28 novembre 2017

LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE - 6^ Parte


Stampa del 1861


VI      La ruota dei proietti (II parte)

Fasce del Crocifisso e fasce per i proietti

Riguardo al fatto che le fasce in un primo tempo potessero essere solo “appese”, sovviene l’espressione usata dai pietrini ancora oggi per definire il momento della legatura della fascia ai piedi del Crocifisso: “appenniri la fascia”.
Appendere, infatti, significa letteralmente “fissare un oggetto a un elemento di sostegno, appoggiandolo, legandolo o altrimenti fermandolo ad esso, in modo che resti rialzato da terra o da altro piano orizzontale” (Enciclopedia Treccani) e non è detto che all’inizio le fasce fossero necessariamente sostenute da qualcuno, ma potevano essere lasciate libere, cioè appese alla croce.
Il termine appendere, infatti, ha il significato di qualcosa che pende senza che all’estremità venga tenuto da qualcuno o da qualcosa.
Così doveva essere all’inizio per le fasce le quali erano “appese” ai piedi del Ss. Crocifisso e solo in un secondo momento furono tenute da fedeli anche con la funzione, importante ma non esclusiva, di equilibrio della croce. 
L’ipotesi più probabile, in definitiva, è che le fasce venissero realizzate “per voto” per destinarle ai proietti, dopo che erano state legate per devozione ai piedi del nostro Crocifisso nella loro lunghezza complessiva e successivamente tagliate in più parti per essere utilizzate per “fasciare” i proietti.
Al termine della processione da ogni fascia - lunga originariamente 20/23 metri - si potevano ricavare circa 10 piccole fasce ciascuna di 2,5/3 metri. Questa doveva essere la lunghezza necessaria per avvolgere un bambino.
Il voto del fedele veniva ripetuto ogni anno per il tempo in cui si era obbligato verso il Signore Gesù Cristo e quindi ogni anno il fedele realizzava una nuova fascia.
Una volta consunte naturalmente le fasce erano distrutte, motivo per cui di quelle più antiche non è rimasta nessuna traccia.
Ciò spiegherebbe l’esiguo numero di fasce ritratte nella stampa del 1861, visto che si trattava solo delle fasce di quell’anno e spiegherebbe inoltre il motivo per cui le fasce che attualmente si conservano risalgono solo ad un periodo successivo, cioè dopo il 1880, quando già da circa quindici anni le fasce per i proietti venivano fornite dalla Congregazione di Carità.
In un appunto, ritrovato tra i documenti della Congregazione di Carità, datato 28 agosto 1890, il presidente della stessa ordinava al segretario: “date alla ruotara una fascia, quattro pannolini, e due coppolini”.
 Questa interessante annotazione dimostra che a quella data era già la Congregazione a fornire la “fascia” per i proietti, mentre le fasce legate ai piedi del Crocifisso venivano già riportate in casa dai rispettivi proprietari.
Si potrebbe anche ipotizzare che fasce della lunghezza di 2-3 metri venissero in un primo tempo utilizzate per avvolgere il proietto e, una volta ultimato il compito originario, unite tra loro per formare una fascia più lunga, da legare ai piedi del Crocifisso, durante la processione, per chiederne grazie e protezione.
In entrambe le ipotesi solo in un secondo momento, vista la funzione di equilibrio che riuscivano a svolgere, furono utilizzate per mantenere in equilibrio la croce o semplicemente per facilitarne l'alzata.
La domanda che ne segue, allora, è la seguente: “Perché dopo il 1880 le fasce rimasero di proprietà del fedele o della famiglia che l'aveva realizzata?”
Anche in questo caso formulo un’ipotesi.
Inizialmente, dopo che le fasce erano state “appese” ai piedi del Crocifisso, le preziose strisce di lino venivano lasciate alla Confraternita la quale provvedeva a consegnarle alla ruotara, forse in cambio di denaro.
Dopo il 1862 - anno di istituzione delle Congregazioni di Carità in Italia - fu la Congregazione di Carità locale a fornire la fascia e il fascione direttamente alla ruotara. Da quel momento i fedeli che avevano espresso il voto di realizzare annualmente una fascia per i proietti, non la lasciarono più alla confraternita, ma la riportarono a casa per essere nuovamente legata ai piedi del Crocifisso negli anni successivi.
La Confraternita che dalla vendita delle fasce alla ruotara aveva, in precedenza, ricavato le somme necessarie alla organizzazione della processione, si limitò solamente a chiedere annualmente ai fedeli un contributo in denaro, forse equivalente al costo per la realizzazione di una nuova fascia. 

