30 novembre 2017

Kazuo Ishiguro: non solo Nobel per la Letteratura, ma anche vincitore di un Premio Letterario siciliano




A un anno dall'inaspettata vincita di Bob Dylan, il premio Nobel per la Letteratura 2017 è stato assegnato allo scrittore giapponese naturalizzato britannico Kazuo Ishiguro perché, come si legge nella motivazione, "nei suoi romanzi di grande impatto emotivo ha svelato l'abisso che si nasconde sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo".
Prima di Ishiguro soltanto ad altri due scrittori giapponesi è stato assegnato il Nobel alla letteratura: Yasunari Kawabata nel 1968 e Kenzaburō Ōe nel 1994.
Kazuo Ishiguro è nato a Nagasaki l'8 novembre 1954 e si è trasferito con la famiglia in Inghilterra nel 1960. Il soggiorno, che avrebbe dovuto essere temporaneo, divenne definitivo.
Pur frequentando fin da bambino le scuole in Inghilterra, Ishiguro fu educato secondo le tradizioni giapponesi. Si è laureato in filosofia e letteratura alla University of Kent (1978), ha poi seguito corsi di scrittura creativa, avendo tra gli insegnanti Malcom Bradbury e Angela Carter.
Attualmente vive a Londra con la moglie scozzese, Lorna MacDougall, assistente sociale, e la loro figlia Naomi.
A Nagasaki, pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono ambientati il suo romanzo d'esordio Un pallido orizzonte di colline, del 1982, di cui è protagonista una donna giapponese, e il secondo Un artista del mondo fluttuante del 1986, che vede al centro un anziano pittore, per cui gli venne assegnato il premio Withbread, mentre con quella che è, forse, la sua opera più conosciuta, Quel che resta del giorno ha conquistato il premio Man Booker Prize nel 1989.



Da questo libro è stato tratto l'omonimo film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson, diretto da James Ivory e vincitore del Premio Oscar nel 1994. Nel 2005 ha scritto Non lasciarmi per il quale ha ricevuto il Premio Alex.
Anche Non lasciarmi diventa un film, con la regia di Mark Romanek (2010).
Dopo una lunga pausa con Il gigante sepolto il suo ultimo romanzo del 2015 lo scrittore anglo-giapponese torna a sorprendere, trasportando i lettori in una dimensione fantastica con la storia di Beatrice e Axl, una coppia di anziani in viaggio tra draghi, giganti, folletti nella Britannia del VI secolo, alcuni anni dopo la morte di Re Artù, per trovare il figlio lontano che non sanno più se esista veramente.
Anche di questo libro sono stati acquisiti i diritti, dal produttore hollywoodiano Scott Rudin, per farne un film.
Tra i suoi libri anche Gli inconsolabili dove il mistero è la chiave di volta di ogni vicenda e Quando eravamo orfani, in cui un detective scruta il mondo che precipita verso l'esplosione totale.
Complessivamente sono sette i suoi romanzi, tutti bestseller e pluripremiati, a cui si aggiungono i racconti, tutti pubblicati in Italia da Einaudi.
Kazuo Ishiguro è stato premiato anche in Sicilia nel 2009 con l’opera Notturni vincendo la sesta edizione del Premio letterario internazionale “Giuseppe Tomasi di Lampedusa” che si svolge a Santa Margherita di Belice nel Palazzo Filangeri di Cutò.
Si ricorda inoltre che a Giuseppe Tomasi di Lampedusa sarà dedicato il prossimo incontro con l’Autore, promosso dall’Associazione Amici della Biblioteca.
Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” – si legge nella motivazione della giuria – è scrittura crepuscolare, carica di melanconia, con sprazzi di virilità attraverso i quali l’autore, mosso da una pietas severa ed autentica, cerca di disincagliare le proprie creature dall’accidiosa frustrazione che portano dentro. Ishiguro, al di là delle sue origini, mostra anche con “Notturni” le radici di una formazione che coniuga echi dublinesi con la migliore letteratura angloamericana.
Francesco Valenti, Il primo cittadino di Santa Margherita di Belice, nella sua lettera di congratulazioni allo scrittore scrive: "In quell'occasione abbiamo avuto modo di conoscerla e addentrarci nella limpidezza malinconica della sua scrittura.
Oggi, ricordando quel giorno, riconosciamo ancora una volta l'importanza del lavoro svolto dalla giuria presieduta da Gioacchino Lanza Tomasi e l'indiscutibile valore di un premio che, anno dopo anno, è capace di promuovere sensibilmente la letteratura e l'incontro tra le culture".

