultura figurativa delle creazioni di Frate Umile, largamente rappresentata nel territorio della provincia ennese dai crocifissi, verosimilmente autografi, di Agira (chiesa di Santa Maria Latina), Cerami (chiesa del Carmine - fig. 14) e Aidone (chiesa di Sant'Anna); e, in stretta contiguità con questi, dai meno certi Crocifissi di Enna (Montesalvo), Piazza Armerina (chiesa di San Pietro) e Gagliano Castelferrato (chiesa di Santa Maria di Gesù)6.

14. Frate Umile da Petralia, Crocifisso, Cerami, chiesa del Carmine — 15. Giovan Battista Mistretta, Crocifisso, 1665, Nicosia, chiesa di San Michele

Vale la pena qui aggiungere, tra le espressioni più tarde del genere doloroso, "sanguinolento", pintorniano, la segnalazione di quel «Crocefisso così al vivo scolpito, che muove le stesse pietre a pietà», oggi conservato nella chiesa di San Michele di Nicosia, ma proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Gesù dei Riformati di Nicosia, opera siglata alla base della croce: «Giovan Battista Mistretta 1665» (figg. 15-16)7. L'elegante architettura del corpo sdutto, dal fluido disegno del corpo e della muscolatura, del Crocifisso petrino, al di là della ricorrenza degli stessi elementi realistici (come, ad esempio, i segni dei legacci alle caviglie e il rilievo dei tendini del piede, o le tracce dolorose della cruenta flagellazione subita e l'abbondante evidenza del sangue) e di altre analogie iconografiche con il modello pintorniano (simile è la foggia del perizoma, ripiegato e stirato sul davanti, in luogo del rimbocco centrale, con un ricasco drappeggiato laterale che si incartoccia con avvolgimenti tubolari), spinge tuttavia a collocarne l'esecuzione ad un'epoca più avanzata.

16. Giovan Battista Mistretta, Crocifisso (particolare), 1665, Nicosia, chiesa di San Michele

Si rilevano alcune difformità dal modello, quali il fiotto di sangue che scorre dalla ferita sul costato, qui privo dell'evidenza plastica delle ferite dei Crocifissi pintorniani; o, tra i motivi non immediatamente riconducibili al repertorio di Frate Umile, la forma a pseudo-stella delle larghe ferite diffuse sul corpo; caratteristico è anche il modulo proporzionale allungato della figura.
Le lunghe ciocche dei capelli sono riunite in fasce piacevolmente ondulate, con soluzione di intaglio meno calligrafica, meno sottile della maniera pintorniana, non già sommaria ma semplificata; allo stesso modo i baffi sono dipinti e non scolpiti; singolare è pure il carattere ornamentale dei riccioli della barba divisa sul mento.
Il piano facciale appare stilizzato, dove invece in frate Umile la fisionomia era contrassegnata dai lineamenti idealizzati.
Si coglie, insomma, una più generale mitigazione dell'intaglio realistico (mentre la tonalità livida dell'incarnato è frutto di un intervento successivo) e un processo complessivo di alleggerimento e consentanea riduzione ad un livello superficiale del capitale doloroso dell'immagine originaria.
In conclusione, i caratteri salienti del Crocifisso di Pietraperzia sono, senz'altro riconducibili alla scultura devozionale della metà del Seicento largamente influenzata dalla produzione artistica di Frate Umile, e tuttavia l'impostazione monumentale complessivamente più composta e nei particolari semplificata, concorre a una ipotesi di datazione dell'opera entro l'ultimo quarto del XVII secolo.



Note:
1   Giovanni Pintorno nacque a Petralia Soprana intorno al 1601 — decisivo il rivelo del 1607 che lo dice di sei anni: G. Macaluso, Frate Umile da Petralia Soprana scultore del secolo XVII, in "Archivio Storico Siciliano", s. III, vol. XVII (1967), pp. 160-161, 226-228 — e morì nel 1639, probabilmente a Palermo, all'età di 38 anni. Entrò nell'ordine dei frati francescani Riformati dell'Osservanza nel 1623 ca., assumendo l'appellativo di frate Umile. Cfr. P. Tognoletto, 11 Paradiso serafico del regno di Sicilia..., 2 voll., Palermo, D. D'Anselmo 1,16671,1. Romolo [vol. Il, 1687], 1667-1687, t. Il, pp. 307-309; e, più recentemente, R. La Mattina, E Dell'Utri, Frate Umile da Petralia. "L'arte e il misticismo", Caltanissetta 1986, con bibliografia precedente.

2   Cfr. P. Russo, La scultura in legno..., cit., pp. 211-224.

3   P. Tognoletto, Il Paradiso.. ., cit., p. 308.

4   Relazione critico-storica..., cit., pp. 256 e ss. La cappella fu dotata grazie ai legati perpetui dei coniugi don Michele Cravotta e donna Angela Maria Balistreri,"genitori della vivente Baronessa di Maria di questa". La chiesa fu danneggiati durante il secondo conflitto mondiale e rifatta sotto padre Antonino Marotta con stucchi e pitture murali ad opera della ditta di Giuseppe Emma di San Cataldo. Il convento, requisito nel 1862 dallo Stato e ceduto al Comune, fu restaurato nel 1982.

5   Cfr. R. La Mattina, E Dell'Utri, Frate Umile..., cit., pp. 162-163.

6   P. Russo, Questioni di scultura ligneo meridionale in età moderno: testimonianze, recuperi e acquisizioni culturali nella Sicilia dell'interno, in Studi, Ricerche, Restauri per lo tutela del Patrimonio Culturale Ennese ("Quaderni del patrimonio Culturale Ennese", I, Servizio Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Enna), Palermo 2012, pp. 384-390, con bibliografia precedente alle pp. 397-400.

7   Provenzale, Nicosia Sacra..., cit., p. 25. Nel 1578 i frati dell'Osservanza si erano insediati nel preesistente convento d'antica origine che, dopo un breve periodo di abbandono, su iniziativa della Città veni» «rianimato» e arricchito di «statue e dipinti non dispregevoli»: G. Beritelli, La Via, Notizie storiche. . , cit., p.176. È anche il caso di ricordare come proprio nel convento di Nicosia pare che Frate Umile avesse svolto il suo noviziato.