Ancora oggi ai fedeli che si recano al Carmine per “appenniri la fascia” viene richiesto
da parte della Confraternita un contributo libero, la cui origine e motivazione potrebbero derivare proprio da quanto detto in precedenza.
Una lunga causa, iniziata nel 1890 e conclusasi nel 1913, contrappose la nostra Confraternita, amministrata per la parte economica dalla Congregazione di Carità, al Demanio dello Stato Italiano.
La Congregazione di Carità era subentrata a partire dal 1862 nei rapporti patrimoniali delle Confraternite di Pietraperzia e particolarmente di quella intitolata a Maria Ss. del Soccorso, titolare di una rendita che le derivava da un lascito della principessa Giulia Moncada del 1584 con il testamento pubblicato dal notaio Giacomo Galasso da Palermo il 16 ottobre 1587.
In conseguenza di questa lite i rapporti tra la Confraternita e la Congregazione di Carità - obbligata a fornire il fascione che veniva utilizzato per i proietti - si deteriorarono e potrebbe essere questo uno dei motivi per cui la Confraternita anziché donare la fascia alla “rutara” chiese ai fedeli di riportarsi a casa la fascia e di offrire in cambio un’offerta in danaro, mentre rimase a carico della Congregazione l’onere di provvedere alla fascia per i proietti.
In una registrazione del 1889, la prima in cui si fa cenno alle fasce, l’ammontare di tale contributo offerto dai proprietari di fasce fu pari a lire 1,50. Considerando che il contributo doveva essere di pochi centesimi ci fa supporre che quell’anno le fasce attaccate non dovevano essere più di un quindicina. Alcune di queste, come già detto in precedenza, si conservano tuttora, mentre di altre si è persa memoria e qualche altra ritengo si possa trovare a Pioltello, visto che in quella cittadina sono state portate alcune delle fasce realizzate prima del 1967 a Pietraperzia.

                                                                                 Giuseppe Maddalena

Questa pubblicazione conclude "LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE"
Il ciclo completo delle sei puntate è pubblicato sul sito della Confraternita 
Maria SS del Soccorso:



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26 novembre 2017

LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE - 5^ Parte-




V           La ruota dei proietti (I parte)

Si può formulare qualche ipotesi, al momento, però, non suffragata da documenti storici precisi.
Annessa alla sacrestia della chiesa di Maria Ss. del Soccorso esisteva la ruota de proietti. Sia l’una che l’altra, fino ai primi anni della seconda metà dell’ottocento, facevano parte del complesso conventuale dei Padri del Terz’ordine di s. Francesco.
Quest’ultimi, a seguito della donazione avvenuta nel 1705 da parte della Confraternita, erano divenuti proprietari della chiesa, come risulta anche dal documento del 1828 in cui si fa espresso riferimento alla processione del venerdì santo rilevando che la stessa “sortendo dalla chiesa de’ Padri del terz’ordine gira per le strade di quella Comune...”.
L'esistenza della ruota dei proietti è documentata a Pietraperzia almeno dal 1756 e il suo funzionamento durò fino agli anni ’30 del secolo XX.
In uno studio del 1978 dal titolo “Pietraperzia: un paese vecchio”, pubblicato nella rivista “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, la studiosa Silvana Raffaele afferma che per la prima volta il termine “in rota projectorum” si trova in un atto di battesimo del marzo 1756, custodito presso la Chiesa Madre.
L’istituto della ruota fu reso obbligatorio, in Sicilia, dal viceré La Viefuille nel 1751, ma probabilmente esisteva già in alcune città siciliane e fu abolito ufficialmente solo nel 1923 con un regolamento approvato dal governo Mussolini.
Dai documenti finora consultati non è stato possibile verificare se la “ruota dei proietti”  fosse gestita dai terziari francescani che abitavano il convento oppure dalla stessa Confraternita che nella chiesa annessa aveva la propria sede.
Dopo l'unità d'Italia, a seguito della legge n.3036 del 7 luglio 1866, furono soppressi gli ordini religiosi. I conventi furono requisisti da parte dello Stato e assegnati in parte ai comuni, come avvenne per il convento dei Padri del Terz’Ordine di S. Francesco, conosciuto più comunemente come convento del Carmine.
Va precisato, per inciso, che i Carmelitani non vi abitarono mai, come ha documentato il sacerdote Filippo Marotta nella presentazione al volume “Pietraperzia dalle origini al 1776” alle pagg. 59 e segg.
È certo comunque che dopo la partenza dei terziari francescani da Pietraperzia, la ruota fu affidata ad una dipendente laica pagata dal Comune.
Già nel 1866, in un elenco ritrovato tra i documenti dell’Archivio della Congregazione di Carità - ora donati alla Parrocchia S. Maria Maggiore e custoditi nell'archivio della Confraternita Maria Ss. del Soccorso - si rileva che numerosi erano i bambini abbandonati -“i projetti”- affidati alla cura della “rutara”, annessa alla sacrestia della chiesa di Maria Ss. del Soccorso o del Carmine. 
Nell’elenco del 1866 redatto dalla stessa Congregazione ne risultano registrati 66.
Un altro elenco del 1868, firmato da tutti i componenti la Commissione amministratrice
della Congregazione di Carità, conferma che già a quell'epoca la cura dei proietti era gestita da questa Istituzione pubblica istituita in Italia con la legge del 3 agosto 1862 n.753 allo scopo di amministrare i beni destinati a beneficio dei poveri e le opere pie la cui gestione fosse stata affidata dal consiglio comunale. Tra le opere pie amministrate dalla Congregazione di Carità vi era la Confraternita del Soccorso.



