03 novembre 2017

PAROLE AFFIORANO IN SUPERFICIE DAGLI ABISSI DELL'ANIMA

Riflessi d'acqua
Filippo Minacapilli

Le parole di Filippo Minacapilli sono come veri e propri riflessi sull'acqua: seguono un leggero moto ondoso, si scompongono e si ricompongono, instancabili esprimono sensazioni e immagini che ritornano limpide e senza increspature.
Emozioni e sentimenti hanno, in questa raccolta, un ruolo privilegiato, senza tuttavia togliere spazio a considerazioni meno intimistiche, di vocazione politico-sociale.

L'opera è divisa in tre parti, per le quali l'autore ha scelto tre diverse forme espressive: le poesie, gli haiku (brevi componimenti poetici giapponesi, utilizzati soprattutto per celebrare la natura) e gli aforismi (di interesse filosofico-pedagogico).
In copertina un uccello si specchia sull'acqua confondendo la vista dell'osservatore, in un gioco di specchi che celebra il vero e l'illusorio al tempo stesso, categorie ossimoriche alle quali appartengono le parole: “reali e invisibili”, forti eppure ineffabili. Parole che come “perle” sanno nascere anche dalla “malattia”, dal dolore dell'abbandono.
I componimenti ruotano soprattutto intorno ai temi dell'amore (urlato, sussurrato, desiderato, perduto...) e della natura. La natura maestra, alla quale l'autore, capace di sentirne le urla silenziose, presta i suoi versi. L'amore inesauribile fonte d'ispirazione, che suggerisce le parole anche quando sembra sottrarle. Paradosso, quest'ultimo, ben espresso in Poesia senza versi:
[…] Non serve il mio canto
se tu non vuoi
più ascoltarlo
Ho perso i versi
Equilibristi accompagnano il lettore in un viaggio sensoriale, avvolto da atmosfere oniriche e sinestetiche. La figura circense riappare di tanto in tanto fra le pagine, per ricordarci che la vita è un bellissimo gioco fatto di fragili e preziosi equilibri nel quale “avanziamo come funamboli sul filo del sogno. Pronti a cadere”.
Il libro può essere apprezzato in ogni sua parte (ognuna vive e brilla di luce propria) ma chi lo legge seguendo l'ordine che va dall'inizio alla fine, potrà coglierne la fluidità dialettica. Il filo conduttore di questo cammino non potrà allora che trovare, ancora una volta nell'acqua, la metafora più calzante e feconda.
Maura Campo

Maura Campo nasce nel 1989 a Catania.
Vive tra Enna e Venezia dove nel 2015 consegue la laurea magistrale in Filosofia della società dell'arte e della comunicazione presso l'Università Ca' Foscari.
È attualmente iscritta al Master in Editoria dell'Università di Verona.
Appassionata di lettura, scrive recensioni per il blog 84 Charing Cross.






02 novembre 2017

La Lupa tra Eros e Thanatos

L’entusiasmo acceso dalla serata “Incontro con l’Autore” fa fatica a scemare nell’animo dei protagonisti, degli organizzatori e della folla di uditori, pertanto è doveroso un ultimo
atto:  tirar fuori dagli scaffali polverosi un personaggio verghiano, conditio sine qua non perché lo scrittore torni a sonnecchiare ripiegato tra una pagina e l’altra, in attesa del prossimo famelico lettore.
L’arduo compito tocca proprio a gnà  Pina, la Lupa, forse il più contorto dei personaggi usciti dalla sua penna. La novella, inclusa nella raccolta Vita dei campi pubblicata nel 1880, tocca probabilmente gli echi più alti del pessimismo verghiano: una donna avulsa dalla morale e dal perbenismo femminile della stantia Sicilia, vive totalmente immersa nella passione e nelle pulsioni del suo corpo, seducendo il genero Nanni e tradendo la figlia Maricchia. Una vinta, nell’ottica secondo cui i vinti siano le ostriche che si distaccano dallo scoglio, coloro che infrangono le darwiniane e immutabili leggi, coloro che non si adeguano al loro status sociale e naturale (la donna martire dedita al sacrificio, come molte figure femminili presenti nei Malavoglia), per questa ragione essa soccomberà alla follia incontenibile di Nanni. Eppure neanche coloro che sembrano seguire il vademecum verghiano sono esenti dalla fiumana: Il genero è tormentato dai sensi di colpa e si macchia di omicidio, Maricchia subisce un duplice tradimento ed è sempre descritta come remissiva e piagnucolante, una lupacchiotta.