Emiliano Spampinato


28 novembre 2017

LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE - 6^ Parte


Stampa del 1861


VI      La ruota dei proietti (II parte)

Fasce del Crocifisso e fasce per i proietti

Riguardo al fatto che le fasce in un primo tempo potessero essere solo “appese”, sovviene l’espressione usata dai pietrini ancora oggi per definire il momento della legatura della fascia ai piedi del Crocifisso: “appenniri la fascia”.
Appendere, infatti, significa letteralmente “fissare un oggetto a un elemento di sostegno, appoggiandolo, legandolo o altrimenti fermandolo ad esso, in modo che resti rialzato da terra o da altro piano orizzontale” (Enciclopedia Treccani) e non è detto che all’inizio le fasce fossero necessariamente sostenute da qualcuno, ma potevano essere lasciate libere, cioè appese alla croce.
Il termine appendere, infatti, ha il significato di qualcosa che pende senza che all’estremità venga tenuto da qualcuno o da qualcosa.
Così doveva essere all’inizio per le fasce le quali erano “appese” ai piedi del Ss. Crocifisso e solo in un secondo momento furono tenute da fedeli anche con la funzione, importante ma non esclusiva, di equilibrio della croce. 
L’ipotesi più probabile, in definitiva, è che le fasce venissero realizzate “per voto” per destinarle ai proietti, dopo che erano state legate per devozione ai piedi del nostro Crocifisso nella loro lunghezza complessiva e successivamente tagliate in più parti per essere utilizzate per “fasciare” i proietti.
Al termine della processione da ogni fascia - lunga originariamente 20/23 metri - si potevano ricavare circa 10 piccole fasce ciascuna di 2,5/3 metri. Questa doveva essere la lunghezza necessaria per avvolgere un bambino.
Il voto del fedele veniva ripetuto ogni anno per il tempo in cui si era obbligato verso il Signore Gesù Cristo e quindi ogni anno il fedele realizzava una nuova fascia.
Una volta consunte naturalmente le fasce erano distrutte, motivo per cui di quelle più antiche non è rimasta nessuna traccia.
Ciò spiegherebbe l’esiguo numero di fasce ritratte nella stampa del 1861, visto che si trattava solo delle fasce di quell’anno e spiegherebbe inoltre il motivo per cui le fasce che attualmente si conservano risalgono solo ad un periodo successivo, cioè dopo il 1880, quando già da circa quindici anni le fasce per i proietti venivano fornite dalla Congregazione di Carità.
In un appunto, ritrovato tra i documenti della Congregazione di Carità, datato 28 agosto 1890, il presidente della stessa ordinava al segretario: “date alla ruotara una fascia, quattro pannolini, e due coppolini”.
 Questa interessante annotazione dimostra che a quella data era già la Congregazione a fornire la “fascia” per i proietti, mentre le fasce legate ai piedi del Crocifisso venivano già riportate in casa dai rispettivi proprietari.
Si potrebbe anche ipotizzare che fasce della lunghezza di 2-3 metri venissero in un primo tempo utilizzate per avvolgere il proietto e, una volta ultimato il compito originario, unite tra loro per formare una fascia più lunga, da legare ai piedi del Crocifisso, durante la processione, per chiederne grazie e protezione.
In entrambe le ipotesi solo in un secondo momento, vista la funzione di equilibrio che riuscivano a svolgere, furono utilizzate per mantenere in equilibrio la croce o semplicemente per facilitarne l'alzata.
La domanda che ne segue, allora, è la seguente: “Perché dopo il 1880 le fasce rimasero di proprietà del fedele o della famiglia che l'aveva realizzata?”
Anche in questo caso formulo un’ipotesi.
Inizialmente, dopo che le fasce erano state “appese” ai piedi del Crocifisso, le preziose strisce di lino venivano lasciate alla Confraternita la quale provvedeva a consegnarle alla ruotara, forse in cambio di denaro.
Dopo il 1862 - anno di istituzione delle Congregazioni di Carità in Italia - fu la Congregazione di Carità locale a fornire la fascia e il fascione direttamente alla ruotara. Da quel momento i fedeli che avevano espresso il voto di realizzare annualmente una fascia per i proietti, non la lasciarono più alla confraternita, ma la riportarono a casa per essere nuovamente legata ai piedi del Crocifisso negli anni successivi.
La Confraternita che dalla vendita delle fasce alla ruotara aveva, in precedenza, ricavato le somme necessarie alla organizzazione della processione, si limitò solamente a chiedere annualmente ai fedeli un contributo in denaro, forse equivalente al costo per la realizzazione di una nuova fascia. 