A questo punto è opportuno chiarire quale era il compito e come funzionava la “ruota dei proietti”. Si trattava  di un meccanismo abbastanza semplice ideato e costruito per consentire l’abbandono di un neonato da parte della famiglia naturale.
La “rota” era costituita da un cilindro in legno che collegava l’esterno con l’interno dell’edificio. Il cilindro era fissato, come una finestra, dentro un muro e ruotava su un perno in modo tale da portare il neonato dalla parte interna dell’edificio. Il suono di una campanella precedeva l’abbandono del proietto dentro la ruota.
L’abbandono del bambino era determinato, quasi sempre, da ragioni economiche ma anche da motivazioni di carattere sociale. Si trattava anche del frutto di relazioni extraconiugali.
Dal momento in cui l’onere di provvedere ai bambini abbandonati fu affidato alla Congregazione locale, quest’ultima contribuì con una somma di lire 4 e centesimi 25 mensili a titolo di alimenti del proietto, mentre solo per il primo mese di vita veniva erogato un contributo di 1 lira e 70 centesimi per l'acquisto di pannolini e “fasciatura”.
Pannolini e fasciatura che erano evidentemente i “panni lini” e le fasce in cui venivano avvolti i bambini dopo la nascita.
Formulo una prima ipotesi.
La madre del bambino consegnava il proietto coperto da qualche modesto panno. Il primo compito della ruotara, subito dopo l’accoglienza, era quello di “’nfasciarlo”, utilizzando proprio una fascia cioè quella “striscia di panno lino lunga, e stretta, la quale avvolta intorno a chicchessia, lega, e strigne leggiermente” secondo il vocabolario del Pasqualino. Mi piace pensare che su ogni fascia che avvolgeva un bambino venissero ricamate le iniziali del nome e del cognome attribuito al proietto. Tradizione, questa, inconsapevolmente tramandata nel tempo. Infatti ancora oggi, senza che ve ne sia una precisa esigenza, su ogni fascia vengono ricamate le iniziati del primo proprietario.
L’ipotesi più probabile è che venissero utilizzate fasce di lino già realizzate per essere destinate ai proietti. Queste erano già state offerte per voto dai fedeli per essere “appese”  al Crocifisso durante la processione e consegnate successivamente alla ruotara, forse dalla Confraternita che curava la processione con il Crocifisso il giorno del venerdì santo. In questo modo, probabilmente, si chiedeva la protezione per i fanciulli abbandonati. Non stupisce, perciò, se uno dei voti attualmente più ricorrente è quello di realizzare la fascia per la nascita di un bambino!