D’altro canto la Lupa, nella gravitas che caratterizza il finale, va incontro al suo assassino fiera e superba, consapevole del suo destino ma non per questo turbata, tiene in mano dei papaveri rossi simbolo dell’accecante passione che l’ha divorata in vita, ma rosso è anche il colore del sangue che da lì a poco si verserà, sembra quasi rivelarci il mistero dello yin e dello yang, dell’Eros e del Thanatos. Può definirsi una vinta colei che fino alla fine dei suoi giorni vive con una tale fierezza, cosciente di aver vissuto in simbiosi con la sua essenza più intima? Già la contraddittorietà del personaggio ci viene annunciata nell’incipit, secondo cui: “Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano”.

La verità è una sola: la verità non esiste. D’altronde Verga era siciliano, come Pirandello, come Sciascia, come noi che aneliamo certezze in una terra che, per sua natura, non può darne.

Buonanotte Verga, puoi tornare ad appisolarti, se vuoi.

Anna Marotta



31 ottobre 2017

Incontro con l'autore: genealogia di un progetto

È una mattina di luglio. Sulle colline d'oro del piccolo paese i raggi del sole penzolano stanchi e pesanti, quasi fossero avvolti anche loro dal soffocante abbraccio della calura estiva. Tutto sembra assopito e immobile. 
Due ragazze sedute in biblioteca, dialogano con gli scrittori del passato: Dante, Petrarca, Boccaccio. I libri della grande stanza stanno acquattati di tergo sugli scaffali, come soldati in trincea in attesa d'azione. I loro dorsi stampati ammiccano - vecchi occhi - promesse di conoscenza nuova. "Storia di una capinera", "Il giorno della civetta", "Tommaso e il fotografo cieco"... Saggi vegliardi zittiti dal tempo, in attesa di un ventriloquo che animi i loro ventri gravidi di parole e ad un tempo muti. Perché non dar loro voce?
Da ventriloque, dunque, non da esperte declamatrici, abbiamo ascoltato l'urlo sordo degli autori che volevano dialogare con noi; abbiamo colto il boccheggiare silenzioso delle emozioni, come pesci in una boccia in attesa di essere infranta; abbiamo voluto abbattere la barriera di vetro delle copertine chiuse sulle pagine stampate.



Il siciliano è un ammiratore nato, uno che ovunque vada spalanca gli occhi di ammirazione per le bellezze che lo circondano, per il valore delle ricchezze possedute dagli altri. Ma spesso ignora il valore delle proprie. Nasce così un progetto: una serie di incontri che diano voce a questi autori, ai Nostri autori siciliani, trepidanti scrittori di messaggi meravigliosi, le cui pagine custodiscono i connotati della nostra stessa identità.
Cenacoli, più che conferenze, per cibarci tutti insieme delle ricche portate della nostra Letteratura, per condividere e riscoprire quanto quelle pagine siano più attuali che mai. Ne ripercorreremo la vita, i capolavori, i fotogrammi dei film che ne hanno celebrato le opere e, durante le letture ad alta voce, le emozioni si vestiranno di musica.
Ad inaugurare la serie di incontri Giovanni Verga, l'autore che dai piedi dell'Etna ci ha restituito una preziosa istantanea della società siciliana alle porte del nuovo secolo. Jeli il pastore, Maruzza, la Lupa, l'amante di Gramigna infuocata di passione... Sono poi così lontani da noi?
Infondo i Tre Re che luccicavano sulla testa di 'Ntoni e sui suoi tormenti, sono gli stessi che stasera brillano su di noi... e chissà se qualcuno dei suoi pensieri non è anche il nostro.

Valeria Bongiovanni