Ancora oggi ai fedeli che si recano al Carmine per “appenniri la fascia” viene richiesto
da parte della Confraternita un contributo libero, la cui origine e motivazione potrebbero derivare proprio da quanto detto in precedenza.
Una lunga causa, iniziata nel 1890 e conclusasi nel 1913, contrappose la nostra Confraternita, amministrata per la parte economica dalla Congregazione di Carità, al Demanio dello Stato Italiano.
La Congregazione di Carità era subentrata a partire dal 1862 nei rapporti patrimoniali delle Confraternite di Pietraperzia e particolarmente di quella intitolata a Maria Ss. del Soccorso, titolare di una rendita che le derivava da un lascito della principessa Giulia Moncada del 1584 con il testamento pubblicato dal notaio Giacomo Galasso da Palermo il 16 ottobre 1587.
In conseguenza di questa lite i rapporti tra la Confraternita e la Congregazione di Carità - obbligata a fornire il fascione che veniva utilizzato per i proietti - si deteriorarono e potrebbe essere questo uno dei motivi per cui la Confraternita anziché donare la fascia alla “rutara” chiese ai fedeli di riportarsi a casa la fascia e di offrire in cambio un’offerta in danaro, mentre rimase a carico della Congregazione l’onere di provvedere alla fascia per i proietti.
In una registrazione del 1889, la prima in cui si fa cenno alle fasce, l’ammontare di tale contributo offerto dai proprietari di fasce fu pari a lire 1,50. Considerando che il contributo doveva essere di pochi centesimi ci fa supporre che quell’anno le fasce attaccate non dovevano essere più di un quindicina. Alcune di queste, come già detto in precedenza, si conservano tuttora, mentre di altre si è persa memoria e qualche altra ritengo si possa trovare a Pioltello, visto che in quella cittadina sono state portate alcune delle fasce realizzate prima del 1967 a Pietraperzia.

                                                                                 Giuseppe Maddalena

Questa pubblicazione conclude "LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE"
Il ciclo completo delle sei puntate è pubblicato sul sito della Confraternita 
Maria SS del Soccorso:



1^ Parte - Per leggere clicca qui
2^ Parte - Per leggere clicca qui
3^ Parte - Per leggere clicca qui
4^ Parte - Per leggere clicca qui
5^ Parte - Per leggere clicca qui




26 novembre 2017

LE SPERANZE AVVOLTE IN FASCE - 5^ Parte-




V           La ruota dei proietti (I parte)

Si può formulare qualche ipotesi, al momento, però, non suffragata da documenti storici precisi.
Annessa alla sacrestia della chiesa di Maria Ss. del Soccorso esisteva la ruota de proietti. Sia l’una che l’altra, fino ai primi anni della seconda metà dell’ottocento, facevano parte del complesso conventuale dei Padri del Terz’ordine di s. Francesco.
Quest’ultimi, a seguito della donazione avvenuta nel 1705 da parte della Confraternita, erano divenuti proprietari della chiesa, come risulta anche dal documento del 1828 in cui si fa espresso riferimento alla processione del venerdì santo rilevando che la stessa “sortendo dalla chiesa de’ Padri del terz’ordine gira per le strade di quella Comune...”.
L'esistenza della ruota dei proietti è documentata a Pietraperzia almeno dal 1756 e il suo funzionamento durò fino agli anni ’30 del secolo XX.
In uno studio del 1978 dal titolo “Pietraperzia: un paese vecchio”, pubblicato nella rivista “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, la studiosa Silvana Raffaele afferma che per la prima volta il termine “in rota projectorum” si trova in un atto di battesimo del marzo 1756, custodito presso la Chiesa Madre.
L’istituto della ruota fu reso obbligatorio, in Sicilia, dal viceré La Viefuille nel 1751, ma probabilmente esisteva già in alcune città siciliane e fu abolito ufficialmente solo nel 1923 con un regolamento approvato dal governo Mussolini.
Dai documenti finora consultati non è stato possibile verificare se la “ruota dei proietti”  fosse gestita dai terziari francescani che abitavano il convento oppure dalla stessa Confraternita che nella chiesa annessa aveva la propria sede.
Dopo l'unità d'Italia, a seguito della legge n.3036 del 7 luglio 1866, furono soppressi gli ordini religiosi. I conventi furono requisisti da parte dello Stato e assegnati in parte ai comuni, come avvenne per il convento dei Padri del Terz’Ordine di S. Francesco, conosciuto più comunemente come convento del Carmine.
Va precisato, per inciso, che i Carmelitani non vi abitarono mai, come ha documentato il sacerdote Filippo Marotta nella presentazione al volume “Pietraperzia dalle origini al 1776” alle pagg. 59 e segg.
È certo comunque che dopo la partenza dei terziari francescani da Pietraperzia, la ruota fu affidata ad una dipendente laica pagata dal Comune.
Già nel 1866, in un elenco ritrovato tra i documenti dell’Archivio della Congregazione di Carità - ora donati alla Parrocchia S. Maria Maggiore e custoditi nell'archivio della Confraternita Maria Ss. del Soccorso - si rileva che numerosi erano i bambini abbandonati -“i projetti”- affidati alla cura della “rutara”, annessa alla sacrestia della chiesa di Maria Ss. del Soccorso o del Carmine. 
Nell’elenco del 1866 redatto dalla stessa Congregazione ne risultano registrati 66.
Un altro elenco del 1868, firmato da tutti i componenti la Commissione amministratrice
della Congregazione di Carità, conferma che già a quell'epoca la cura dei proietti era gestita da questa Istituzione pubblica istituita in Italia con la legge del 3 agosto 1862 n.753 allo scopo di amministrare i beni destinati a beneficio dei poveri e le opere pie la cui gestione fosse stata affidata dal consiglio comunale. Tra le opere pie amministrate dalla Congregazione di Carità vi era la Confraternita del Soccorso.