                                                                                     Giuseppe Maddalena



Nella prossima pubblicazione la seconda parte della ruota dei proietti



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23 novembre 2017

LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE - 4^ Parte



IV        Alcune notizie sui primi proprietari delle fasce

Il recente ritrovamento tra le carte del defunto parroco della Chiesa Madre sac. Michele Carà (20/04/1870 – 09/06/1946) di alcuni documenti e di un registro utilizzato come brogliaccio di appunti appartenenti alla Confraternita Maria SS. del Soccorso ci conforta in tale ipotesi. I documenti sono stati consegnati alla nostra Confraternita nel 2013 dallo storico locale sac. Filippo Marotta, nipote del parroco Carà.
Il registro del parroco Carà, verosimilmente utilizzato come brogliaccio già a partire dagli ultimi anni del secolo XIX, riporta quasi tutti i proprietari di fasce che furono annotati fino al 1914.
Nel suddetto registro tra l’altro sono annotate le offerte di una lira per ognuna delle tre fasce nuove realizzate per la processione del 2 aprile 1904, il che documenta, probabilmente, che per le fasce di nuova realizzazione il contributo richiesto era maggiore rispetto alle fasce già esistenti. 
L’ultima data riportata nel registro-brogliaccio è quella del 10 aprile 1914 quando vengono annotate le fasce dei signori Bevilacqua Calogero fu Sebastiano, Salvaggio Giuseppe fu Giovanni e Pinnadauria Salvatore fu Calogero, realizzate in quell'anno e tuttora esistenti.
Vi sono registrati una settantina di nominativi di proprietari di fasce, alcune delle quali ancora esistenti, come è stato possibile documentare nel censimento delle fasce del 1995.
Nello stesso registro tale elenco fu poi trascritto in maniera più ordinata, riportando esattamente 71 fasce. Utilizzato fino al 1914, il brogliaccio fu sostituito da altro registro alfabetico in cui furono riportati i nominativi dei proprietari delle fasce esistenti a quell'epoca e quelle che man mano sono state realizzate fino al 1975. Nell'inventario della confraternita redatto il 10 maggio 1914 viene già riportato il registro delle fasce.
Ciò dimostra che fino al 1915 le fasce esistenti a Pietraperzia erano circa un’ottantina
Il primo nominativo riportato nel brogliaccio e poi nel registro alfabetico è quello di Pietro Cacciato (1851 - 1933).
Attualmente la fascia di Pietro Cacciato è in possesso del confrate Filippo Falzone (n. 03/01/1939) che ha affermato che la stessa è stata realizzata nel 1885, cosa verosimile alla luce di quanto racconta un’altra pronipote del Cacciato, la signora Natala Alù.
Ritengo utile raccontare la storia di questa fascia poiché conoscendo l’esatta data di nascita del primo proprietario e l’anno di presumibile realizzazione ci aiuta a capire quando in realtà le fasce legate alla croce furono riportate a casa dopo la processione.
Il Cacciato era militare ed ebbe un problema alla vista. Fece promessa di realizzare la fascia se il Signore Gesù Cristo l’avesse guarito dalla malattia, cosa che si verificò realmente, ed al ritorno dal servizio militare, verosimilmente in un periodo intercorrente tra il 1873 e il 1880, la realizzò.
Tale data si ricava tenendo presente che il Cacciato era nato nel 1851. Se teniamo presente che il servizio di leva obbligatoria veniva svolto dopo la maggiore età, è facile supporre che la fascia sia stata realizzata negli anni '70 del secolo XIX. La misura originaria di questa fascia è di circa 23  metri.
Le date sopra riportate sono utili a dimostrare che verosimilmente prima di allora non esisteva nessun registro o documento in cui la Confraternita annotava i proprietari di fasce, sia perché erano relativamente poche, sia perché non appartenevano ai fedeli. Quest’ultimi si limitavano semplicemente a realizzare la fascia, legarla al Crocifisso e successivamente lasciarla alla Confraternita la quale provvedeva a consegnarla o venderla alla ruotara, (la donna addetta a ricevere alla ruota i bambini che venivano abbandonati).

Solo dal 1889, infatti, troviamo offerte per le fasce nei registri della Confraternita. Anche nei documenti riportati alla luce presso gli Archivi di Stato di Enna e Caltanissetta, che riguardano i conti della Confraternita, nessun accenno si trova riguardo alle fasce.
Solo a partire dal 1880/85 le fasce vennero riportate a casa dai rispettivi fedeli dopo la processione e successivamente legate alla croce negli anni successivi e da qui la necessità per la Confraternita di registrarne i proprietari.
Le poche fasce mostrate dalla stampa di Cosimo Adamo sono quelle realizzate annualmente, che successivamente venivano tagliate per l’uso dei proietti (i bambini che venivano lasciati nella ruota alla tutela pubblica).
Da questo momento la processione con il Calvario - la croce con le fasce - con 6/10 fasce legate diviene la processione che si trasformerà ne lu Signuri di li fasci. E’ solo un’ipotesi, ma è certo che prima degli anni '80 del secolo XIX le fasce non erano di proprietà privata e non c’è traccia di ciò nei documenti della Confraternita. Prima del 1861 il Calvario veniva portato in processione con le fasce ma di queste
non è rimasta nessuna traccia perché dopo la cerimonia religiosa venivano utilizzate per lo scopo di cui si è detto. Se si fosseroconservate come quelle realizzate nella seconda metà dell’800, qualcuna di esse sarebbe giunta fino a noi.
Infine potrebbe anche darsi che dopo una certa data il lino non venisse più coltivato a Pietraperzia o che il costo per la loro realizzazione fosse aumentato. Era quindi più difficile realizzare fasce nuove.
Per questo motivo le fasce realizzate annualmente venivano riportate a casa dai proprietari aggiungendosi a quelle preesistenti.

Giuseppe Maddalena


Nella prossima pubblicazione la prima parte della ruota dei proietti



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