Si può formulare qualche ipotesi, al
momento, però, non suffragata da documenti storici precisi.
Annessa alla sacrestia della chiesa di
Maria Ss. del Soccorso esisteva la ruota de proietti. Sia l’una che l’altra,
fino ai primi anni della seconda metà dell’ottocento, facevano parte del
complesso conventuale dei Padri del Terz’ordine di s. Francesco.
Quest’ultimi, a seguito della
donazione avvenuta nel 1705 da parte della Confraternita, erano divenuti
proprietari della chiesa, come risulta anche dal documento del 1828 in cui si
fa espresso riferimento alla processione del venerdì santo rilevando che la
stessa “sortendo dalla chiesa de’ Padri del terz’ordine gira per le strade di
quella Comune...”.
L'esistenza della ruota dei proietti è
documentata a Pietraperzia almeno dal 1756 e il suo funzionamento durò fino
agli anni ’30 del secolo XX.
In uno studio del 1978 dal titolo
“Pietraperzia: un paese vecchio”, pubblicato nella rivista “Archivio Storico
per la Sicilia Orientale”, la studiosa Silvana Raffaele afferma che per la
prima volta il termine “in rota projectorum” si trova in un atto di battesimo
del marzo 1756, custodito presso la Chiesa Madre.
L’istituto della ruota fu reso
obbligatorio, in Sicilia, dal viceré La Viefuille nel 1751, ma probabilmente
esisteva già in alcune città siciliane e fu abolito ufficialmente solo nel 1923
con un regolamento approvato dal governo Mussolini.
Dai documenti finora consultati non è
stato possibile verificare se la “ruota dei proietti” fosse gestita dai terziari francescani che
abitavano il convento oppure dalla stessa Confraternita che nella chiesa
annessa aveva la propria sede.
Dopo l'unità d'Italia, a seguito della
legge n.3036 del 7 luglio 1866, furono soppressi gli ordini religiosi. I
conventi furono requisisti da parte dello Stato e assegnati in parte ai comuni,
come avvenne per il convento dei Padri del Terz’Ordine di S. Francesco,
conosciuto più comunemente come convento del Carmine.
Va precisato, per inciso, che i
Carmelitani non vi abitarono mai, come ha documentato il sacerdote Filippo Marotta
nella presentazione al volume “Pietraperzia dalle origini al 1776” alle pagg.
59 e segg.
È certo comunque che dopo la partenza
dei terziari francescani da Pietraperzia, la ruota fu affidata ad una
dipendente laica pagata dal Comune.
Già nel 1866, in un elenco ritrovato
tra i documenti dell’Archivio della Congregazione di Carità - ora donati alla
Parrocchia S. Maria Maggiore e custoditi nell'archivio della Confraternita
Maria Ss. del Soccorso - si rileva che numerosi erano i bambini abbandonati -“i
projetti”- affidati alla cura della “rutara”, annessa alla sacrestia della
chiesa di Maria Ss. del Soccorso o del Carmine.
Nell’elenco del 1866 redatto dalla
stessa Congregazione ne risultano registrati 66.
Un altro elenco del 1868, firmato da
tutti i componenti la Commissione amministratrice
della Congregazione di
Carità, conferma che già a quell'epoca la cura dei proietti era gestita da
questa Istituzione pubblica istituita in Italia con la legge del 3 agosto 1862
n.753 allo scopo di amministrare i beni destinati a beneficio dei poveri e le
opere pie la cui gestione fosse stata affidata dal consiglio comunale. Tra le
opere pie amministrate dalla Congregazione di Carità vi era la Confraternita
del Soccorso.
A questo punto è opportuno chiarire
quale era il compito e come funzionava la “ruota dei proietti”. Si
trattava di un meccanismo abbastanza
semplice ideato e costruito per consentire l’abbandono di un neonato da parte
della famiglia naturale.
La “rota” era costituita da un
cilindro in legno che collegava l’esterno con l’interno dell’edificio. Il
cilindro era fissato, come una finestra, dentro un muro e ruotava su un perno
in modo tale da portare il neonato dalla parte interna dell’edificio. Il suono
di una campanella precedeva l’abbandono del proietto dentro la ruota.
L’abbandono del bambino era
determinato, quasi sempre, da ragioni economiche ma anche da motivazioni di
carattere sociale. Si trattava anche del frutto di relazioni extraconiugali.
Dal momento in cui l’onere di
provvedere ai bambini abbandonati fu affidato alla Congregazione locale,
quest’ultima contribuì con una somma di lire 4 e centesimi 25 mensili a titolo
di alimenti del proietto, mentre solo per il primo mese di vita veniva erogato
un contributo di 1 lira e 70 centesimi per l'acquisto di pannolini e
“fasciatura”.
Pannolini e fasciatura che erano
evidentemente i “panni lini” e le fasce in cui venivano avvolti i bambini dopo
la nascita.
Formulo una prima ipotesi.
La madre del bambino consegnava il
proietto coperto da qualche modesto panno. Il primo compito della ruotara,
subito dopo l’accoglienza, era quello di “’nfasciarlo”, utilizzando proprio una
fascia cioè quella “striscia di panno lino lunga, e stretta, la quale avvolta
intorno a chicchessia, lega, e strigne leggiermente” secondo il vocabolario del
Pasqualino. Mi piace pensare che su ogni fascia che avvolgeva un bambino
venissero ricamate le iniziali del nome e del cognome attribuito al proietto.
Tradizione, questa, inconsapevolmente tramandata nel tempo. Infatti ancora
oggi, senza che ve ne sia una precisa esigenza, su ogni fascia vengono ricamate
le iniziati del primo proprietario.
L’ipotesi più probabile è che
venissero utilizzate fasce di lino già realizzate per essere destinate ai
proietti. Queste erano già state offerte per voto dai fedeli per essere
“appese” al Crocifisso durante la
processione e consegnate successivamente alla ruotara, forse dalla Confraternita
che curava la processione con il Crocifisso il giorno del venerdì santo. In
questo modo, probabilmente, si chiedeva la protezione per i fanciulli
abbandonati. Non stupisce, perciò, se uno dei voti attualmente più ricorrente è
quello di realizzare la fascia per la nascita di un bambino!
Giuseppe
Maddalena
Nella prossima pubblicazione la seconda parte della ruota dei proietti
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