A questo punto è opportuno chiarire quale era il compito e come funzionava la “ruota dei proietti”. Si trattava  di un meccanismo abbastanza semplice ideato e costruito per consentire l’abbandono di un neonato da parte della famiglia naturale.
La “rota” era costituita da un cilindro in legno che collegava l’esterno con l’interno dell’edificio. Il cilindro era fissato, come una finestra, dentro un muro e ruotava su un perno in modo tale da portare il neonato dalla parte interna dell’edificio. Il suono di una campanella precedeva l’abbandono del proietto dentro la ruota.
L’abbandono del bambino era determinato, quasi sempre, da ragioni economiche ma anche da motivazioni di carattere sociale. Si trattava anche del frutto di relazioni extraconiugali.
Dal momento in cui l’onere di provvedere ai bambini abbandonati fu affidato alla Congregazione locale, quest’ultima contribuì con una somma di lire 4 e centesimi 25 mensili a titolo di alimenti del proietto, mentre solo per il primo mese di vita veniva erogato un contributo di 1 lira e 70 centesimi per l'acquisto di pannolini e “fasciatura”.
Pannolini e fasciatura che erano evidentemente i “panni lini” e le fasce in cui venivano avvolti i bambini dopo la nascita.
Formulo una prima ipotesi.
La madre del bambino consegnava il proietto coperto da qualche modesto panno. Il primo compito della ruotara, subito dopo l’accoglienza, era quello di “’nfasciarlo”, utilizzando proprio una fascia cioè quella “striscia di panno lino lunga, e stretta, la quale avvolta intorno a chicchessia, lega, e strigne leggiermente” secondo il vocabolario del Pasqualino. Mi piace pensare che su ogni fascia che avvolgeva un bambino venissero ricamate le iniziali del nome e del cognome attribuito al proietto. Tradizione, questa, inconsapevolmente tramandata nel tempo. Infatti ancora oggi, senza che ve ne sia una precisa esigenza, su ogni fascia vengono ricamate le iniziati del primo proprietario.
L’ipotesi più probabile è che venissero utilizzate fasce di lino già realizzate per essere destinate ai proietti. Queste erano già state offerte per voto dai fedeli per essere “appese”  al Crocifisso durante la processione e consegnate successivamente alla ruotara, forse dalla Confraternita che curava la processione con il Crocifisso il giorno del venerdì santo. In questo modo, probabilmente, si chiedeva la protezione per i fanciulli abbandonati. Non stupisce, perciò, se uno dei voti attualmente più ricorrente è quello di realizzare la fascia per la nascita di un bambino!


                                                                                     Giuseppe Maddalena



Nella prossima pubblicazione la seconda parte della ruota dei proietti



1^ Parte - Per leggere clicca qui
2^ Parte - Per leggere clicca qui
3^ Parte - Per leggere clicca qui
4^ Parte - Per leggere clicca qui
6^ Parte - Per leggere clicca qui